Parte finale un po’ più inquietante perché compaiono nemici invulnerabili e auditivamente destabilizzanti.
Alla fine rimane un puzzle tridimensionale in cui i nemici sono poco più che telecamere automatiche da evitare. Il combattimento è talmente brutto che l’orrore vero è quando diventa necessario per proseguire nel gioco (fortunatamente solo nel caso di due boss, a memoria).
Il gioco incoraggia l’approccio totalmente stealth, ma le risorse sono sufficienti per uccidere (sempre in modo stealth) quasi tutti i nemici, cosa che anche se non necessaria facilita e rilassa un po’ la vita.
Intelligenza e adattabilità dei nemici sono a livello “primo esperimento tridimensionale da parte di un ragazzetto nella sua cameretta”.
Il messaggio che veicola i problemi vissuti dalla cugina della protagonista sono evidenti sin dai primi cinque minuti e proseguono sfiancanti e ripetitivi fino alla fine, con scenografie e scritte sui muri ripetute che perdono completamente la loro forza già dalla seconda ripetizione (e ce li ritroviamo a nastro fino alla fine).
Peccato perché gli ambienti sono molto belli e illuminati in modo estremamente convincente. Mancava proprio una direzione significativa su cosa metterci dentro, secondo me.
Siamo lontanissimi dall’inquietidine e dalla brillante psicologia di Silent Hill, anche se in alcuni casi il gioco timidamente prova a fare il suo.
Quindi, insomma, tirando le linee: è uno stealth ambientato in zone per lo più associate all’adolescenza con meccaniche elementari, una buona telecamera che funziona anche in ambienti stretti, meccaniche action (evitabili) abbastanza terribili (con mirino incollato a punti sensibili e altri orrori) e ambienti modellati molto bene.
È gratis e quindi magari un giro lo merita anche solo per vedere come gira Stadia, ma per me, dopo Ryme, è un altro centro mancato da parte di Tequila, che fa tanto bene certe cose ma proprio malino altre.