Pare sia inutile dire, anche per esperienza diretta, che un bambino necessita di genitori etero come è in natura.
Non è inutile, è semplicemente falso.
In natura esistono poche specie in cui la prole riceve le cure parentali da entrambi i genitori, e sono tutte a diverse spanne evolutive da noi.
Nella maggior parte dei mammiferi, il maschio vaga solitario per gran parte della sua vita, si avvicina al branco - a gestione matriarcale - quando gli tirano gli ormoni, si scanna con gli altri pretendenti per avere diritto alla femmina migliore, la ingravida e torna da dove era venuto.
Che è poi quello che faremmo molto volentieri anche noi, se non avessimo qualche millennio di cultura a dirci che non si fa.
In molte specie, tra cui gli scimpanzé bonobo (98% di corredo cromosomico in comune con noi; invito ad approfondirli, sono uno specchio straordinario di ciò che siamo e in alcuni casi anche di ciò che potremmo essere) se per disgrazia l'estro dei maschi non coincide con quello delle femmine, poiché ancora indaffarate a svezzare la cucciolata precedente, questi non esitano a sterminare i cuccioli e procedere indisturbati all'accoppiamento.
Questo è il ruolo "naturale" del maschio negli australopitecus da cui discendiamo.
Ma l'umanità, nell'arco di 50mila anni, ha sviluppato decine di variazioni culturali a questo istinto di base, ora per assecondarlo, ora per frenarlo, in ogni caso senza mai trovare una soluzione che fosse univoca e condivisa da più di un popolo alla volta.
Il cristianesimo e l'ebraismo prima di lui hanno vincolato il maschio al mantenimento della prole e al matrimonio monogamico per legge, divina prima e terrena poi, come sistema di controllo sociale. Ma è una soluzione, una tra tante, più o meno funzionale a seconda del contesto.
Sicuramente è abbastanza antica e legata a una condizione precisa dell'umanità da non avere maggiore validità oggettiva di "ammazziamo i loro figli precedenti così le femmine ci fanno scopare di nuovo".
Di più: fino al settecento il concetto di famiglia era completamente diverso da quello attuale, molto più vasto e fluido e variabile. La stragrande maggioranza della popolazione viveva in contesti fortemente comunitari, dove l'educazione delle nuove generazioni era affidata a tutto il villaggio, dove tutte le donne si prendevano cura dei figli di tutti e dove l'uomo faceva capolino nella vita del figlio maschio solo a età avanzata per dirgli "è ora che muovi il culo e vieni ad arare i campi"; in tutto questo dell'idea di "famiglia a due" c'era poco più del letto coniugale.
Il nucleo monofamiliare uomo-donna, fisicamente, quotidianamente inteso esiste da poco più di un secolo; lo stereotipo della coppietta che cresce i figli in due nel nido d'amore non esiste, è una vecchia favoletta aristocratica funzionale che con l'industrializzazione e inurbamento conseguente si è reso necessario raccontare anche alle masse, come ulteriore metodo di controllo sociale.
Non è testimoniato da nulla prima dei nostri bisnonni, e se non ci estinguiamo prima, smetterà di essere la norma dopo di noi.
Eppure le nostre generazioni penzolano aggrappate a questa panzana.
Come sarebbe bello se la finissimo di supporre di aver capito la storia dell'umanità perché da bambini abbiamo visto il nonno che cagava di traverso.
Tutto questo non riguarda direttamente la questione dell'omogenitorialità, ma è per ribadire con insistenza che no, non esiste nessuna benedetta famiglia "naturale".
Esiste di volta in volta un'idea "culturale" di famiglia, più o meno funzionale e più o meno indotta per ragioni di controllo e potere, che tende a evolvere nel tempo come ogni altra manifestazione di cultura.
C'è chi questa evoluzione vuol lasciarla libera di compiersi, e chi invece si ostina a costruire muri con l'unico risultato di rallentare e rendere a singhiozzo un processo INEVITABILE, rendendo un inferno la vita di chi esprima già in sé un'esigenza di diversità.
Chiamasi conservatorismo. Che fa rima con autoconservazione. Il cui mezzo principale è la paura. E contro la paura, nostra e altrui, ci tocca sempre di combattere.