Allora, finito in 4 run consecutive, ne ho le palle abbastanza piene. E dire che avevo detto che una volta sarebbe bastata ma sono piuttosto tardo a capire. Davvero adesso non lo voglio vedere più o peggio, non ne voglio vedere un seguito. Ma non è per forza un male. No spoiler dài…
Non so, parlare troppo di
TLoU è un po’ come parlare del sesso e fare i conti della serva. Si può parlare dell’incredibile realizzazione tecnica ma questo non restituirebbe il lavoro pazzesco dietro alle ambientazioni, ai personaggi e alla regia; si può parlare dell’ansia trasmessa da ogni metro guadagnato a forza di appostamenti, ronde, tentativi e interpretazioni ma questo sarebbe solo una copia sbiadita del terrore pure che assale il giocatore alle prese con la fattibilità preventiva del tutto. E ancora, gli snodi narrativi del titolo lasciano il giocatore appanicato di fronte a schermate che sfumano in nero, personaggi il cui destino è aggrappato a un gesto, a un tempo cronologico/meteorologico che fonda l’umore provocando mestizia e cordoglio.
Come si può parlare di tutto ciò? La cosa migliore sarebbe quella di lasciare il giocatore consapevole di fronte al gioco aspettando che esperisca quanto dovuto e la verità lo raggiunga sfolgorante al di là di ogni pretesa di comunicazione verbale. Non si può raccontare la storia di
TLoU, visto che sono le macerie a raccontarla. Non si possono riportare i dialoghi tra i protagonisti, visto che il detto e il non detto si compensano alla grande, anzi, si giustificano.
Qui si pone un problema fondamentale: può la critica videoludica, per quanto sacrosanta, recedere dalla sua missione peculiare e rinunciare a se stessa una volta, una tantum e ammettere che di certe cose non si può parlare e che il tutto è inutile e sciocco?
Vi sono due bisogni che confliggono radicalmente tra di loro senza tuttavia potersi annullare o pacificare. Da un parte l’esigenza di simmetrie epuranti che squadrino la realtà in modo netto e inequivocabile, senza l’ambiguità del pensiero debole; dall’altra un istinto ferino, a tratti violento, di veder trionfare la passione contro ogni buon senso e convenzione, ogni stupidaggine critica di cui il mondo dei videogiochi è pieno. Si potrebbe pensare che in fondo le due pulsioni non siano così in contraddizione ma per
TLoU ho paura di dover ammettere che ogni forma di trasmissione del piacere sia dannosa e tutto sommato abbastanza presuntuosa. Mi vuoi spiegare perché ti sei emozionato o voglio che il mio punto di vista dìa voce a coloro che come me hanno seguito e giocato le vicende di Joel ed Ellie.
Per quanto ne sia un portatore insano, soffro molto l’istituto dell’opinione. L’opinione fa l’uomo forte e sicuro di sé, pronunciarla con risolutezza al cospetto di un uditorio indefinito trasforma le parole in verità, così che l’uomo incerto possa sempre mutare i propri convincimenti in relazione all’ultimo che prenda la parola. E’ soprattutto il mondo di Internet. Nulla è semplice, tutto è complicato, un’idea è e rimane la finestra aperta sul nostro universo di ignoranza diffusa e conoscenza residua, nessuno conosce causa, svolgimento ed esito delle altrui fortune. Più forte è l’opinione e di conseguenza maggiore sarà la stupidità veicolata. Il mondo è tutto un ciarlare di quello che non si conosce con l’etere frustro di parole vuote. Potrei partire con decine e decine di argomentazioni a carico di questo e quello, mettere il tutto sul bilancino, ammantando le argomentazioni con la forza della dialettica. Sviscerare
TLoU, sezionarlo. Con la premura di apparire lontano, poco partecipativo, disquisire di una questione essenziale come il giudizio e le sue conseguenze richiede un grado di distacco formale che certifica la bontà di qualsiasi tipo di risultato. Disumano, parlando di
TLoU, di fronte al quale anche un appassionato di analisi come me deve soccombere apofanticamente.
Forse qualche consiglio, quello sì…
Giocarlo tralasciando la fame del videogiocatore di razza, che esplode, brucia, consuma con la fretta di colui che vuole sapere e conoscere.
TLoU va “
capito” piano, quasi centellinato, è un gioco da meditazione come può esserlo un vino d’annata assaggiato in punta di palato in un monastero dimenticato mentre si legge un tomo antico. C’è molto in quelle texture, in quei poligoni assemblati mai alla rinfusa, in un racconto che è suggerito e non portato volgarmente alla consapevolezza. L’umanità brutalizzata è il marcio che fa coincidere vittime e carnefici, alla ricerca di quella prosecuzione immota dell’esistenza che è materia narrativa di per sé. E’ una storia degli esiti, una linea a fondo pagina di un foglio bianco che il giocatore deve compilare da solo, a ritroso, intuendo, pena l’afflizione del senso reale degli eventi messi a schermo. Che, quando accadono, per scelta o per logica narrativa, investono il giocatore di ineluttabilità e senso del tragico e come raramente capita di fronte a un videogioco, la differenza tra percezione del codice binario e annullamento nella credulità si azzera per far irrompere il non quantificabile, l’inaspettato, l’arte probabilmente. La scelta è tutta una finzione nel gioco della continuazione della specie, della sua difesa, della differenza tra il “
micro” che riguarda l’amore che si può provare verso un singolo essere umano e il “
macro” come forma di adesione al piano ineludibile del destino, del fato, del caso. La differenza tra natura e giustizia. Un finale vero e imparziale quello emesso dall’uomo che si armonizza con qualcosa di personale, utopico nella sua fragilità, travalicando ogni aspetto assoluto e ogni bene sociale. Ma non potendo attingere a una legge morale ormai frantumata dagli eventi e non avendo il conforto di una consolazione trascendentale che indichi il giusto e l’errato, l’epilogo della vicenda colpisce duro alla stomaco e graffia il cuore già da tempo esangue. Difficile rintracciare qualcosa di simile nella mia memoria recente di videogiocatore.
Preziosa l’intuizione di
Vikingus che, a mio modo di vedere, ha centrato il cuore delle questione in modo così opportuno da evidenziare premessa, svolgimento ed esito della riflessione. Legare ludicamente TLoU a una categoria di gameplay significa fargli del male ed evidenziarne le storture visto che il giocattolo non regge stressando il meccanismo alla ricerca dell’esecuzione perfetta. Sia che si tratti di un approccio action, sia che lo si voglia interpretare in chiave stealth il gioco decide di mischiare le carte in tavola, non sempre onestamente, con le variabili aleatorie che però vogliono trasmettere un concetto di fondo: è un gioco di sopravvivere e in questi termini si tratta di cavarsela, non di pianificare. Nel senso, di pianificare troppo come di battagliare eccessivamente, si orientano risorse e tattiche al momento e come conviene. Sempre i mezzo alle correnti, sempre ND, è il loro stile, la pavidità concettuale. Abbiamo mancato di poco l’appuntamento con la Storia Videoludica sotto forma di quello che essenzialmente la fonda ma non era questa la generazione giusta e temo che non arriverà mai. Anche per una questione di livello di difficoltà intrinseco, il livello Normale e purtroppo anche quello Difficile non consentono la perfetta espressione del titolo in tutte le sue drammatiche esigenze. Troppi gli attrezzi, troppe le soluzioni, troppa la libertà che, seppur ricchezza, permette di destreggiarsi oltremisura in questo terrore, senza arrivare mai a palesarsi con la sua violenza, spesso è proprio il giocatore a complicarsi la vita risparmiando per un’apocalisse che però non si verifica. Un uso saggio e razionale di risorse e ingredienti trasformano molte situazioni ludicamente interessanti in uno sfoltimento da ragioniere del gameplay che non fa bene al titolo. E’ mancata la cattiveria, è mancata la crudeltà del prodotto inflessibile che con ogni probabilità avrebbe reso un’esperienza tesa in un incubo da cui tirarsi fuori incantati. E’ per questo che l’ho voluto completare 4 volte, per dare ragione dell’impianto ludico comunque presente e concentrato. Forse
TLoU avrebbe potuto essere un capolavoro di concetto e videoludico come lo è stato Forbidden Siren ma i dettami dell’odierno intrattenersi non permettono radicalizzazione verso la maestranza di quest’arte se non da un punto di vista meramente tecnico. In questo senso, c’è solo di che ringraziare della forma contemporanea che questo gioco ha assunto.
Infatti, dopo la premessa, ha senso di parlare di gameplay e di equilibrio? E’ questo lo scopo di
TLoU?
Quando l’osmosi di scorci, dialoghi ed eventi di insegue per tutta la giornata, stai a scuola e pensi a Joel, tua moglie vuole trombare (esempio irreale
) e tu pensi all’inverno che è arrivato, quando tutto ciò ti lascia una macchia opaca nel tuo animo di videogiocatore…che senso ha chiedersi se il gioco sia perfetto? Quando la durezza s’è trasformata in dolcezza, quando la fiducia tradita viene cancellata dalla bellezza e poi di nuovo acutizzata nel volgere della storia, con la scena di quell’animale lì…
TLoU è un gioco narrativamente incredibile come si è detto, per una serie di scelte legate soprattutto al registro letterario e visivo spiccatamente denso e intimista, con incursioni dialogiche preziose. Il gioco diviene genuinamente didascalico tutte le volte che è richiesto, non limitandosi ad essere una wikipedia del mondo che ambisce a rappresentare, quanto, piuttosto, del senso e dell’anima che sottendono questa realtà; quindi, detto ciò, è doveroso sottolineare come la funzione progressiva del racconto non si esaurisca nella semplice esposizione dei fatti e della vicenda, ma di come, in effetti, il suo ruolo comporti tutta una serie di trasformazioni successive della materia ludica. Il giocatore, mai come ora, è prima di tutto osservatore del mondo, di tutto ciò che è fenomeno ed epifenomeno, una sguardo curioso che capta le immagini degli eventi che fluttuano sulla superficie della realtà che si trova ad attraversare. Una visione che sembra avere ben poco di analitico, assolutamente priva della testimonianza diretta dei personaggi e degli eventi, ma custode di quella volontà di vedere, capire e conoscere che svincola TLoU dal concetto retrivo di cutscene che tanto ammorbano. Si vuole saperne di più, ma le pagine del testo sono spalmate nell’ambiente-gioco. L’indagine copre la totalità del sensibile quotidiano del mondo residuo, una finestra sulla mutevolezza della natura umana e non, la sfera delle passioni, degli umori, che si evince dalla condotta nelle grandi miserie ma soprattutto nella visione di usi e costumi di questo mondo corrotto, il modo in cui gli uomini e mostruosità si contendono il giorno. Questo racconto, che potrebbe ridursi ad una sequela di fatti e descrizioni pedisseque, viene accolto dal senso estetico del giocatore e ci viene restituito con la forza dell’immaginazione, attraverso la bravura dello sceneggiatore e la perizia nel percepire ed evidenziare l’intima ed intrinseca natura di persone e cose. Lo spettatore non può far altro che accogliere questo procedere, esserne messo a parte come un segreto esclusivo, rielaborarlo alla luce del proprio intelletto e della propria fantasia ed infine, produrne una personalissima interpretazione.
Un punto di non ritorno della capacità narrativa del videogioco, non molto apprezzata da queste parti, forse anche un limite o una stupida chimera ma non si può fare a meno di bearsene quando il risultato è questo. Splendido poiché, allo stato attuale, il videogioco si conferma, rarissime eccezioni a parte, un demanio di profonda adolescenzialità in quanto incapace di elevarsi al di sopra delle puerili richieste dei contribuenti e dimentico dei più sensibili al bisogno di cambiamento. E laddove nel gioco d’azione propriamente detto le sciocchezze spesso sono a fondamento della semplicità concettuale che sottende il ben più importante costrutto ludico, un titolo basato sulla scrittura e sulla narrazione deve necessariamente puntare ad una maggiore maturità di contenuti, pena l’allontanamento della frangia più adulta ed esigente dell’utenza.
TloU coniuga gameplay e narrazione come pochi altri giochi hanno fatto.
Insomma, non era giusto parlarne ma l’ho fatto…Giocatelo per il vostro stesso bene.