https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/salvini-viminale-ministro-interni-campagna-elettorale-parlamento-presenza/3b72100a-44ea-11e9-b3b0-2162e8762643-va.shtmlSempre in missione: dove?
In missione per conto dello Stato, come nel caso della sua corsa a Genova dopo il crollo del ponte Morandi o a Foggia per la morte di 16 braccianti agricoli stranieri in due incidenti stradali nel giro di due giorni. In missione per conto sia dello Stato sia del personale diletto, come al Festival del Cinema di Venezia con l’allora «First Sciura» Elisa Isoardi o in occasione del viaggio del 16 luglio a Mosca dove, già che era lì per colloqui con il ministro degli interni russo Vladimir Kolokoltsev, ne approfittò per vedersi la finale della Coppa del mondo in programma (coincidenza!) la sera prima. ll tutto senza l’invito Fifa. In missione per conto sia dello Stato sia delle battaglie di partito alla fiera internazionale delle armi in Qatar, dove postò orgoglioso una foto mentre imbraccia una mitraglietta.
Perché il Ministro deve presidiare il Viminale
È bene ricordare che al ministro dell’Interno la legge affida compiti delicatissimi. Da lui dipendono polizia, vigili del fuoco e prefetti, la tutela dell’ordine pubblico, la sicurezza del Paese e il coordinamento delle forze di polizia. Ha poteri di ordinanza in materia di protezione civile, tutela dei diritti civili, cittadinanza, immigrazione, asilo, soccorso pubblico, prevenzione incendi. È l’unica autorità politica che può ordinare intercettazioni preventive, prima ancora di avere l’ok del magistrato, su questioni di terrorismo o mafia. Questo comporta assoluta tempestività nella firma delle autorizzazioni. Se il Ministro non c’è è un problema. E ogni dipartimento rischia di essere una repubblica autonoma. Roberto Maroni, che fu sia ministro degli Interni (in due legislature) sia segretario leghista, lo spiegò due giorni dopo l’ascesa dell’«amico» Matteo al Viminale: «Fare il Ministro dell’Interno nel modo giusto vuol dire stare in ufficio dalle 9 del mattino alle 21 di sera». Lo ha ripetuto al Corriere martedì scorso: «per tutte le ragioni dette io stavo fisicamente al Viminale». Lo stesso ricordano Enzo Bianco («stavo il più possibile inchiodato lì») e l’ultimo ministro Marco Minniti che, quando non era a trattare con le tribù libiche gli accordi che ridussero i flussi migratori dalla Libia, era sempre in ufficio.
Chi è il vero ministro degli interni?
C’è da aggiungere che Salvini è anche vicepremier, e lo rivendica tutti i giorni. Occupandosi di tutto o quasi, dagli esteri al welfare, dal turismo al pecorino sardo, fino a sollevare la stizza di qualche collega, come Giulia Grillo sui vaccini. Occuparsi dei problemi vuol dire però approfondire, leggere i dossier, chiedere integrazioni, impadronirsi dei diversi temi. Studiare, studiare, studiare. Con tutto il rispetto, è difficile leggere atti, fare riunioni, coordinare settori delicati schizzando dal Palio di Siena alla Fiera equina a Verona, dall’Autoworld (museo dell’auto a Bruxelles) al bagno nella piscina dell’azienda agricola confiscata alla mafia, dalla donazione del sangue a Milano alla processione di Santa Rosa a Viterbo, ai tour elettorali infestati di appuntamenti. C’è poi da stupirsi se, travolto da mille impegni, il ministro degli Interni non è mai riuscito ad andare in luoghi simbolo del degrado, dello spaccio e del dolore come il bosco di Rogoredo a Milano? Va da sé che il vero ministro degli Interni si chiama sì Matteo, ma di cognome fa Piantedosi. Il capogabinetto che gli stessi oppositori definiscono un fuoriclasse. Un «culo di pietra» nel senso più pieno del termine. «L’ho scelto io!», rivendica Salvini. E ieri è partito per la campagna elettorale in Basilicata.