Sì, in originale non era 'i preparativi' (in giapponese tipicamente 'junbi') ma una costruzione su 'shitaku':
明日の送りの支度に手間どってね
La differenza tra 'junbi' e 'shitaku' è sottile. L'ho incontrata anche su "Umi ga Kikoeru" (lì perà nelle forme verbali derivate). Junbi sono proprio i preparativi, shitaku è più 'il predisporre', 'l'approntare'. Credo che la frase renda più l'idea che Eboshi ha resposabilità su tutto, non è che faccia i preparativi di suo, ma deve vidimare tutto. Quindi il suo compito più che 'i preparativi' è proprio 'predisporre' le spedizioni, tra le altre cose, ovvero sovraintendere, dirigere i vari preparativi. Eboshi si scusa con Ashitaka a livello molto personale, nella scena. Quindi parla del protrarsi proprio di quanto le compete , altrimenti invece che un'assunzione di responsabilità parrebbe una scusa.
Trovo anche io che la frase italiana che risulta sia più 'artificiosa' di molte altre, ma del resto la frase mi pare più precisamente resa così. Quindi, per me, amen.
Non metto in dubbio che "per te, amen", e la questioni la giudichi chiusa.
Personalmente invece trovo che quella frase rasenti l'incomprensibile, in italiano.
Dove con "incomprensibile" intendo proprio dire che l'ho dovuta
leggere più e più volte per farmi un'idea di che volesse dire, se l'avessi solo
ascoltata al cinema una volta non avrei afferrato.
E a quel punto se non è comprensibile il fatto che renda più o meno precisamente la scelta di parole originali mi interessa abbastanza poco.
Mi spiego meglio: l'aderenza al testo originale per me diventa irrilevante se la frase è incomprensibile.
L'aderenza al testo è un problema
di ordine superiore, insomma: al primo ordine c'è la possibilità per l'ascoltatore di capire.
Ora, tu potresti dire che ci sarà sempre un ascoltatore che non capisce cose dette anche in italiano corretto (es: molti italiani faticano a capire un articolo di giornale e così via).
Il che sarebbe pure vero, e certo non è che la qualità dei dialoghi debba rincorrere l'analfabetismo di ritorno.
Il punto però è che questa frase, ammesso che sia formalmente corretta, non è comunque italiano corrente.
Non credo si tratti di una scorrettezza. L'enunciato ipotetico è in una preposizione che non ha un nesso diretto condizionale con la seguente, è di cortesia. Inoltre, lì l'imperativo è chiaramente esortativo - anche nella recitazione è chiaro [domanda qui necessaria: hai ben ascoltato?]. E' la costruzione di: "Se non ti spiace, fammi un caffè, per favore." - o quanti altri esempi vuoi.
Perché ho usato questa forma? Perché ho ritenuto e ritengo sia la più precisa e corretta a resa dell'originale, chiaramente.
Nella mia esperienza di lingua italiana non ho memoria di un uso di questo genere.
Non ho nulla da obiettare contro il periodo: "
Se non ti spiace, fammi un caffè, per favore."
Protasi all'indicativo, apodosi all'indicativo: ipotetica della realtà.
Ma se tu inizi una protasi col congiuntivo imprefetto, in italiano questa non è una ipotetica della realtà, è perlomeno una ipotetica della possibilità, e ci si attende l'apodosi al condizionale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_ipotetico#Uso_dei_modi_in_lingua_italianaOra, cito wiki non per fare il gradasso, perché sinceramente io fino a qualche secondo fa non ricordavo assolutamente cosa fossero protasi ed apodosi, ed andavo semplicemente a naso seguendo l'uso che faccio e che sento fare della lingua.
Il che si ricollega a quel che dicevo all'inizio: non solo questo uso dei modi verbali non trova conferma formale, ma io non ne ho mai trovato conferma neppure nella mia esperienza.
Anche a questo riguardo quindi farei un ragionamento analogo al precedente: anche ammesso che questo adattamento sia più vicino al testo giapponese, se questo adattamento è formalmente inesatto e non è italiano corrente il fatto che sia vicino o lontano dal testo originale mi dice poco.
O anche Ashitaka nel testo originale parlava inserendo errori nell'uso dei verbi e si esprimeva con un linguaggio inusuale, e questo non lo so dire perché non so il giapponese, o l'adattamento che hai fatto secondo me porta fuori strada l'ascoltatore, che fatica a capire e che, anche una votla capito, si fa delle idee strane sulla lingua che parla Ashitaka.
Certo che puoi permetterti. :-)
Ti spiego perché trovo la frase che suggerisci inadatta.
Perché è molto didascalica nel suo essere esplicativa. Ma Pod non sta spiegando niente. Sta dicendo una cosa per consolare la figlia, per lenire il suo senso di responsabilità sminuendo gli effetti del torto di lei.
E' come se fosse: "Beh dai su, hai fatto un casino, ma in fondo anche per stare a guardare le mosse del nemico, pure adesso non è troppo tardi. Non è la fine."
La segmentazione che ho introdotto serve proprio a distribuire i pesi delle parti comunicaticve della frase, come sempre è - è sempre una ragione di tema e rema, a partire dalle più banali dislocazioni, o persino nell'ordine di principali o subordinate.
A partire dalle più banali dislocazioni, o persino nell'ordine di principali o subordinate, è sempre una ragione di tema e rema.
Sono i tre segmenti di prima messi in altro ordine. Lo "senti" che hanno un effetto del tutto diverso? La lingua, scritta e ancor più parlata, trova il suo peso comunicativo nei centri di imputazione espressiva - anche.
Il termine che hai usato non mi arrecava offesa alcuna e non necessita di alcun perdono, invero. A me discutere di queste cose piace persino. Avrei anche potuto scrivere: "A me piace persino, discutere di queste cose." - ma è tutto diverso. Del tutto diverso. Dipende da quale elemento comunicativo si vuole enfatizzare. Il fatto che mi piaccia discuterne? O l'argomento di cui mi piace discutere? :-)
Mi viene da fare un paio di osservazioni.
La prima, è che il tono di voce del padre di Arrietty in quel passaggio non suona affatto consolatorio.
Il doppiatore dice quella battuta con il medesimo tono di voce con cui un vulcaniano di Star Trek leggerebbe la lista della spesa.
Posso anche ipotizzare perché fa così: perché
il doppiatore non ha capito cosa stava dicendo, non ha capito niente di tutto il retroscena comunicativo di cui tu parli, in base al quale quelle parole sarebbero consolatorie.
E non lo ha capito non perché lui sia una capra di doppiatore, bensì (è mia opinione) perché è un perido costruito in modo così inusuale e contorto da essere poco comprensibile.
Il risultato, quindi, è che quella battuta diventa didascalica (perché non capìta), che è proprio quanto in realtà ti eri prefisso di evitare. Il che è
paradossale, e secondo me è sintomo del problema più generale di cui sotto.
La seconda osservazione ha carattere generale e riguarda proprio quelli che sono i tuoi
principi di adattamento.
Una questione
filosofica, insomma, ma con ricadute molto reali.
L'idea di voler essere "fedeli al testo originale" si può infatti declinare in più modi. Me ne vengono in mente almeno due.
Al livello base ci sta la traduzione
parola per
parola, tipo le versione di latino o greco alle superiori, che spesso porta gli studenti a costruire frasi senza né capo né coda. Mia madre ancora oggi si ricorda una traduzione di un suo compagno in cui le tende degli achei si alzano in piedi e scappano...
Al livello più alto c'è l'adattamento che cerca di rendere il
senso dei
periodi in italiano corrente, o (nel caso di un testo orginale volutamente arcaico) in un italiano comunque comprensibile dall'ascoltatore di oggi (partendo dal presupposto che,
se un ascoltatore accettabilmente alfabetizzato non capisce o è straniato senza motivo, allora c'è qualcosa che non va nell'adattamento).
Connesso a questo, c'è anche l'esempio dello "spacca-province", che è già stato sviscerato.
Premesso che io non sapevo che esistesse un archibugio il cui nome preso pari pari dal giapponese volesse dire quello, la cosa paradossale è che la traduzione Buena Vista era più prossima a farmelo capire che non la tua:
"
Quando ne avrai abbastanza (di archibugi, NdG) p
otrai partire alla conquista del mondo."
Se io ascolto la tua traduzione resto solo sconcertato da un'espressione che in italiano non esiste se non nel tuo adattamento, e non capisco affatto il riferimento all'archibugio.
Certo, la traduzione Buena Vista è forse fin troppo libera, ma almeno è italiano corrente e riesce perfino a darmi il riferimento all'archibugio che la tua traduzione parola per parola non dà.
Quindi in sintesi la sensazione mia (e non solo mia) è che tra i due estremi succitati di traduzioni "fedeli al testo originale" la tua idea di adattamento si trovi più prossima al primo che non al secondo.