Per l’ennesima volta, Game Pass si rivela il vero Game of the Year. Quanti giochi ho potuto giocarci che non avrei mai pagato singolarmente (e quante cose che invece avrei comprato e che si sono rivelate delle mezze sole non ho dovuto pagare per intero). Compreso questo.
Jusant, proprio non me l’aspettavo, è stato uno di quei giochi che ho avuto voglia di rimettere su dopo la prima partita, invece di chiedermi chi me lo facesse fare. Probabilmente grazie a un gameplay comprensibile e mai troppo arzigogolato (nonostante tutti quei pulsanti da premere), al ritmo ben gestito, alla quasi totale assenza di narrativa forzata e allo scarsissima riflessione richiesta da quella non forzata. Probabilmente.
Diciamo la verità, è un walking simulator in verticale. “Climbing simulator” evocherebbe cimenti e complessità che il gioco, grazie al cielo, non offre. Il gameplay non è nemmeno così originale: potrei scommettere che qualcosa del genere si sia visto addirittura in 2D da qualche parte e in qualche tempo, perché alla fine non fa altro che costringerti a usare più tasti di quelli che in realtà sarebbero necessari per gestire tutto benissimo.
Alcune meccaniche sono strepitosamente videogiocose, come il vento, a dimostrazione che qui il realismo non è stato minimamente considerato. Omaggi visivi (a regazzì, due espressioni in più potresti farle) e cuorosi al Team Ico ben in evidenza, ma a livello di sfida e di evoluzione delle meccaniche si vede ben presto che non è un gioco giapponese. Nelle prime fasi pensavo che mi sarei ritrovato a gestire i chiodi da scalata con assoluta parsimonia e ad affrontare sezioni millimetriche con la stamina al lumicino, con la morte per il minimo errore. E invece nulla di tutto ciò. Morire credo sia impossibile, il momentum delle oscillazioni sulla corda non si esaurisce mai, i chiodi da scalata sono una copertina di Linus per i più paurosi ma è possibile finire tutto quanto senza mai usarne uno.
“Platinare” un gioco del genere non ha senso. Non c’è una vera sfida, e spulciare ogni anfratto va contro il ritmo e l’obiettivo del viaggio. Jusant è un buon esempio di come l’ossessione collezionistica del gioco 3D moderno, che richiede di esplorare ogni cantuccio da cima a fondo per trovare roba totalmente extraludica, vada ridimensionata. Esplorare tutto ha senso se il premio sono punti-vita extra, armi, potenziamenti. E invece siamo arrivati al punto che quella roba la compri a parte con soldi veri, mentre negli angolini oscuri della mappa di gioco c’è la lettera di uno che reclama perché non gli arriva più il giornale. Lasciarsi indietro i passaggi più reconditi di Jusant è cosa buona e giusta, perché impedisce al gioco di perdersi in qualcosa che non è e di durare più della sua giusta durata. Per la verità non mi sarebbe dispiaciuta un’oretta in più, una o due meccaniche in più. Ma va bene così. Felice di averci giocato. Non scenderà mai a un prezzo a cui non avrei remore ad acquistarlo.