Visto ieri sera Laputa per la prima volta.
<<Sono state le radici ad averci protetto>>. Per la grammatica italiana, quest'uso dell'infinito è errato. Il passato nella subordinata indica anteriorità rispetto alla principale, laddove qui è contemporaneità. Quindi doveva essere "Sono state le radici a proteggerci". Ammesso e non concesso che a un orecchio normodotato non basti il suono di quella frase per ribellarsi.
Simili amenità per tutta la seconda metà del film. Alcune frasi sono così convolute e mal scritte che, dopo averle ascoltate 3 volte, ho attivato i sottotitoli italiani per capire cosa effettivamente dicessero.
Francamente, non riesco ad identificare l'errore in quella frase, a parte la terminologia non usuale, non rilevo niente di strano.
Tra l'altro, ho incontrato forme simili in molti testi (e libri) scritti (recentemente, anche in una raccolta di racconti di detective dove erano compresi anche testi di Sir Arthur Conan Doyle, e, (seppur in rare occasioni) mi son ritrovato io stesso ad utilizzarle, anche in temi scolastici (sia alle medie che alle superiori) e nessuno mai ha rilevato in quelle frasi errori grammaticali, ne me li ha contestati verbalmente (magari non considerandoli così gravi da necessitare d’esser rilevati nel corpo della correzione effettuata per la valutazione).
Comunque, accolgo l’invito porto successivamente.
Il colmo viene raggiunto nel finale.
Titoli di coda e gelo in salotto.
Sorvolando su quella perla stilistica che è "Passiamo atroci traversie, ed è tutto qui" (il cui senso a grandi linee suppongo sia: "Dopo tanta fatica, ci rimediamo solo questi"), ho dovuto cercarmi il copione inglese per capire cosa ci fosse da ridere nel pirata che brandendo i gioielli dice: "D'altro canto, non avevamo tempo".
Ecco, io non so cosa dica l'originale giapponese, ma in inglese è "At any rate, in our spare time..." ("D'altro canto, nel tempo libero... -sottinteso: ci siamo dati da fare-). Fedele o meno, ha una cosa che l'italiano non ha: senso. E fa una cosa che l'italiano non fa: ridere. E non fa una cosa che l'italiano fa: rovinare il film.
Innanzitutto, è oltremodo risaputo che i testi inglesi utilizzati negli adattamenti Disney dei film di Miyazaki presentano numerosi errori e parti riscritte ex-novo per meglio “avvicinare” il film alla "sensibilità" del pubblico americano (Mononoke Hime, ad esempio, ha un finale buonista che è completamente invertito rispetto al senso dell’originale scritto da Miyazaki); tali modifiche e stravolgimenti son noti fin dai tempi degli adattamenti Disney (quindi, ben prima che venissero lavorati da Cannarsi), adattamenti che son stati così mal accolti, all’epoca, da chiedere a Lucky Red, quando si seppe che avrebbe redistribuito i titoli in Italia, a effettuare un nuovo adattamento che andasse a correggere quegli errori (chi chiese quelle correzioni chiese anche, con cortesia, se fosse possibile che a curare questi nuovi adattamenti fosse Cannarsi (a.k.a. Shito), che godeva di una certa stima per il metodo usualmente adottato nei suoi adattamenti).
Secondariamente, hai commesso un errore nella tua foga di trovare a tutti i costi un errore marchiano: hai analizzato le frasi del testo come fossero indipendenti l’una all’altra, come appartenessero a 3 scene distanti nel tempo (filmico) tra loro, mentre esse, invece, vanno a formare una sola sequenza, che lega la comprensione del testo (e dell’agito) della scena attuale al testo 8ed all'agito) della scena precedente.
Nel caso in questione, alla nonnina che si lamenta che, a dispetto di tutte le traversie, abbiano potuto raggranellare solo pochi ninnoli, si contrappone l’immagine della banda di pirati coperta di ori e di gemme, con uno di loro che dice “oh, più di così non si poteva fare, visto il tempo a disposizione”: tale contrapposizione crea un senso di contrasto che genera l’ilarità rappresentata nell’ultima scena dell’immagine da te postata.
E, se seguita nella sua interezza, senza inutili spezzettamenti (che nel film non ci sono essendo, appunto, una unica sequenza), nell'adattamento LR il senso ce lo ha eccome.
Da ultimo, ti faccio notare che neppure nel testo inglese, il dialogo (“At any rate, in our spare time…”) da solo fa ridere: riesce nell’intento solo se lo ricolleghi sia a quanto detto dalla nonnina in precedenza che ai pirati ricolmi d’ori e di gioielli (ma in questo modo, funziona altrettanto bene nell’originale).
Fatevi un favore e smettetela di difendere l'indifendibile.
Non è difendere l’indifendibile*, è difendere il diritto di “noi/voi/tutti” spettatori ad avere edizioni italiane che siano rispettose dei contenuti dei film stranieri, senza limitarsi a proporceli ad un livello superficiale e semplificato, ma nella intiera gamma di espressioni, sentimenti, contenuti, stili, etc. che l’autore ha inteso inserire nella sua opera.
*tra l’altro, trovo la tua uscita poco felice….
In originale Miyazaki utilizza vocaboli così desueti come (nella versione italiana) "miserevole" o "traversie"?
Si: nei suoi film Miyazaki utilizza un’ampia gamma di registri e di vocaboli (anche desueti o, addirittura, arcaici).
Volerli ricondurre, semplificare, nella versione italiana, ai soliti 2-3 registri (amichevole, formale, “aulico”) è una semplificazione che non si meritano ne i film di Miyazaki ne tantomeno gli spettatori che quei film andranno a vedere.
Sorvolando su quella perla stilistica che è "Passiamo atroci traversie, ed è tutto qui" (il cui senso a grandi linee suppongo sia: "Dopo tanta fatica, ci rimediamo solo questi"), ho dovuto cercarmi il copione inglese per capire cosa ci fosse da ridere nel pirata che brandendo i gioielli dice: "D'altro canto, non avevamo tempo".
Ecco, io non so cosa dica l'originale giapponese, ma in inglese è "At any rate, in our spare time..." ("D'altro canto, nel tempo libero... -sottinteso: ci siamo dati da fare-). Fedele o meno, ha una cosa che l'italiano non ha: senso. E fa una cosa che l'italiano non fa: ridere. E non fa una cosa che l'italiano fa: rovinare il film.
Non entro nel merito della discussione generale, perché non ho le competenze "ghibliane".
Volevo pronunciarmi sul primo esempio ("atroci traversie"), facendo il parallelo con le scelte stilistiche che noi (TFP Service) operiamo per localizzare gli RPG giapponesi, ma non voglio far deragliare la discussione.
Non credo che si corra questo rischio, onestamente.
Comunque, tornando un attimo al nocciolo della questione, l’adattamento italiano di una qualsivoglia opera (sia essa un film, un libro od un videogame), per quanto riguarda lo stile dei testi di quell’opera, deve astenersi nella maniera più assoluta nell’intervenire sugli stessi, limitandosi a riproporre lo stile che l’autore ha inteso dare all’opera, visto che anche lo stile di un dialogo contribuisce alla descrizione, alla definizione di un personaggio: se l’adattatore interviene su questo aspetto, vanifica del tutto l’intenzione e gli sforzi dell’autore, sostituendo la sua sensibilità a quella originale.
Sul secondo esempio ("non avevamo tempo"), tuttavia, non posso che appoggiare Cryu. Al netto della traduzione inglese, non mi sembra una traduzione italiana troppo centrata.
Ovvio, è tutto decontestualizzato e qualcuno ci dirà com'è l'originale giapponese, ma leggere diversi di voi che giustificano quella traduzione mi sembra, non so... Strano, diciamo.
Come detto sopra, se vista come deve essere vista (ovvero una unica sequenza e non il singolo “frame” della battuta), il tutto acquista il senso che ha sempre avuto.
Tornando sui metodi adattativi in generale, vorrei fare un esempio che mi è balenato in mente or ora: mettiamo che un autore giapponese, tal Erii Harighi, faccia recitare ad uno dei personaggio di una sua opera (ambientata in tempi contemporanei) una frase che, tradotta fedelmente, reciti pressappoco “Vuolsi così cola ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”.
La traduzione, ovviamente, seppur perfetta e corretta, non è italiano corrente, visto che non ne rispetta la costruzione né presenta termini utilizzati correntemente nella lingua.
Quindi, secondo i canoni usualmente utilizzati negli adattamenti italici, tale frase (anche se di senso compiuto) andrebbe riformulata, per poterla rendere comprensibile al pubblico che visionerà quell’opera, rendendola in italiano come “Così è stato deciso nei luoghi dove si decide il da farsi, ed ora smetti di fare ulteriori domande”: tale frase è in italiano, rispetta il senso della frase originale, è considerabile “una bella frase”. Quindi, tutto ok, no?
No. Proprio no. Per niente.
Sebbene possa soddisfare alcuni canoni adottati negli adattamenti attuali, presenta un macroscopico errore: cancella totalmente la volontà dell’autore di rendere in qualche modo “particolare”, riconoscibile e distinguibile un personaggio di quell’opera, appiattendolo.
E, questo, è qualcosa di molto più grave dell’avere frasi in un italiano desueto o che presentano vocaboli arcaici (presenti nell’opera originale).
Piuttosto, mi stupisco come “addetti ai lavori” di fronte ad evidenti adattamenti infarciti di inesattezze (se non di errori veri e propri) o che travisano (anche pesantemente) il testo originale, si mettono a difendere la metodologia che ha portato a simili errori, trovando strano che vi siano persone che, invece, apprezzano e giustificano** una metodologia volta ad ottenere prodotti migliori sotto il profilo contenutistico.
Questo senza voler offendere nessuno, sia inteso: se qualcuno, nonostante tutto, si è sentito offeso, me ne scuso profondamente ed assicuro che non è mai stato nelle mie intenzioni.
**come se desiderare maggior correttezza nei testi localizzati a quelli originali fosse qualcosa da giustificare piuttosto di una cosa “normale”, la base su cui fondare ogni lavorazione.