Guardate con quale superficialità gestivano i rapporti economici con l'Iraq. Che vergogna.
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,175221,00.htmlEcco come Saddam Hussein contrabbandava petrolio
di Francesco Fusco
Aggirare i controlli Onu sul petrolio era facile
Ai "supervisori" bastava ricevere un fax
Così l'Iraq praticava sconti molto particolari...
...lucrando miliardi di dollari per anni interi
-QUEI MILIARDI GUADAGNATI CON L'EMBARGO
I commenti dei lettori, positivi o polemici nei confronti di chi scrive notizie provenienti da fonti non interessate, mi spinge ad approfondire l’argomento dei miliardi di dollari di Saddam Hussein, ricavati oltre che da un improprio utilizzo dei fondi derivanti dal programma oil for food decretato dall’ONU e da un fiorente contrabbando di quote di petrolio.
Trecentocinquanta miliardi di dollari: a tanto ammontano i fondi affluiti nelle banche arabe. Sono soldi da occultare in luogo più sicuro delle banche svizzere o occidentali, dove avrebbero potuto essere battezzati (cioè individuata la provenienza) e quindi sequestrati? Le banche arabe naturalmente sono meno disposte a fornire, specialmente in questi momenti, informazioni a chi volesse investigare. Sono tutti o in parte di Saddam Hussein? E’ arduo fornire una risposta definitiva. Perciò abbiamo fatto una ricerca sui meccanismi che presiedono al famigerato oil for food e come Saddam Hussein abbia potuto aggirarlo.
Il petrolio iracheno è proprietà dell’ente petrolifero di quel paese, il Somo (State Organization for Marketing Oil), controllato da Saddam, con sede a Bagdad. In seguito all’invasione del Kuwait, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu emise nel 1990 unarisoluzione, la 661, che disponeva l’embargo totale nei confronti dell’Iraq. Risoluzione che venne modificata nel 1995 dalla “956” che disponeva appunto il programma oil for food.
Bene, chi voleva comprare petrolio dall’Iraq, e ne aveva i requisiti, bastava facesse una richiesta agli oil overseers (i supervisori) dell’Onu, i quali a mezzo fax (una paginetta prestampata di cui abbiamo copia) inviavano l’autorizzazione con l’obbligo che il pagamento della partita venisse concordato con lo stesso Onu, su un conto speciale dal quale l’Iraq poteva effettuare i pagamenti delle merci ammesse (cibo e medicinali) e destinate alla popolazioni.
Spesso a fare tali richieste erano importanti raffinerie, ma sovente erano anche brokers di tutte le parti del mondo. In particolare – anche per la loro collocazione geografica – erano operatori residenti negli Emirati Arabi Uniti (spiegheremo dopo perché usiamo l’imperfetto).
Siamo riusciti ad ottenere la copia di uno di questi fax, con l’intestazione in inglese e francese “Nazioni Unite” indirizzato proprio da “The Oil Overseers under Security Council Resolution 956 (1995)”, regolarmente siglato da questi, e indirizzato a “The Permanent Mission of the United Arab Emirates to the United Nations”, con il quale si autorizza l’acquisto di una grossa partita di petrolio. La data è del giugno 2000, e si riferisce ad una richiesta del 5 maggio di quell’anno. Solo che quel fax non reca alcun numero di identificazione (o è stato scolorito?) prima della fotocopia, e pertanto è facilmente riproducibile all’infinito, rendendo così possibile l’autorizzazione da parte dell’ONU per una quantità di contratti a volontà. Un facile giochetto per chi volesse procurarsi un’autorizzazione fittizia. Se sono stati questi i controlli ONU allora stiamo freschi!
Siamo andati a vedere ancora più a fondo e siamo riusciti ad identificare una società di brokeraggio appunto residente negli emirati. Questa proprio nel settembre 2000 offre un contratto “open” , vale a dire aperto, cioè illimitato ma “nell’ambito delle quantità previste da Somo e Nazioni Unite”. Si stabilisce quanto previsto di solito circa le caratteristiche del compratore, il tipo di contratto da firmare con la Somo, il tipo di pagamento, eccetera. Poi alcune clausole fanno sorgere i primi sospetti che dietro tutte quelle formalità di rito si nasconda qualcosa di diverso.
Dapprima il porto d’imbarco di Jeyhan, (o Ceyuhan) nel sud della Turchia, e in alternativa quello di Al Baker (o Mina al Baka) nel Golfo Arabo (ma inutilizzabile perché i suoi impianti sono danneggiati), e non quello di Um Qasr (vicino Bassora divenuto famoso in questi giorni di guerra).
Poi il prezzo. Il Somo vendeva a prezzi ufficiali (OSP, Official selling price) fissati appunto con le Nazioni Unite con uno sconto di 6 dollari sul prezzo di cartello (per esempio DTD Brent). Invece, nella proposta si faceva riferimento a uno sconto diverso da quello stabilito da Somo e Nazioni Unite: sconto di 3-4 dollari se esportato in Asia o Africa, 3,50/4,50 dollari sotto il Brent se esportato in Europa, e 4 dollari sotto il West Texas se diretto negli Stati Uniti. Ma poi veniva fuori un’altra clausola destinata a insospettire: “per il momento Somo non accetta alcun contratto con società degli Stati Uniti, Inghilterra e Olanda”. Come mai? Badate siamo nel settembre 2000. Avevano paura di essere scoperti?
L’offerta si riferiva sia a petrolio cosiddetto “pesante” (Api 27-28 con 3-4 per cento di zolfo) sia a petrolio leggero (Api 32-36 con 1 per cento di zolfo). La quantità patteggiata era di 300.000 tonnellate al mese, vale a dire 2 milioni e 100mila barili, da spedire con preavviso di 10 giorni.
Vogliamo fare allora un poco di conti ? In quel momento con gli sconti praticati, il prezzo netto per Bagdad era di 23 dollari a barile, franco porto turco. 23 dollari, per duemilioni centomila barili, fanno 48,3 milioni di dollari al mese, per dodici mesi fanno 579,600 milioni di dollari! All’anno, e per un solo contratto!
Volevamo tuttavia approfondire ancora di più e abbiamo cercato di contattare il broker negli Emirati. Ma senza successo. L’emiro che aveva firmato l’offerta, M B A ,(riportiamo solo le iniziali per ovvi motivi) non era più rintracciabile telefonicamente. Lo abbiamo cercato sul web. E abbiamo fatto una interessante scoperta che giustifica l’imperfetto con il quale ci esprimevamo: il sito del gruppo, quello privato dell’emiro, quello delle società collegate, non sono più rintracciabili, sono stati cancellati, chiusi. Sapete quando? Quello privato il 27 marzo scorso, alle 0,18 del mattino, quello del gruppo il giorno prima, il 26 marzo alle 3,38. Che siano stati scoperti? Che la Cia abbia provveduto a fare un’irruzione? Difficile saperlo.
Chi ci legge provi ora a mettere tutto assieme, e soprattutto a immaginare quanti contratti da due milioni di barili al mese l’Iraq ha potuto realizzare negli ultimi dieci anni. Con dieci all’anno si arriva facilmente a cinque miliardi di dollari annui, che naturalmente non sono rimasti a dormire: una parte è andata a finanziare gli “amici”, a pagare tangenti per l’acquisto di armi, a fare la bella vita, ma il resto è stato investito. E i miliardi producono altri miliardi. Almeno se affidati a esperti finanzieri, magari in Svizzera, o Francia, o Lussemburgo o Liechtenstein. Alla faccia di quei poveri iracheni dai visi precocemente invecchiati, di quei bambini che si vogliono trasformare in guerriglieri, o scudi umani, e che sono serviti e servono inconsapevolmente come strumenti propagandistici di un satrapo (non vi è nome più adatto) che li destina a una vita miserevole, e che nei prossimi giorni corrono il rischio di essere immolati, vittime innocenti della follia distruttiva di un conflitto.
(2 APRILE 2003, ORE 10)