Autore Topic: Studio Ghibli  (Letto 404708 volte)

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Online Yoshi

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1875 il: 02 Ott 2015, 21:52 »
Non proseguite l'OT astrofisico per favore.
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Offline TremeX

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1876 il: 02 Ott 2015, 21:58 »
Anche perché stavo per mancare la fermata del treno  :scared:

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1877 il: 02 Ott 2015, 22:47 »
Io ho già risposto a tutti, non ho più niente da dire. Chiamate Shito e fatevi spiegare la frase e la cosa del "riguardo". Poi si può benissimo non essere d'accordo con quello che pensa e che dice.

Comunque l'adattamento in questione non ti costringe a conoscere il testo giapponese, è la critica dell'adattamento in questione che ti costringe a farlo. Se vuoi criticare una traduzione o un adattamento, come pensi di poter prescindere dalla conoscenza del testo originale? Se tu vuoi criticare quel termine usato dall'adattatore devi conoscere il relativo termine giapponese scelto dall'autore. Non si scappa. Ma non è che per capire la trama dei film Ghibli devi conoscere l'originale giapponese.
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Offline Cryu

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1878 il: 02 Ott 2015, 23:01 »
Significa porre una particolare attenzione al gesto che si compirà, farlo in maniera "concentrata", ringraziando nella forma di ogni movimento la persona che lo abbia preparato e il cibo stesso che ci sia finito in bocca, usando gesti lenti e misurati, masticando piano.
E' l'attitudine con cui si compie una azione che modifica l'azione stessa, come una cerimonia funebre, gettare un cadavere in una fossa e piazzarlo in una bara vestito a festa non cambia i fatti, cambia qualcos'altro...
E' la tua interpretazione, secondo me centratissima, di una frase che però non è italiano. Perché credo davvero che nessun italiano, dal 1861 a oggi, abbia mai usato l'espressione "mangiare qualcosa con riguardo". Quindi non è italiano. Almeno non ancora. Per cui un traduttore avrebbe dovuto usare una frase che userebbe un italiano venutosi a trovare in quella stessa situazione. Non creare una frase in esperanto. Altrimenti non è non dico un adattamento, ma neanche una traduzione. Poi ora si discute di questa frase perché troppo assurda per non balzare subito in evidenza, ma non c'è uno scambio di battute di quel trailer che sia minimamente accettabile. Ma neanche uno. Roba che se mi arriva in editing una cosa del genere io prendo, rispedisco al traduttore e chiamo l'agenzia dicendo mai più quella persona. Mai più.
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Offline Xibal

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1879 il: 02 Ott 2015, 23:20 »
Perché credo davvero che nessun italiano, dal 1861 a oggi, abbia mai usato l'espressione "mangiare qualcosa con riguardo".
Forse perchè non l'ha mai effettivamente fatto, in italiano l'unica cosa che concettualmente gli si avvicini è "Fare la comunione", ironicamente anche questo intraducibile nella sua stessa lingua, puoi solo capirlo se lo conosci e lo vivi.
Ora, senza addentrarci ulteriormente nei pistolotti filosofico-culturali, la frase di Nausicaa nel trailer ha anche una ulteriore sfumatura, che dona al tutto un carattere assai più prosaico.
"Li mangerò con riguardo eh", quell' "eh" finale attenua, per non dire elimina, completamente il carattere di sacralità che ho descritto e che pure esiste, per trasformarsi nella carezza di conforto di una madre, o nello specifico una "sorellona", nei confronti dei suoi pupilli, che al pari di qualsiasi bambino hanno riversato nella realizzazione di quel pensiero tutta la serietà possibile, e a cui Nausicaa vuole assicurare una corrispondenza.
"Li mangerò con riguardo eh" diventa quindi "State tranquille che nel mangiare il vostro cibo ci metterò lo stesso impegno e serietà che ci avete messo nel prepararlo", che proprio grazie a quell' "eh", che riporta tutto alla dimensione della colloquialità tra sodàli, si spoglia dell'alone di etichetta quasi marziale che avrebbe assunto tra adulti, e diventa del tutto simile a quello che farebbe qualsiasi adulto, anche occidentale, di fronte alla manifestazione di impegno di un bambino, garantirgli altrettando con una pacca sulla spalla che sugelli l'approvazione ("eh"), quand'anche giocosa per lui, ma di capitale importanza per l'altro.
Una locuzione forse più vicina ai nostri modi di dire sarebbe stata: "Li mangerò con i guanti", ma personalmente anche in questo caso si tratta di fare a capirsi...
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Offline Cryu

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1880 il: 02 Ott 2015, 23:31 »
No, è una frase di merda, che non merita esegesi di venti righe. A delle bambine non si risponde a quel modo, perché se non ci capiamo niente noi, figurarsi loro.
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Offline Cryu

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1881 il: 02 Ott 2015, 23:34 »
"Li gusterò piano piano". "Li mangerò pensando a voi". "Quando li mangerò, penserò a voi".
E invece di sputare per terra, distrarsi dalla visione e passare tre giorni a discutere, forse lo spettatore avrebbe semplicemente colto l'emozione di quel personaggio.
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Offline Thar

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1882 il: 02 Ott 2015, 23:35 »
A memoria, qui ho letto - e per quanto mi riguarda, scritto - esclusivamente critiche circostanziate, anche aspre, ma solo all'opera, non alla persona. Che comunque è presente, visto che quando ha potuto ha risposto: vedi per esempio qui.
Appunto, chiamatelo e chiedete a lui com'è il testo originale. Perché non è detto che legga, e se non vi risponde magari è perché s'è rotto i coglioni di ripetere sempre le stesse cose.

Il testo originale non è in discussione. Le critiche sono sull'adattamento. Per assurdo, il testo originale potrebbe essere completamente diverso - come "mi piace giocare a monopoli" - e noi potremmo esserne totalmente all'oscuro; ma se l'adattamento fosse "esiguo rimembro" capisci che indipendentemente dall'attinenza dell'adattamento al testo originale, l'adattamento farebbe alzare qualche sopracciglio.

Come dice Fool, se non si è a conoscenza di ciò che il personaggio dice nel testo originale, ogni critica (sia essa rivolta anche all'adattamento) perde di ogni efficacia argomentativa, in quanto il testo adattato è discendente diretto del testo originale, non può essere altrimenti.




Semplicemente la frase, in giapponese, è costruita in un modo non traducibile in modo letterale rispetto all'italiano. Ed è in questi casi che si dovrebbe, forse, lasciare perdere una traduzione parola per parola e adattare la frase a come risponderemmo noi in italiano in base a quello che sta succedendo a schermo.

Questo è un falso mito: è vero che la costruzione della frase giapponese segue regole differenti da quella della grammatica italiana (cosa che accomuna anche altre linguaggi del mondo), ma traducendo la frase dal giapponese all'italiano la si riporta secondo le regole seguite nella nostra grammatica, senza che se ne debba cambiare il senso o il registro linguistico per risultare comprensibile. Altrimenti, sai i pastrocchi nelle relazioni internazionali col Giappone se non fosse possibile tradurre fedelmente ed accuratamente la loro lingua in italiano.

Inoltre, adattare bene =/= inventare.



Semplicemente la frase, in giapponese, è costruita in un modo non traducibile in modo letterale rispetto all'italiano. Ed è in questi casi che si dovrebbe, forse, lasciare perdere una traduzione parola per parola e adattare la frase a come risponderemmo noi in italiano in base a quello che sta succedendo a schermo.

Proprio questo. E aggiungo: non solo adattare ma eventualmente, anche cambiare il testo, sempre rimanendo coerenti con azioni, personaggi, ambientazione e narrazione.

No: adattare non è cambiare/modificare, mai. Il compito dell'adattatore è unico e solo: quello di restituire in un altra lingua un'opera di un paese (e di una cultura) differente, senza nessuna variazione per quanto riguarda trama, caratterizzazione personaggi, registro linguistico.
E non è compito suo (mai, in nessun caso) rendere "capibile" un'opera straniera alterandone il contenuto, a qualsiasi livello questa alterazione venga fatta: spetta allo spettatore decidere se l'opera in questione, così come è stata concepita e realizzata dai suoi creatori, gli piace o meno, senza nessun filtro introdotto artificiosamente da terze parti estranee al processo creativo primigenio che ha portato alla realizzazione dell'opera.
Fosse altrimenti, nessuno potrebbe MAi dire se un'opera straniera gli piace o meno, visto che non avrebbe visto l'opera, ma una versione modificata secondo gusti e parametri soggettivi della persona che ha curato il (dis)adattamento dell'opera in questione.




Per cui un traduttore avrebbe dovuto usare una frase che userebbe un italiano venutosi a trovare in quella stessa situazione.


Le lingue (tutte) subiscono nel tempo una evoluzione, cambiano, si modificano, acquisiscono nuove parole mentre alte cadono in disuso. Ma è errato presumere che un'opera (qualunque essa sia) ambientata in tempi e luoghi differenti dai moderni debba seguire le medesime regole del parlato che vengono adottate oggigiorno.

Per esempio: https://www.youtube.com/watch?v=obc6jPd-9LM (per comodità ed amor di discussione assumiamo che i dialoghi del film siano corretti (la correttezza o meno dei dialoghi non è centrale nel mio discorso))

Subito ad inizio film c'è il seguente scambio di battute tra un tassista ed un personaggio nomato (sic) "Camillo":
Tassista: "E' il Colle dei Passeri questo qui?"
Camillo: "Tale è il nome di questa comunità, si"

Ora, nel film, "Camillo" è personaggio dai modi particolari; seguendo il suo pensiero, la sua risposta al tassista avrebbe dovuto essere resa come "una frase che userebbe un italiano venutosi a trovare in quella stessa situazione", modificandola in un più colloquiale "Si, esatto, è proprio così" (l'ho allungata un po' per farla entrare anche nel labiale).
Ma, se così avessero fatto, avrebbero completamente eliminato la caratterizzazione del personaggio, ne avrebbero svilito la peculiarità, togliendo allo spettatore un elemento ulteriore sul quale formarsi il giudizio.
« Ultima modifica: 02 Ott 2015, 23:55 da Thar »
Il giusto è giusto, anche se tutti gli sono contrari; è lo sbagliato è sbagliato, anche se tutti sono per esso.
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Offline Xibal

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1883 il: 02 Ott 2015, 23:45 »
"Li gusterò piano piano". "Li mangerò pensando a voi". "Quando li mangerò, penserò a voi".
Così però si perde tutto il significato del rapporto dei giapponesi col mondo inanimato/animato, di cui quel cibo si carica, e diventa, nel nostro modo di esprimerci, una questione di affettata emotività o vuota cortesia.

Mangiare qualcosa con riguardo, per esempio, significa che il pezzo di sushi non lo mordi ad una estremità, ma te lo infili tutto in bocca conservandone l'integrità, sezionarlo sarebbe come ucciderne l'anima conferitagli dalla sapiente, appassionata, amorevole preparazione dello chef.
Quel pezzo invece deve essere ancora "vivo" quando ti entra in bocca.
Il che non significa mangiarlo piano, nè mangiarlo pensando allo chef.
Mi viene in mente solo "Li mangerò come si deve", ma anche questo presuppone tutto un mondo dietro che conoscono solo le persone che se lo stanno raccontando a schermo in quel momento...
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Offline Cryu

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1884 il: 02 Ott 2015, 23:55 »
Mangiare qualcosa con riguardo, per esempio, significa che il pezzo di sushi non lo mordi ad una estremità, ma te lo infili tutto in bocca conservandone l'integrità, sezionarlo sarebbe come ucciderne l'anima conferitagli dalla sapiente, appassionata, amorevole preparazione dello chef.
Quel pezzo invece deve essere ancora "vivo" quando ti entra in bocca.
Il che non significa mangiarlo piano, nè mangiarlo pensando allo chef...
Ti piace pensarlo. Mi sta bene. Ma questa discussione non esiste. La persona è nota, le sue credenziali nulle, le sue idee aberranti, il suo operato amatoriale. Quella frase è orrenda, tutto il trailer è allucinante. Per conto mio difenderlo non è sostenere una posizione linguistica, è fare a pugni con la realtà.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1885 il: 03 Ott 2015, 00:14 »
Non è che piace pensarlo a me, funziona proprio così.
Persino consumare alcol può essere letto, in talune occasioni, come rinunciare volontariamente ad un pezzo della propria salute per condividere il proprio "cuore" con qualcun altro, e vale anche quando l'altra persona non sia presente, per cui è l'atto in sè, consumato in un certo modo (non basta il "pensiero") che diventa un "riguardo" nei confronti di quella persona.

Comunque non insisto, ho come l'impressione, con tutto il rispetto, che in questa discussione, a parte la grammatica, la lingua e tutto il resto, entrino in gioco anche altre considerazioni di natura più privata orbitanti attorno alla professione, in cui non entro proprio perchè tendo a fare a pugni con la realtà (non sono sarcastico).
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Offline MrSpritz

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1886 il: 03 Ott 2015, 10:56 »
Io ho già risposto a tutti, non ho più niente da dire. Chiamate Shito e fatevi spiegare la frase e la cosa del "riguardo". Poi si può benissimo non essere d'accordo con quello che pensa e che dice.

Comunque l'adattamento in questione non ti costringe a conoscere il testo giapponese, è la critica dell'adattamento in questione che ti costringe a farlo. Se vuoi criticare una traduzione o un adattamento, come pensi di poter prescindere dalla conoscenza del testo originale? Se tu vuoi criticare quel termine usato dall'adattatore devi conoscere il relativo termine giapponese scelto dall'autore. Non si scappa. Ma non è che per capire la trama dei film Ghibli devi conoscere l'originale giapponese.
Ma te lo ho spiegato. Io sono italiano ascolto una cosa che dovrebbe essere in italiano. Faccio fatica a capire e sento della frasi strane che mi suonano non italiane. Al che penso che il lavoro di adattamento, che dovrebbe servire a farmi comprendere meglio l'opera poteva essere fatto meglio visto che non capisco. In tutto questo non ho bisogno di sapere come sia l'originale giapponese.

Online Yoshi

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1887 il: 03 Ott 2015, 11:17 »
Due esempi banali ed estremizzati.

In Giappone quando si esce di casa si saluta dicendo:
"Ittekuru!"
e si risponde
"Itterasshai!"

Se si traducesse in modo letterale il dialogo risulterebbe:
"Vado e torno!"
"Vai e torna!"

Invece, dato che in giapponese non esiste un altro modo di salutare in quella situazione, un buon adattamento sarebbe:
"Io esco, ciao!"
"Ciao!"


Quando invece si torna a casa dopo essere usciti, chi rientra saluta dicendo:
"Tadaima!"
e chi è in casa risponde
"Okaeri!"

La traduzione letterale sarebbe:
"Eccomi" (anche se il vero significato letterale sarebbe "Proprio adesso":D)
"Bentornato"

Un buon addattamente sarebbe invece un normale:
"Ciao!"
"Ciao!"


Uno può scegliere di andare per la traduzione letterale, non volendo far perdere la sfumatura linguistica originale di quei saluti usati solo in quel preciso contesto. Il problema secondo me però è che la sfumatura si perde lo stesso, perchè o conosci l'espressione originale o non la noti, in più il risultato finale in italiano è inutilmente sforzato e appesantito.
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Offline Xibal

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1888 il: 03 Ott 2015, 11:58 »
Due esempi banali ed estremizzati.

In Giappone quando si esce di casa si saluta dicendo:
"Ittekuru!"
e si risponde
"Itterasshai!"

Se si traducesse in modo letterale il dialogo risulterebbe:
"Vado e torno!"
"Vai e torna!"

Invece, dato che in giapponese non esiste un altro modo di salutare in quella situazione, un buon adattamento sarebbe:
"Io esco, ciao!"
"Ciao!"

Perchè non: "Torno subito" (che è tipicamente nostro ed ha lo stesso significato), e "Mi raccomando"?


Citazione
La traduzione letterale sarebbe:
"Eccomi" (anche se il vero significato letterale sarebbe "Proprio adesso":D)
"Bentornato"

Un buon addattamente sarebbe invece un normale:
"Ciao!"
"Ciao!"
Scusa ma "Eccomi" e "Bentornato" cosa avrebbero di così esotico invece?

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #1889 il: 03 Ott 2015, 13:14 »
"Torno subito" implica che starai fuori poco, in giapponese questo significato in più non c'è.
"Mi raccomando" è, per l'appunto, una raccomandazione. In giapponese questa sfumatura non c'è, il saluto è standard.
"Eccomi" non lo dici il 100% delle volte in cui rientri in casa, in generale lo usi quando hai fatto aspettare qualcuno, in giapponese si usa sempre e quella sfumatura non c'è.
"Bentornato" non credo di averlo mai usato per un familiare che rientra in casa, suonerebbe desueto, la formula giapponese invece è standard.
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