Sono andato a votare verso le 10 e spiccioli.
Prima di scendere chiedo alla Pasionaria: "Tu vai a votare?"
Lei: "No"
Io: "Io vado. Cosa devo votare?"
Lei: "Sushi!"
Poi le ho spiegato Camera, Senato e ruolo del Parlamento, ma stava giocando a Roblox, secondo me non ha capito niente.
Prima di scendere ho fatto un riepilogo ad alta voce dei documenti che avevo e che stavo portando, per verificare che ci fosse tutto. A metà mi sono fermato, perché mi sono accorto che stavo suonando uguale a Furio di Verdone.
Al seggio, nonostante l'orario, c'era già una piccola fila all'esterno. L'ufficiale che regolava gli accessi si ostinava a pontificare a voce alta che dovevamo stare tutti tranquilli e in fila, e tutto sarebbe andato per il meglio. Sosteneva che nella calca ci fossero delle presunte file per numero di seggio, ma nessuno tra gli astanti sembrava confermare questa sua tesi, tantomeno aveva ricevuto istruzioni al riguardo.
Sono un cittadino modello (faccio schifo a più livelli, in effetti, ma come cittadino che mi vuoi dire? Faccio pure passare le auto agli incroci), quindi ho atteso in fila con fiducia e rispetto nelle istituzioni, mentre dentro di me pensavo segretamente al Giappone.
Alla fine non abbiamo impiegato molto. All'interno, ho depositato civilmente il cellulare, pur sapendo che avrei potuto portarlo dentro senza problemi. Quando ho tracciato le X non mi sono sentito soddisfatto, ma nemmeno frustrato. Era una sensazione diversa. Era quella sensazione che siede accanto alla rassegnazione quando fuori piove e poi esce il sole e c'è molto umido. Insomma, era l'Italia.