Visto ieri, motivato dal biglietto da visita di Arrival e da recensioni confortanti, che mi avevano acceso la speranza di poter vedere un film scifi da tripla A quantomeno decente, per ripulirmi la bocca dall'amaro lasciato da Ghost in the Shell, Valerian e dallo stesso Alien Covenant.
Ma no, per me non ci siamo, per niente. Concordo al 100% con Pandarro sul definirlo insignificante e, se si pensa a Blade Runner, credo possa bastare questo aggettivo per rendere l'idea di quanto l'opera di Villeneuve manchi il bersaglio in maniera clamorosa.
La cifra registica mi è sembrata pretenziosa, estetizzante e soprattutto distaccata, fredda. Nel suo fondersi con una fotografia e una colonna sonora che ostentano, altresì, vuoto virtuosismo minimalista, fa sì che l’esecuzione filmica, nel suo complesso, sembri un tentativo maldestro di imitare il Refn più lezioso e meno ispirato (come quello di The Neon Demon, per capirci).
A voler essere stronzi, c'è anche da dire che una direzione artistica così patinata fa violentemente a schiaffi con l’approccio materico e sporco del precursore, finendo per non trasmettere l'idea di una condizione umana che è andata ulteriormente degradandosi dopo le vicende di Deckard e Rachael.
Alla fine, mi viene pure il dubbio che sia stata semplicemente una scelta tutt'altro che autoriale, ma funzionale a comunicare a colpo d’occhio il target group della pellicola, onde evitare incidenti di marketing à la Ghost in the Shell (del tipo "ué vedi che questo è un film serio, eh, mica 'na cinemarvellata"), anche perché il vergognoso product placement di cui sono infarcite innumerevoli inquadrature sgonfia la genuinità dell'afflato artistico in maniera tanto brutale quanto involontariamente ironica.
La gestione dei tempi, monotona e assurdamente dilatata (perché TUTTO il film ha un ritmo univocamente e inspiegabilmente lento, indipendentemente dal cosa stia mostrando/narrando), non fa altro che esaltare questo preziosismo formale e mettere a nudo o meglio spolpare, sino alle ossa fragili e marce, una sceneggiatura debole e zoppicante, con ripercussioni negative sulle performance attoriali.
Villeneuve è riuscito nell'ardua impresa di riportare a galla il Gosling di Young Hercules, mostrando, a tratti, uno dei talenti migliori dell'Hollywood contemporaneo con un'espressività paragonabile a quella di una caciotta esposta nel banco frigo del supermercato, intenta a meditare su non si sa bene cosa sotto il bagliore dei neon.
Ford ha ragionevolmente perso la sua plasmabilità, è ormai un pezzo di roccia segnato dai ruoli iconici interpretati in una vita di successi, oggettivamente difficile gestirlo per fargli ricordare il personaggio di una delle sue performance più giovani, furiose e libere. E, infatti, a me non è sembrato neanche per un attimo di ritrovare Deckard da Vecchio, ma solo Ford da Vecchio, sebbene meno autoreferenziale e calligrafico del Ford da Vecchio che faceva il cosplayer di Han Solo in Episodio VII (e ci mancherebbe, aggiungerei, Abrams è insuperabile nel rappresentare l'icona funzionale alle erezioni del fanbase piuttosto che il personaggio funzionale alla narrazione del film).
Su trama e contenuti stenderei un velo pietoso. I risvolti che si agganciano al predecessore non vengono approfonditi in maniera tale da portare avanti il rapporto umani-replicanti secondo uno sviluppo convincente e sostanziato. Restano semplicemente 'vicende', finanche fumose e deboli nel loro dipanarsi.
Gli aspetti che, invece, vorrebbero ampliare il campo visivo sull'universo distopico di Blade Runner, nel tentativo di pennellare un affresco più corale (magari con il subdolo fine di aprire le porte a sequel e/o spin-off), sono gestiti anche peggio. Tra riferimenti vaghi, inseriti a casaccio, e personaggi privi di spessore, presentati in maniera scomposta, viene fuori un pastiche astruso. Per dire, Leto in sé non è quella rovina del film che alcuni recensori dipingono, anzi… piuttosto, è il suo ruolo che, a mio avviso, rende inutilmente convoluta e, per certi aspetti, monca la vicenda. Questo vale anche per la maggioranza degli altri personaggi, fatta eccezione per una manciata di comprimari.
Insomma, la sensazione che mi ha lasciato è quella di far balenare con furbizia ammiccamenti cyber-antropologici e sviluppi futuri apocalittici come fumo negli occhi per innescare curiosità. Un peccato, ché, nel complesso, spunti buoni ce ne sono, come i temi della virtualizzazione dei rapporti e la condivisione digitale dell'identità, i quali, se opportunamente, gestiti avrebbero offerto una evoluzione mordace, ficcante e moderna al futuro presentato da Scott. Ai fatti, invece, sono utilizzati come spunti per estendere il minutaggio della pellicola attraverso mero onanismo audiovisivo da videoclip artsy.
Al netto del paragone con la pellicola di Scott (paragone superfluo e anche controverso, ché, forse, lo Scott di oggi sarebbe riuscito paradossalmente a fare di peggio), per me è solo un altro film inutile che rimarca quanto l'attuale cinema di genere fantastico fatichi a raccontarsi nel presente, magari riuscendo anche a intrattenere.