Esattamente. Io alla fine degli esempi avevo scritto
Uno può scegliere di andare per la traduzione letterale, non volendo far perdere la sfumatura linguistica originale di quei saluti usati solo in quel preciso contesto. Il problema secondo me però è che la sfumatura si perde lo stesso, perchè o conosci l'espressione originale o non la noti e in più il risultato finale in italiano è inutilmente sforzato e appesantito.
Se traduco un "tadaima" con un "ciao" non lo faccio per svilire la varietà della lingua, ma perchè in italiano, se torno a casa e saluto quando apro la porta dico "ciao". Ci sono però altri casi in cui il "Sono tornato" sarebbe accettabilissimo in Italiano, tipo quando la storia preveda che chi ritorna è atteso per qualche motivo, in quel caso la traduzione letterale combacerebbe con la sfumatura particolare che ha in Italiano.
Un altro esempio estremo. Si dice che in eschimese ci sono un sacco di varianti della parola neve, ora se in un romanzo eschimese tradotto trovassi un passaggio che dice "Nanuk, la slitta è dietro quel cumulo di tipica neve di maggio che segnala l'arrivo dell'estate" lo troverei piuttosto ridicolo. Quel termine per quello specifico oggetto in italiano non esiste, per riportare il termine letterale ho creato delle immagini nel testo che nell'originale non ci sono, per un eschimese quella neve semplicemente si chiama così. La traduzione che userei sarebbe un semplice ""Nanuk, la slitta è dietro quel cumulo di neve".
Oppure troverei abbastanza assurdo nella traduzione di un romanzo ambientato nella Lombardia dell'800 la frase "I'm your slave" per tradurre un "Ciao". Sarebbe letteralmente corretto, ma non avrebbe senso in inglese, sarebbe meglio usare quello che era il tipico saluto dell'epoca in Inghilterra.