PT1.
Bravo
@Laxus91, il posto tenuto caldo era rovente.
Tre run, duecentotrenta ore dopo, un platino tutto sommato fattibile, probabilmente l’accadimento videoludico più significativo del 2022, stando almeno alle produzioni tripla A.
Procedo in modo sistematico per tematiche, così da isolare le singole questioni.
Spoiler non mortali ma comunque presenti.
Organizzazione dell’open world Riguardo alle diverse declinazioni che l’open world può assumere molto si è detto e scritto, personalmente sono del partito della significazione procedurale (ogni open world offre un diverso approccio che il giocatore deve capire e comprendere, pena il fraintendimento dell’opera) e sono un sostenitore del principio di accordo interno (open world con medesime caratteristiche o addirittura carenti sul piano sostanziale che tuttavia possono incontrare il favore soggettivo di ambientazione, meccaniche e sensibilità), rendendo il confronto e la dialettica più difficoltosi.
Di base, come ho avuto modo di scrivere in passato, credo che l’open world come categoria sia sovente investito dall’errata interpretazione dell’utenza che ricade spesso e non volentieri negli stessi errori:
1)Prendere l’open world prediletto a misura degli altri;
2) Non comprendere le regole d’ingaggio di una struttura ludica che richieda tempo e acclimatazione, sempre e comunque;
3) Attribuire gusti/propensioni/limiti personali a una struttura ludica che magari richieda e offra proprio quel tipo di esperienza, creando un corto circuito di senso logico.
Fatta questa premessa, che tipo di open world offre
Elden Ring? Risulta efficace e significativo? Alla prima domanda si risponde allargando il discorso, alla seconda posso già anticipare: sì, anche se qua e là qualcosa è andato storto risultando meno incisivo di quanto ci si potesse aspettare e auspicare.
Essenzialmente i souls sono sempre stati degli open world peculiari, in passato però la presenza di una ripartizione scandita e blindata unita a snodi obbligatori meccanici e geografici relegava il tutto a un arcade adventure con ampia discrezionalità. Parlando di game design questa, in passato, s’è dimostrata una scelta opportuna, in quanto lo sviluppatore può organizzare e ordinare la sfida secondo pietre miliari ben riconoscibili dal giocatore. In Elden Ring questi paletti sono saltati e già si prefigura la prima perplessità di un mondo immediatamente tutto disponibile (che poi non è vero, come ha scoperto chi ha approfondito) in cui cercarsi la propria, personale, scala di difficoltà e progressione personale. Ci si fanno un po’ le ossa a Sepolcride, poi vado a dare un’occhiata a Tetro Bosco prendendo sonore mazzate rispetto al presumibile livello necessario per affrontarlo. Allora vado verso la parte ovest della mappa e trovo uno lago smisurato dove avanzare a poco a poco, fino a quando qualcosa di soverchiante non ucciderà il mio personaggio e le mie ambizioni. Allora proviamo a est, verso quel rossore diffuso che s’intravede all’orizzonte e lì si comprende anche troppo bene e velocemente come non sia il caso, almeno per il momento. E Sepolcride e l’incombente castello di Gran Tempesta non sono più così detestabili e si riprende a esplorare finché il livello raggiunto non sia adeguato.
Mmm…discrezionalmente confuso oppure eversivamente personalizzabile in base al proprio livello di bravura?
Non esiste una risposta univoca, solo l’attestazione di maggior eleganza di opere interne a From come
Sekiro che sapevano insegnare a giocare all’utenza.
Per quella che è stata la mia esperienza il punto lo ha colto
@Dan:
Elden Ring presenta una struttura di open world essenzialmente modulare e appartiene a un modello già presentato, esperito e digerito altrove. Il fatto che sia tutto disponibile ed esplorabile senza apparenti limitazioni è solo un modo per mascherare una ripartizione in zone abbastanza classificatoria e “orizzontale”, come prima, come in passato e come sempre.
Il fatto che il tutto sia relegato alla funzione conoscitiva del giocatore è naturalmente un merito su cui tornerò dopo ma lo stupore drena velocemente e, come osserva correttamente
@jamp82,
Elden Ring in questo senso è davvero un
Dark Souls 4 che abbraccia l’open world poiché il cambiamento è formale ma non sempre sostanziale, scommettendo sulla libertà come dispositivo di novità.
In secondo luogo, l’open world è spesso criticamente soggetto a ridondanze, ripetizioni e riciclo di assets e tutto quello che ne consegue. Dispiace dirlo ma
Elden Ring non sfugge a questa triste prerogativa e ciò mette un po’ in discussione l’onestà intellettuale del sostenitore From. In realtà è qualcosa di fisiologico, con l’aumentare di dimensioni e quantità lorda di cose da vedere e da fare un po’ di ripetizione è scontata e forse anche scusabile. Quello che indispettisce è la mappatura prevedibile di queste ridondanze, vale a dire la costellazione di dungeon, sotterranei, miniere e interni che si propongono al giocatore con asfittica costanza. Banali, per quello che la serie ha già presentato negli anni; sfiancanti, per le micro variazioni che non possono però assurgere a idea caratterizzante e meccanica precipua.
Qui From non ha fatto meglio di molti altri, anzi.
Dove
Elden Ring funziona e convince in relazione a questo aspetto è la ricostruzione lenta e faticosa che il giocatore deve operare per avanzare e procedere sensatamente. Caratteristica presente anche in opere come
Breath of the wild e
Death Stranding e qui
Elden Ring non delude e fa scuola. Tra pianure, colline, altopiani, crepacci, alture, forre, creste, villaggi diroccati, rovine infestate, manieri lontani e costruzioni megalitiche l’orizzonte di
Elden Ring è una provocazione costante e continua. Arrampicate pazienti possono portare ad affacciarsi su abissi insondabili e quindi bisogna tornare indietro. Battere palmo a palmo una parete rocciosa e scoprire con emozione un sentiero nascosto che mena a un tempietto appartato è qualcosa di indescrivibile. E che dire della soddisfazione nell’identificare una meta lontana e capire il modo per raggiungerla? In
Elden Ring se lo vedi allora puoi arrivarci. Il “come” è davvero la cosa più interessante del titolo, la vera applicazione di level design diffuso e su larga scala.
Buono anche il level design “localizzato”, ossia quelle ambientazioni che si preoccupano di creare collegamenti e movimentazione all’interno di catelli, rocche, magioni e così via. Come in passato, non meglio che in passato ma in ogni caso lodevole e riconoscibile. La formula “ F
rom porta le interconnessioni a livello open world” che leggo in giro per me è fuorviante, è vero che le ambientazioni possono collegarsi attraverso il sottosuolo o cose di questo genere ma trovo che la già citata “orizzontalità” renda il tutto molto più blando. Che poi la Capitale sia un capolavoro di strade, ascensori, tetti, vie sacre, stanze, sotterranei e così via nessuno può negarlo, però parlerei correttamente di un innesto del modello di mappatura “From-Souls” in una struttura altrimenti molto più standardizzata.
Realizzazione tecnica e artistica.A From si riconosce un certo gusto e una capacità di comporre quadri in movimento che in effetti è possibile ritrovare anche in
Elden Ring. Ci sono occasioni in cui è bello lasciare da parte il joypad e godersi il titanismo poetico di questo mondo eternamente sospeso nella luce e nella stasi. Certe immagini mi rimarranno impresse a lungo per l’esecuzione formale: i pinnacoli dell’Accademia di Raya Lucaria, le mura a strapiombo di Gran Tempesta con le tracce del passato, l’altopiano di Altus, tra il montacarichi e l’ingresso colossale della Capitale, Villa Vulcano e tante altre dispositive.
I rilievi in negativo sono 2: il primo è dato appunto dalla natura cross-gen del progetto, ogni tanto il gioco presenta luoghi a scarsa densità poligonale e con poco dettaglio, ricordando titoli di un paio di generazioni fa di hardware console. Questo è comunque un aspetto ampiamente prevedibile. Per correttezza bisogna dire che se si viene da qualche titolo coevo di buona fattura tecnica il confronto è davvero impietoso, a scapito del gioco From.
Secondo: ci sono luoghi più curati e altri meno. Quando il gioco abbandona il fantasy fiabesco e immoto e si avventura in altri contesti più particolareggiati e tipizzanti (vedi parte est della mappa) affiora poca ispirazione e un uso del colore non ottimale che taglia superfici e volumi. In realtà è una cosa rilevabile anche a Sepolcride, non un biglietto da visita ottimale per il gioco in cui il gusto di From che tutti riconosciamo pe me scricchiola un po’, avrebbero potuto curare di più l’incipit del gioco. Pur ribadendo quanto detto all’inizio di positivo per me
Elden Ring è il souls più interlocutorio dal punto di vista artistico dopo Dark Souls 2, evidentemente nell’esigenza di dover diversificare qualcosa sul piano estetico si è ricorso a scelte audaci sul piano cromatico e non tutto è proprio a fuoco.
Su una questione ci ha preso perfettamente
@Ruko: a prescindere da come la si possa vedere da una prospettiva interna e soggettivamente saliente, dopo 13 anni l’immaginario di From è frustro e rientra pienamente in un aspetto della modularità di cui prima si parlava.
Demon’s Soul, Dark Souls, Dark Souls 2, Bloodborne, Dark Souls 3, Sekiro (il più innocente in tal senso, vista l’ambientazione) e infine
Elden Ring. Tredici anni di castello con sobborghi e bastioni, di accademie di stregoneria, di archivi, di zone lacustri con nebbia, di paludi mefitiche con veleno, di zone con giganti, di capitali ecc. ecc. Sono elementi che non solo ritornano come categorie, spesso ricorrono identici, visivamente parlando. Si potrebbe osservare che
Zelda faccia la stessa cosa ma attenzione, Zelda mantiene figure e nomi (Water Temple, Gerudo, e così via) e ogni volta ne fornisce una visione diversa e caratterizzante. Qui no. Quelle scale, quelle mura, quei pinnacoli, quella palude, quei nemici, quella progressione.
Per questo condivido anche un’altra osservazione della metallara: c’è poco che io non abbia già visto prima e, forse, meglio. C’è l’adeguamento tecnico (relativo purtroppo, è un titolo cross-gen come detto) ma si tratta sempre e solo di quelle cose lì. E i nemici? Tutto visto, sperimentato, combattuto, infinte variazioni di cavalieri, canidi, zombie, granchi, aragoste e tutto quello che concerne i dettami del fantasy gotico estremizzato. Non ho intenzione di misconoscere un concetto a me molto caro, ossia i registri classici e comunicativi, la critica è relativa alla dimensione espressiva interna al franchise, davvero sclerotizzata e cristallizzata.
Posso però accogliere il suggerimento di
@Jello Biafra che mi evocava in tal senso: il senso di sommatoria di nemici, elementi e stratificazione visiva operata da From in
Elden Ring richiama davvero la gloriosa tradizione coinppistica giapponese anni ’80 e ‘90, quella di Capcom, di Taito ecc., in cui l’istanza videoludica è il primo parametro da seguire, proprio perché un videogioco funziona proprio quando così appare, senza mistificazioni legate al nascondimento della sua reale natura.
Elden Ring si mostra orgogliosamente come videogioco, credibile poiché incredibile, coerente come luogo dell’incoerenza massima.
Vi ricordate cosa si diceva di
Dark Souls 2? Ripetitivo, scontato e derivativo. Vi ricordate il mantra ricorrente di
Dark Souls 3? Si tratta di un’antologia, un compendio, un “best of” di tutte le ambientazioni tipiche dei Souls. Ebbene, questo 6 anni fa, adesso cosa si dovrebbe dire di un gioco che tramanda in modo diretto i medesimi contenuti stilistici? Intendiamoci, ci sono margini di discussione per difendere l’originalità visiva di
Elden Ring in base al proprio sentire personale, diciamo però che opere come
Bloodborne e
Sekiro hanno saputo almeno reinventare soluzioni già viste in chiave personale. Efficacissima l’immagine di
@Cryu, medesimi attori che recitano in film o rappresentazioni diversi, quindi non puoi non riconoscerli. Al paragone aggiungo che il soggetto messo in scena è spesso molto simile e per questo la fantasia collassa su se stessa.
A titolo di puro gusto personale aggiungo anche la (a mio avviso) non perfetta amalgamazione tra le diverse ambientazioni, per cui ho trovato l’organizzazione globale della mappa non impeccabile. La parte centrale e nord ovest presenta uno sviluppo coerente e armonico, mentre tutta la parte sud (est-centro-ovest), escluso Gran Tempesta, procede un po’ per sommatoria di elementi cromaticamente stridenti e geograficamente non verosimiglianti (che non vuol dire realistici ovviamente), offrendo poi scarse zone di raccordo tra mondi differenti.
Ecco la cesura dei precedenti souls oppure, misericordiosamente, la suddivisione in capitoli di
Demon’s Soul, è un modo per prevenire il problema…