Vorrei però che non ti sfugga il punto: se usi un linguaggio forbito/ricercato/desueto in Mononoke e mi dici che anche Miyazaki ha usato un registro aulico io me ne posso anche stare e concludere che ok, non mi piace Mononoke (dando per scontato che il tuo sia l'adattamento migliore possibile).
Quando però in Kiki e in altri film tu usi un linguaggio eccessivamente forbito, convoluto o con termini desueti quando nell'originale non ve n'è traccia il giochino del transfert non funziona più.
NOn è che mi sfugga questo punto. In effetti credo sia chiaro da quanto qui argomentato, ma varrà esplicitarlo ancora, auspicabilmente meglio.
Ci sono due elementi:
1) il livello di complessità (cifra stilistica, uso di arcaismi o lingua colta, etc) dell'originale, che 'filtra' in una traduzione fedele. Quindi Ashitaka ed Eboshi hanno dialoghi sul filo dello Sheaksperiano, Kiki e Tonbo no (per farla breve).
2) l'effetto collaterale dell'uso estensivo della lingua d'arrivo nel produrre una traduzione quanto più fedele di una lingua straniera di partenza. Quindi Kiki 'le auguro un buongiorno' anche se qualcuno dirà che non sia una forma di saluto così usuale in italiano
Il punto che mi pare trovarti più discorde con me è il 2). Nota che ancora Kiki in italiano non parla come Ashitaka in italiano, ma non parla neppure come la tua vicina di casa. Continuo a dire che una traduzione precisa e ben fatta produce non un testo 'italianbo' tout cour, ma un testo 'straniero in italiano', il che implicita un certo livello di effetto straniante della traduzione finale. Non è un effetto inteso e ricercato, si badi, ma io dico inevitabile quanto logicamente sensato. Del resto, è sempre un testo straniero, benché tradotto.
Ancora, Tonbo non dice 'pulzelle' come gli anziani emishi, e neppure 'fanciulla' come Ashitaka, o Muska. :-)
Così come ogni adattamento esistente sul pianeta terra, anche nel tuo hai perso qualcosa (la semplicità e linearità originali in linea con il personaggio, per me fondamentali) per mantenere qualcos'altro (l'attinenza al significato originale del termine, per me del tutto pleonastica).
Nulla da eccepire a questa ben concisa disamina, ma aggiungo (ribadisco) che il criterio di 'correttezza traduttoria' è ben più oggettivo di quello di 'usualità della lingua'.
Ribadisco anche che pensare che una traduzione debba essere alle orecchie del pubblico straniero 'lineare e naturale' quanto il testo originale per il pubblico originale è per me una pretesa indebita e fallace, che conduce a mal partito.
E sì, opero questa valutazione su parametri assolutamente personali quali la musicalità e la semplicità di una composizione,
recepisco l'onesta ammissione di totale soggettività, e indi relatività, e indi scarso valore di riferimento de tuo giudizio ovvero metro.
esattamente come tu adatti basandoti su parametri assolutamente personali: conosci bambini che compongono sonetti se perdono a PES e quindi decidi di fare parlare i giovani dei tuoi film come vecchi tromboni a un circolo d'elite, 'purché sia italiano'.
No, no, non stravolgere quello che ho espresso decontestualizzandolo a tuo uso, per mettermi in bocca pensieri non miei.
L'episodio che ho citato, e che tu qui riprendi, era una 'nota dfivertente' usata solo per dire: "non sentenziate cosa come: questo non lo dice NESSUNO con tanta facilità".
Non ho MAI detto una cosa come: siccome l'ho sentito una volta nella vita è ok.
Ho detto: siccome è italiano corretto non può dirsi errato, non si può scartare a priori presaumendo che 'non lo dica nessuno'.
Ti prego di non stravolgere utilitaristicamente il mio pensiero. E' un modo di discutere alquanto vile, e non ti fa onore.
Io un giorno vorrei leggere un tuo adattamento letterario da una lingua che conosco.
Se adatterai qualcosa dall'inglese, dal francese, dallo spagnolo o dal russo fammi un fischio.
Ecco a te uno stralcio di traduzione letteraria (amatoriale) da me confezionata. ^^
II - 31
In questa solitaria fermata di rinfresco tra Coalmont e Ramsdale (tra l'innocente Dolly Schiller e il gioviale zio Ivor), passai in rassegna il mio caso. Con la più estrema semplicità e chiarezza vedevo ora me stesso e il mio amore. I tentativi precedenti a paragone sembravano sfocati. Un paio d'anni prima, sotto la guida di un intelligente confessore francofono, al quale, in un momento di curiosità metafisica, avevo tentato di volgere uno scialbo ateismo di Protestante per una cura papale vecchio stile, avevo sperato di desumere dal mio senso di peccato l'esistenza di un Essere Supremo. In quelle gelide mattine nel Quebec merlato di brina, il buon prete lavorò su di me con le più spiccate tenerezza e comprensione. Sono infinitamente obbligato verso di lui e la grande Instituzione che rappresentava. Ahimé, fui incapace di trascendere il semplice umano fatto che per quale che conforto spirituale potessi io trovare, per quali che litofaniche eternità potessero essere disposte per me, nulla potrebbe far dimenticare alla mia Lolita l'oscena lussuria che io avevo inflitto su di lei. A meno che non possa essere provato a me --a me come sono ora, oggi, con il mio cuore e la mia barba, e la mia putrefazione-- che ad infinito andare non importa un bel nulla che una ragazzina nordamericana di nome Dolores Haze sia stata deprivata della sua infanzia da un maniaco, a meno che questo non possa essere provato (e se può esserlo, allora la vita è una beffa), non vedo altro per la cura della mia sofferenza che la melanconia e l'assai parziale palliativo dell'arte articolata. Per citare un antico poeta:
Il senso morale è nei mortali il balzello
Che abbiam da pagare sul mortal senso del bello.
(H.H. ~ V.N.)
Quanto ad adattamenti dall'inglese, curai i dialoghi di alcuni episodi del telefilm
Scrubs, tra cui il primo, ma non so quanto (se) vennero poi modificati in sala di doppiaggio - non mi occupai della direzione del medesimo.