Non ho avuto il tempo di farlo finora, ma alla vigilia della chiusura dei TFP Awards, ci tenevo davvero tanto a ragionare con voi del perché ritenga Elden Ring (“
ER” nel prosieguo) un capolavoro e uno dei migliori giochi di sempre, oltre che, banalmente, il mio personalissimo GOTY.
Innanzitutto è bene mettere le cose in contesto: ER è il terzo vero step evolutivo del format Soulslike di
From Software e che vede quale capostipite
Demon’s Souls (“
DeS”), quale successore
Dark Souls (“
DaS”) e, a seguire, prima di giungere a ER, due seguiti interlocutori (DkSII e III) e uno spin-off (
Bloodborne, anche “BB” nel prosieguo).
Sekiro è un’altra cosa seppur ovviamente basato sui cardini di design di From. Detto in altri termini, in un universo alternativo senza seguiti “di passaggio”, ER sarebbe il terzo Soul effettivo. Ma così non è, e la reiterazione potrebbe, comprensibilmente, tradursi in saturazione nel caso di alcuni utenti.
Ciò detto, la forza di DeS, oltre alla ben nota alchimia tra meccaniche da basic action, dungeon crawler e RPG, risiedeva nel mettere il giocatore al centro di un viaggio fatto di eloquenti silenzi dove è il design delle mappe stesso, comprensivo di geometrie, posizionamento dei nemici, brilluccichii da tesori e imboscate ad istruire il giocatore sui premi e pericoli del mondo di gioco. DeS non è mai stato solonun gioco di buttare giù mostri ed imparare ad espugnare dungeon. DeS è stato un gioco di imparare a rapportarsi ad una certa visione delle cose, in un'epoca in cui le cose viaggiava in un'altra direzione, un gioco a 360° da ammaestrare e vincere a più livelli.
Il vero balzo evolutivo tra DeS e DkS è stato l’encomiabile lavoro di world design sostanziatosi in una mappa interconnessa che ha radicalmente cambiato il modo del giocatore di vivere la propria avventura, ponderare e affrontare i rischi di una traversata in più anziché in meno, ragionare della strada ottimale per arrivare ad un certo punto, nonché sperimentare di modi creativi di rompere la sequenza suggerita di progressione secondo una logica risk and reward.
La magia del world design DkS può essere riassunta in 3 cardini:
1. costruire una fitta rette di interconnessioni;
2. subordinare queste interconnessioni ad una brillante sequenza di chiavi e serrature sparse nel mondo di gioco, sì da fare del mondo stesso un puzzle da risolvere (con aree segrete davvero molto segrete);
3. strutturare la rete di interconnessioni, chiavi e serrature di cui sopra, per occultare e poi disvelare aree maestose fino a quel momento precluse alla vista del giocatore, innescando un “sense of discovery” estraneo alla maggior parte dei titoli del tempo.
L’arrivo ad Anor Londo è rimasto negli annali e non è l’unico momento di DkS ad aver suscitato stupore da scoperta. DkS non era necessariamente un grande RPG nel senso di gran roleplay e gran sviluppo buldico che si sostanzia in un combat curato e sfaccetato. Era un’alchimia giocata su pulizia dei meccanismi e spessore degli stessi invero molto gracili, che aveva il cazzo di merito di restituirci dignità da esploratori virtuali tra testa (punti 1 e 2) e cuore (punto 3) in una generazione di console segnata da merdoni parainterattivi e, citando qualcuno del foro che non ricordo, “capolavori scritti nella sabbia”.
Ora, DkSII, III e BB hanno, chi più (BB), chi meno (DkSII), senz’altro mantenuto i tratti fondanti di DeS. BB prima e per osmosi DkSIII poi, hanno, con sorti alterne, vivacizzato ed evoluto il combat system e il ritmo dell’azione secondo From. Nessuno dei 3, tuttavia, ha bissato la magniloquenza del world design di DkS. DkSII col suo mondo a raggi in massima parte non comunicanti, BB col suo mondo solo marginalmente interconnesso e a sviluppo per lo più orizzontale, e DkSIII col suo mondo ad autostrada con qualche deviazione verso la stazione di servizio, sempre complice il teletrasporto da falò disponibile da subito, hanno ridotto e banalizzato il senso del punto 1 (interconnessioni), conseguentemente ridimensionato l’appagamento intellettuale indotto dal punto 2 (ricongiungimento di chiavi e serrature), e reso il punto 3 (sense of discovery) un qualcosa che in massima parte si subisce, senza l’appagamento da aver giocato un ruolo attivo nel disvelamento del mondo (eccettuata una manciata di aree super segrete).
Ora, ER a mio avviso si propone un unico grande obiettivo: prendere i tratti fondanti di design di DeS e i 3 punti cardine del world design di DkS, ed applicarli ad un contesto open world. Il risultato a mio avviso è stato largamente centrato.
Quanto alla filosofia di DeS, la senti lì, sin dalla prima catacomba pescata a caso, che ricordo ancora come fosse ieri. Entri e subito, innanzi al falò del luogo, vieni messo alla scelta se andare dritto, verso una stanza che esibisce un tesoro al suo fondo, oppure deviare a destra. Il giocatore per sua natura sceglie prima un percorso di cui vede il fondo e il reward, anziché una deviazione di cui non si vede la fine. Entri allora nella stanza del tesoro e sbam, prima imboscata da dietro l’angolo. Il gioco, giocando sulla psicologia del giocatore, ha attratto quest’ultimo in un posto per insegnargli un’importante lezione: in questo luogo, guardati da ogni angolo! E questa sgradevole lezione, non a caso è stata impartita vicina al falò, dove una morte accidentale non sarebbe comunque risultata punitiva. Semplice, ma elegante!
Da lì il giocatore può inforcare la deviazione da cui si prosegue nella catacomba e, osservando con cautela, potrà anticipare i pericoli o subire i processi con cui From induce a prendere visione delle cose da certe angolature. Emblematico è il momento in cui si arriva in un corridoio invaso da una fiamma, e il solo modo per avanzare è aspettare che il getto di fiamma si plachi trovando temporaneo riparo in una via secondaria a metà corridoio. Il giocatore viene di fatto indotto in quel riparo da una mano invisibile e, da lì, spinto dalla necessità di riesaminare il getto della fiamma, potrà notare i gargoyle arroccati al muro in fondo alla stanza (se ha spirito di osservazione e voglia di osservare per davvero). Seguendo poi questo o quel bagliore potrà intuire l’esistenza di un passaggio segreto, avvicinandosi a questo o quel cadavere sporgente in maniera sospetta potrà scorgere piattaforme su cui farsi cadere. Ecco, ER è tutto così, un eloquente silenzio dove è la composizione delle stanze ad insegnarti a giocare, nonché un trionfale coniugio tra visual e level design atto ad innescare un continuo flusso di azione-induzione. Questo design è sperimentabile, nella sua forma più basic, nei primi elementari mini-dungeon, si ripropone nell’overworld e deflagra, incontenibile, nei maestosi (chi più, chi meno) Legacy Dungeon.
Non esiste game design così in giro, a parte
Nintendo,
Valve ed un’altra manciata di rari illuminati. La differenza di grammatica ludica utilizzata da un’opera di questo calibro ed un gioco, pur bellissimo ed affascinate, come
God of War: Ragnarok, la senti. Esiste semplicemente un abissale baratro ideologico che si fa sostanza. Per non parlare di
Horizon: Forbidden West, piazzatosi lì, nuovamente dopo l’imbarazzante confronto del primo capitolo con
Zelda Breath of the Wild (nel prosieguo "
BOTW"), a fare da manuale e reminder di COME NON FARE un open world.
E parlando di open world, se la trasposizione della filosofia di DeS è avvertibile sin dalle prime battute, è la trasposizione dei principi di world design di DkS a risultare più subdola eppure destabilizzante una volta compresa l’anatomia dell’Interregno. Vedete, magari non ci sono gli estremi per parlare di open world “dungeonizzato”, ma di open a “blocchi” interconnessi solo da una serie specifici di punti, a loro volta governati da chiavi, serrature e teleport magici sparsi nel mondo, assolutamente sì.
A scopo esemplificativo, partiamo della prima regione, Limgrave. Ci sono solo due modi per accedere a Liurna: o superando il Legacy Dungeon della regione, oppure trovando un passaggio nascosto. A sua volta, Limgrave contiene Fort Haight, che se espugnato ci darà in premio una delle due metà di medaglione che in Liurna serviranno ad aprire un passaggio per Altus Plateau, e da Limgrave si può raggiungere Caelid, in cui forte opzionale contiene la seconda metà dell’anzidetto medaglione. Ma ancora più importante, Limgrave cela, in un apparentemente innocuo boschetto, un ascensore che porta a scoprire un intero mondo sotterraneo nel mondo, a sua volta composto di aree più o meno articolate, con interconessioni sottoterra e sopraterra. Una volta a Liurna, non importa che abbiate recuperato i due medaglioni di cui sopra, che siate stati inghiottiti da un mimic nel Legacy Dungeon di zona, o che abbiate scalato una montagna a partire da quella che sembrava l’ennesima solita miniera: in qualche modo arriverete ad Atlus Plateau e sarà grazie alla logica di interconnessioni (3 vie in questo specifico esempio) e al sistema di chiavi/serrature di DkS, che godrete di quel sense of discovery da scoperta attiva che rese grande DkS. Riuscite a vedere ciò di cui predico ormai da troppi caratteri? La logica di world design di DkS applicata ad un open world?
Vedete, non serviva ER a ridare dignità all’esplorazione; a quello ci avevano già pensato bellamente i suoi predecessori, Outer Wilds e, parlando di open world in senso stretto, ovviamente BOTW.
La scelta/limite di BOTW e di tanti open world magnifici (se non altro nel layout delle mappe) è di rimuovere, dopo la prima sezione in area da tutorial, qualunque limite visivo e di percorribilità a qualsivoglia regione del mondo. Magari non sarai potente abbastanza da indugiare in quelle aree, ma dopo i rispettivi tutorial, BOTW, gli AC e praticamente qualunque altro open world contemporaneo ti danno l’opportunità di raggiungere da subito qualunque zona della mappa e di osservarla senza impedimenti di sorta.
ER fa apparentemente due passi indietro, per fare in realtà un balzo avanti: ti occulta alla vista intere regioni e, per rendere la scoperta gesto attivo e genuina ricompensa ludica, si avvale di chiavi e serrature. Chi non ha detto
wow alla prima visita all’underworld? Chi non ha detto
wow al primo arrivo ad Atlus Plateau? Chi non ha detto wow alla scoperta di quel dungeon nei cieli? Chi non ha detto
wow, quando, ad oltre 100 ore, con un gioco che aveva già elargito l’impossibile in termini di diversificazione di mini-dungeon e corposità dei Legacy Dungeon, ti cela e poi disvela quell’intero blocco di mondo - voi sapete dove - a Nord-Ovest? ER è un susseguirsi di momenti Anor Londo.
Ragazzi, questa roba non esiste in un nessuno degli open world summenzionati. Quei giochi, chi più, chi meno, sanno renderti un esploratore. Qualcuno, a partire da The Witcher 3, si avvale di “gate narrativi” determinati dall’avanzamento nella main questline per sbloccare progressivamente la mappa. Qualcuno usa un modello ibrido tra quello quasi totalmente open di Ubisoft e quello narrative driven di The Witcher 3.
Nessuno, nessuno, a parte ER, sa renderti scopritore realmente attivo di un mondo mediante completamento di un'articolata sequenza compiti ludici complessi e magari pure dislocati in punti diversi del mondo di gioco.
Se non si afferra questo, a mio avviso, si manca totalmente il senso dell’opera.
Ciò detto, non è che abbia le fette di salame sugli occhi e non abbia visto le imperfezioni di cui questo ER comunque è macchiato. Le ho viste, mi son pesate, e a ciascuna di esse potrei dedicare un numero di caratteri pari a quello speso finora (ma ve lo risparmio!
).
Ovvio che ho rilevato la ridondanza di catacombe, miniere, e compagnia cantante, nonostante, ad onor del vero, in From si siano sforzati di mettere qui e lì sempre un qualche elemento di design inedito volto a diversificare e movimentare un minimo le cose. Ovvio che, anche per il sottoscritto, ER non sfugge alla maledizione dei “contenuti seriali” delle mappe sovradimensionate. Ovvio che ER non sia il gioco che elimina l’effetto checklist, semmai lo occulta e mitiga furbescamente. Ovvio che, per tutti i motivi di cui sopra, ER non sia il gioco che immunizza da quella che ormai nel web viene giustamente indicata come “open world fatigue”.
Ovvio che questo engine e le sue magagne mi abbiano scartavetrato la minchia, sebbene poi, alla fine della fiera, questo mondo te lo ricordi. Mr. Muscolo Digital Foundry 2022, con la sua linea d’orrizzonte da miopia, la carenza cronica di world design, barriere artificiali da PS2, e l’interfaccia da “non mi fido di te giocatore della domenica”, voglio vedere in quanti se lo ricordano…
Meno ovvio, ma meglio precisarlo, quanto mi faccia mediamente cagare il boss design di From - e non da ER, ma da mo’ e da mo’ - che a sto giro assomma i peccati che furono di DkS3 (attacchi mal telegrafati o a rilascio ritardato ad cazzum, mal calibrati su tempi di parry e di roll, che portano a memorizzare il pattern anziché sviluppare una genuina reazione allo stesso) con quelli che furono di Sekiro (AoE e trial and error con non prevedibilità del pericolo oltre la soglia di ragionevolezza…).
Il bilanciamento di fino non è mai stato di casa From, ma a sto giro se ne sono sbattuti in radice prediligendo l’ignoranza ricreativa e dando strumenti in grado di abbattere davvero qualunque resistenza (dash ed evocazioni). Forse meno pretenzioso che in passato e in definitiva, forse, rispettabile, ma dura da digerire dopo il più marziale e parzialmente illuminato Sekiro.
Potrei andare avanti con altre aree critiche, ma il succo è, non è che abbia giocato un altro gioco rispetto ai pochi insoddisfatti su questi lidi, è che, in ciò in cui ER eccelle, ossia il restituire al giocatore ruolo attivo nella scoperta di un mondo, gli altri giochi neppure ci provano. E nelle cose in cui ER non eccelle, gli altri giochi non fanno bene neppure la metà. Perché è pacifico - spero - che in una manciata di tombe di ER c’è comunque più design di quanto non ce ne sia nella quasi totalità delle attività seriali proposti da altri titoli? Quanti altri action rpg propongono un bestiario, mobs + boss, che valga, quantitativamente e qualitativamente, anche solo un quarto di ER? Quanti, hanno anche solo provato a cimentarsi nella costruzione di un mondo così sfaccettato nel suo concepimento planimetrico (sì, lo so che non tutte le aree sono parimenti strutturate) e realizzazione artistica (again, lo so che non tutte le aree sono parimenti ispirate), sostenendo il tutto con un world building/lore di cotanto spessore?
Essù!
Il listino dei difetti lo sappiamo fare tutti con più di 30 anni di gaming sulle spalle. Ma se con 30 e più anni di gaming sulle spalle stiamo a guardare il dito anziché la luna, allora c’è un problema di equilibrio di giudizio o - banalmente e pacificamente - un’inconciliabile divergenza di vedute su ciò è game design degno di futura memoria e ciò che non lo è. Fortunatamente per questa industria, mi pare che l’apprezzamento di critica e pubblico si assesti sul plauso quasi unanime che pure aveva accompagnato BOTW, e ogni opinione divergente è utile nel momento in cui, nel bene e nel male, la formula Souls di From risulta giunta al suo picco di espressione e di usura.