Allora, finito, livello Guerriero, 20 ore, no spoiler.
A 4 anni di distanza dall’uscita è il caso di dirselo: NG1 era già un gioco nextgen. Lo era per l’impostazione grafica (più che per la resa grafica, figlia dell’hardware su cui girava), per concezione. Lode a lui.
Il concetto è semplice, solare, distinto: NG 1 non è semplicemente un picchiaduro a scorrimento come tanti altri, una variazione pop-trash-kitch sulla figura del ninja, dal punto di vista meramente costitutivo rimane un’opera che non intende rinchiudersi nella definizione di gioco settoriale. Perché nella sua struttura aperta a diverse ambientazione che fanno parte di un unico corpus progressivamente disvelabile, la fase più prettamente picchiaduristica ed arcadeosa si scioglie e si riflette in una composizione da kolossal videoludico che ricorda, come intenzioni ed importanza altri capisaldi della categoria “videogioco giocato-videogioco classicamente inteso” quali Mario 64, Zelda OOT e così via. Un prodotto a tutto tondo, una pietra miliare che deve solo il suo rango al capostipite di epoca moderna, quel DMC1 che da solo ha riscritto il destino del picchiaduro a scorrimento anni 80, che comunque affianca, ringrazia e saluta con un esito che è decisamente superiore al picchiaduro Capcom. Quindi NG1 esula dalle opinioni, dalle inclinazioni, dai discorsi accademici, esso è, prima di ogni altra cosa, una tappa fondamentale nel percorso orientativo di qualsiasi videogiocatore che ambisca a definirsi tale. La sua qualità ludica e la sue perfezione etimologica ne fanno una sorta di ipertesto gravido di suggestioni e significati, oltre a dimostrare ai più giovani, ossia a coloro che per una questione di anagrafe non hanno potuto vivere una stagione straordinaria del videogioco, cosa fosse il videogioco prima che qualche divinità oscura del marketing e della commercialità trasformasse il tutto in questa bolgia indistinta di controller da sventolare in aria, istanze narrative risibili e la pretesa che il videogioco debba essere per tutti, senza che questi tutti si decidano ad assimilarne la grammatica. E’ pacifico, si può evitare, escluderlo dalle proprie preferenze, rifugiarsi nel legittimo demanio della discrezionalità ma ecco, sarebbe come chiedere ad uno studioso di letteratura di formarsi una professionalità ed una ragione veduta senza conoscere L’Iliade, L’Odissea, I Promessi sposi, la Divina commedia ecc. ecc. Possibile? Sì. Opportuno? No.
Presupposto:Ed ecco Ninja Gaiden 2…La domanda è: valeva la pena di porsi sullo stesso piano del predecessore, valeva la pena di entrare in quella astrusa formula del more of the same, per proporre la stessa identica cosa con più, tutto di più (longevità, armi, nemici, ecc. ecc.) quando, sappiamo bene, questo genere di operazioni non porta ad altro che ad una melanconica accettazione delle quantità ravvisabili e ad un moto d’insoddisfazione serpeggiante che idealizza il passato e distrugge la percezione del presente. No, non solo si è deciso di cambiare la formula di partenza, la trasformazione che ci ha portati a NG2 è molto più profonda di quel che sembri, in quanto si è passati da un gioco dai contenuti universali ed universalizzabili rispetto al proprio contesto ad un titolo settoriale, di genere, di maniera, dedicato. NG1 è un titolo seminale dall’esecuzione perfetta destinato ad essere paradigmatico nell’ambito riconosciuto del Videogioco; NG2 è un picchiaduro a scorrimento perfetto e nulla più. Io trovo che questo possa considerarsi l’approccio più intelligente che Itagaki potesse seguire, soprattutto in un’epoca in cui il videogioco tradizionale basato sul ricognizione segnica, sul fantastico e sulla pretesa videoludico-meccanicistico sta scomparendo, non a caso è lo stesso autore ad informarci che la parabola evolutiva ha raggiunto il suo massimo e che la storia non accoglierà più un altro NG da lui concepito. Quindi non è casuale che NG2 si rifugi ancora di più in quell’intransigenza elitaria che lo vede addirittura depauperarsi di orpelli ininfluenti alla doverose progressione ed edificazione del videogioco quale risoluzione in sé. Non è un ambiente che fa il piacere di giocare, l’ambiente è da sempre uno spazio-gioco per definizione, il luogo dello svolgimento, il pretesto per cui siamo, veniamo, facciamo. Non credo che in passato, alle prese con Double Dragon, Vendetta e Final Fight vi fosse in noi la pretesa di concepire l’assoluto e l’infinito in quella riga stringata di parallasse oppure in quei 8-9 pixel che formavano la pianta che a sua volta formava la foresta che a sua volta di diversificava dalla città. NG2 si è fatto Crash Bandicoot, si è fatto Shinobi (Ps2) la linearità procedurale non si trasforma per forza di cose in una bidimensionalità del pensiero o delle abilità richieste. Semplicemente cose, eventi e personaggi sono un flusso inarrestabile che anela ad un dimensione del videogioco quanto più vintage possibile.
Tecnica: Ok, lo sappiamo, i jappi non ce la fanno ed a quanto pare non ce la possono fare. Le cause possono essere molteplici (tool di sviluppo validi di origine occidentale, crisi del videogioco tradizionale in Giappone, diversa filosofia di programmazione ecc.) ma non è questa la sede. Rimane il fatto che NG2, tecnicamente, si difende piuttosto bene, arrivando, occasionalmente, ad essere anche ottimo. Attenzione, sopra l’ottimo ci sono svariati livelli di eccellenza, quindi è il caso di accettare placidamente il nuovo posizionamento di NG2 nella rispettiva generazione rispetto al gioco tecnicamente perfetto quale era NG1 ai suoi tempi. I filmati pre.release non rendevano giustizia al frame rate a 60 fps generalmente fluido (si, ci sono dei rallentamenti, ma la loro occorrenza è del tutto incapace di minare l’idea che il motore grafico sia performante ed ottimizzato) e la densità poligonale in accordo con la frequenza a video lascia abbastanza soddisfatti riguardo alla coerenza ed alla solidità del tutto. Man mano che i livelli procedono, nuovi effetti e ambientazioni successiva innalzano il grado di soddisfacimento che si prova avanzando attraverso città, palazzi e così via. Non sono da meno le creature, generalmente piuttosto pregne di particolari e, nel caso dei demoni più grandi si possono apprezzare texture pregevoli, I boss poi, sono assolutamente mirabili. Lo stile…Beh, suvvia, è un discorso vecchio. Team Ninja ci propone superfici patinate e lucide, demoni zannuti e uomini appena usciti dai concept art di Master of the Universe, le donne sono rappresentare sempre nella loro strumentalità sessuale ed il tutto è affogato nel posticcianesimo e nell’ostentazione. Trash? No. Approssimazione? Neanche per idea. Cattivo gusto? Può darsi, ma quello che bisogna capire è che non c’è nulla che riguardi lo stile grafico di questo team che non sia assolutamente pensato e ricercato. Anzi, esso è quesi una ricerca filologica di un periodo, gli anni ’80, del tutto avulso dall’esegesi di un fenomeno, ma solo innamorato della sua estetica. Si potrebbe dire lo stesso di GTA Vice City, oppure, contestualmente di Halo. Prendere o lasciare. Ryo Hayabusa sembra Big Jim, in NG1 si passa “daundirigibileadunvillaggioninjacazzocentra mentr qui “villaggioninjanewyorksimilvenezia” con un’insensatezza che sembra non vedere la luce. Salvo caricare un qualsiasi Shinobi anni ‘80 e scoprire che “nel tempio all’interno della foresta c’è un cyber-samurai che aspetta di combattere ma una volta ucciso c’è il livello sulla tangenziale con i ninja cattivi in deltaplano che devono far cadere il protagonista dull’asfalto, il tutto per arrivare alle fogne con i teppisti…” E ci si accorge che tutti i titoli dell’epoca (anzi, quell’epoca) era pensata come un 69 fra oriente e occidente in cui si faceva tutto, tranne che guardarsi in faccia, appunto. E ritorni all’odierno titolo Tecmo con la consapevolezza che forse c’è lo stesso desiderio tributativi/elegiaco si un “Kill Bill”, un opera citazionistica. Che, infine, come stile forse è più ricercata di tutto il resto…
Gameplay: In NG1 si aveva il tempo di soppesare le forze in gioco, soppesare pro e contro delle proprie azioni ed infine prodursi in un’azione che fosse al contempo risoluzione positiva dello scontro ed eredità per quello successivo. Il tutto con una puntualità ed una classe che abbiamo imparato a conoscere, approfondire ed apprezzare in questi ultimi anni. NG2 è più ambizioso, nell’ottica di quella filosofia della riduzioni a cui si faceva centro prima: introduce una sorta ci caos canonizzato in cui il protagonista deve opposi all’impossibile. 10, 20, 30 avversari, tutti contemporaneamente, tutti potenzialmente letali, tutti effettivamente mortali. Non è raro sbiancare di fronte a quella fronda compatta di lame e punte, zanne e artigli, mandibole e cose, che si riversa senza pietà sul povero Hayabusa, le battaglie di questo sequel fanno impallidire quello del primo gioco, assimilabili, a confronto, a scaramucce leziose ed innocue. Il giocatore è al centro dell’azione, i nemici smettono di essere quello che in videogioco non si può e non si potrà mai essere, ossia personalità specifiche. Il nemico finalmente, tenace, ontologicamente sempre identico, quella funzione già rispolverata in God Hand, quella posizione che mette l’avatar del giocatore al centro delle azione da compiere, uno contro tutti, uno contro il male. In realtà, vi è un motivo comune assai sottile, un ponte labile fra piacere di giocare come unicità di soggetto in contrapposizione, verso un nemico di cui, straordinariamente, è assicurata solo la valenza letale e l’apporto continuo. Il gameplay si appoggia bensì sulle rimozioni e pulsioni aggressive del giocatore, sul suo piacere di aggredire e distruggere, sul suo appetito per lo straordinario e lo spettacolare che si procura da solo, sul suo bisogno ossessivo di autonomia guerriera. Essa sfrutta l’energia di tali pulsioni individuali e le sottomette a sé , senza di che non potrebbe esistere in quanto soggetto in opposizione. Santo cielo, siamo videogiocatori!!! Il VG non è solo una sequela di immagini che sollazzano senza che esse pretendano da noi qualcosa. Vincere un videogioco facilmente e attraversarlo come se fosse un film è uno svilimento della propria essenza e del proprio mandato. Questa è l’estasi del guerriero, l’esplosione della sua volontà di potenza. E la fa con mezzi ancestrali, con la sua violenza primigenia (questa si chiama violenza antropologicamente intesa non il ruffianesimo lucignolante di GTA IV), la compresenza fra due parti in causa nel medesimo contesto non è possibile, non è accettabile, uno deve perire, una deve scomparire. In questo NG2 è anche superiore al suo celebre predecessore. Spogliato del superfluo e asciugato dalle pause, sembra proprio che il progetto Ninja Gaiden da parte di Itagaki abbia preso la forma più pura e cristallina della lotta, a cui si unisce il gusto per la disumanizzazione dell’avversario e per la desacrazione del corpo quale vessilo dell’anima. Feroce, brutale, ossessionante, ancora una volta si tratta di intuire, di spingere una volta di più le proprie percezioni per esplodere nell’esecuzione perfetta, vedere prima che qualcosa accada e piegare le sorti dello scontro alla propria maestria. E nella temperie di colpi, stoccate e parate, il giocatore deve addomesticare il caos, squadrarlo entro i limiti delle proprie azioni, isolare ed isolarsi, ripartire in continuazione perché chi si ferma è perduto. Ed i boss sono la via alla purificazione della carne, tremo all’idea di cosa troverò al livello di difficoltà superiore.
No signori, i videogiochi non sono tutti uguali e questa è una verità che esula dalla semplice banalità della cosa. Perché questo è un gioco che pretende una dedizione ed un amore che non è interscambiabile con qualsiasi altra esperienza interattiva, vi richiede che sfruttiate culturalmente e sostanzialmente il joypad che avete in mano, è destinato a spaccare in due l’opinione pubblica videoludica, da una parte coloro che lo innalzeranno a messia di un mondo che non c’è più e che, ultime notizie alla mano, non potrà essere più e dall’altra coloro che vedranno l’ennesimo gioco in cui si menano le mani con ambienti squadrati e senza motivazioni intrinseche.
Difetti: Uhm…Beh, dovendo proprio cercare il pelo nell’uovo, bisogna dire che il decisivo cambio di giocabilità ha portato a soluzioni che possono piacere o meno. L’energia che si ricarica alla fine di ogni combattimento è una dimensione la cui accettabilità si fa man mano più forte. All’inizio il disappunto è presente, praticamente sembra proprio che si abbia una sorta di energia infinita e che niente e nessuno possa intralciare la missione, sebbene il numero di oggetti curativi trasportabili sia drasticamente diminuito. Nel corso del primo livello la cosa è irritante; alla fine del secondo il sopracciglio è inarcato; alla fine del terzo pensi che tutto sommato ci si possa essere sbagliati; alla fine del quarto ringrazi il Dio della guerra per l’ottima idea. Perché la stranezza di Ninja Gaiden 2 è che, paradossalmente, è gioco più difficile del precedente ma che, in maniera forse non proprio opportuna, esso è semplificato posteriormente. Semplificato ma non più semplice. Non bisogna gestire il proprio inventario, il gioco è stato concepito affinché ogni scontro sia mortale e la sopravvivenza rimane l’obbiettivo principale. E poi, nel caso dei test di valore, la questione di sfiora la perfidia. E’ il lato oscuro della questione “giocabilità complusiva”.
La telecamera. Per l’appassionato di NG, è il caso di dirlo, la telecamera non è mai stato un problema. Il tasto per posizionarla alla spalle è il verbo del videogiocatore, tanto che, provate a chiedere, chiunque abbia sviscerato questo gioco difficilmente ricorre allo stick destro, Alma a parte. Oggettivamente è biasimabile d’accordo, ma su serio, nessun problema. Ma in questo NG2 il detrattore troverà la faccenda ulteriormente peggiorata ed il tutto è reso più problematico dalla quantità di nemici. Bisogna affidarsi alla visione laterale ed all’intuito ma a volte la situazione è insostenibile. Purtroppo è un difetto oggettivo, ma sembra proprio che Team Ninja se ne freghi.
Tutto questo per la cronaca. Per quanto mi riguarda finisce tutto in gloria.
Ninja Gaiden 2 è il gioco giusto al momento giusto. Un monumento al videogioco, quello vero, quello che non teme mode e passioni passeggere. Bisogna giocarci per capire, bisogna giocare ad altro per capirlo ancora meglio. E non giocarci affatto significa non capire il videogioco.