Sarei invece curioso di conoscere il parere di qualche donna (@Ruko mannaggia a te dove sei).
Eccola, evocata da
@bub.
Non ho fatto studi linguistici specifici però da brava laureata in filosofia ho studiato a lungo Filosofia del Linguaggio in quanto interessata. E la filosofia, si sa, spesso pone giuste basi alle questioni.
Ho due osservazioni. La prima è direttamente collegata al pensiero di Wittgenstein e all’identificazione del concetto di
linguaggio performativo. Cos’è il linguaggio performativo? E’ quello che al momento dell’enunciazione crea una condizione di esistenza che supera sia la descrizione che la prescrizione.
Cosa significa concretamente? Non si tratta di illustrare/suggerire/chiedere attraverso un enunciato ma è l’enunciato stesso, attraverso la forma corretta, a porsi quale giustificazione del contenuto della comunicazione.
Se io “
ti amo” lo sto anche facendo. Se “
ti maledico” il ricevente conosce la volontà del comunicatore.
Se uso correttamente il maschile e il femminile riconosco quella condizione di esistenza
reale. Che, in mancanza di un termine totalmente inclusivo allora si deve articolare in modo diverso. Non sta a me dire come ma se l’esigenza esiste allora l’esigenza deve essere soddisfatta. Com’è accaduto per molte parole utilizzate in modo disinvolto in passato e giustificate sul piano del registro comunicativo e dell’intenzionalità dell’utilizzatore (es. “
frocio” in modo “simpatico”, brrrrr) la natura fluida del linguaggio deve adattarsi alle nuove sensibilità perché quello che andava bene ieri evidentemente non va più bene oggi.
Attraverso il cambiamento del linguaggio si cambia la realtà stessa attraverso quel processo, ahimè molto sconosciuto al funzionalismo e all’utilitarismo contemporanei, conosciuto come complessità.
Un mondo complesso richiede un cambiamento di parametri e trovo poco utile costruire un muro di vocabolari dietro cui asserragliarsi visto che nei processi sociali la cosiddetta “propensione empirica” che deve partire dal dato dell’esperienza per cambiare l’assunto teorico. Come ogni corretto processo ermeneutico prevede.
Poi sì, non è un mondo perfetto, si tratta di andare per prove di errori e di aggiustamenti progressivi ma non vedo come questo possa essere un ostacolo. E, a forza di utilizzare nuove forme più inclusive, quel cambiamento solo formale muta idee e pensieri nel tempo e questo si riversa nell’educazione. Ecco perché “performa”. Le parole, se mal utilizzate, discriminano. Se poi consideriamo anche quelle persone che si riconoscono in modo non binario la cosa non può che essere approfondita.
Tipo, rispetto a quanto state dicendo:
Secondo: criterio di preminenza e rapporto di minoranza. Quello che è “giusto”, “necessario” e “opportuno” spesso viene deciso dalla maggioranza/il più forte/imposizione/tradizione. E’ molto difficile che coloro i quali non avvertano un problema siano però anche quelli che il problema lo risolvano. Un problema non è un problema se non è un problema, purtroppo è la storia dell’umanità. Ma se la questione esiste (ed esiste) allora è necessario operare i cambi opportuni ascoltando le persone interessate e comprendendo la natura intrinseca della questione.
Sei dico, “
questi fiori, queste piante, queste rose e queste azalee sono molto belli” ho un aggettivo utilizzato correttamente a causa di un termine maschile su quattro, gli altri tre sono femminili. Grammaticamente corretto ma non è una rappresentazione reale della fattualità che ho davanti. Ecco un esempio, idealismo e dato di realtà confliggono a causa di una regola immutabile. Quindi, da donna, non è che mi senta offesa se, che so, un relatore che intervenga a un congresso di 100 persone composto da 99 donne e un uomo dicendo “
Tutti voi…”, solo che registro lo scollamento dalla realtà e comprendo il punto.
“
Tutti e tutte voi” e passa la paura. Perché non si tratta solo di compiacere qualcuno, è anche il comunicatore che affina la sua dinamica linguistica. Non è perfetto ma che problema volete che sia? Più che altro mi pongo anche il problema del linguaggio usato in modo cavalleresco, cosa che poi si ripercuote anche su aspetti specifici della realtà (es.: al ristorante la donna è la prima a dover essere servita dal servizio), per cui mi chiedo se la galanteria sia in realtà un presidio di fasulla parità di genere (“
Tutte e tutti”, “Signore e Signori” ecc.).
Tutti (er...
) continueremo a fare errori e il processo sarà lento ma per fortuna progrediamo così.
Fino all'estinzione, s'intende.