I CRITICI SON TUTTI CAZZONI, part 1Merda, ecco cosa sto pensando in questo momento, non perché so giá di aver perso, di quello ero consapevole giá prima di battere la prima lettera, ma perché al mondo esistono davvero troppi scrittori con i controcazzi, ed io per ora non sono uno di questi.
La competition é appena iniziata e non so chi votare, spero mi venga l'ispirazione mentre scrivo quanto segue, la solita critica. Come sempre tutto questo si prefissa un unico scopo, ringraziare chi si é sbattuto per riempire o meno settimila caratteri che non volevano uscire. Perché l'ho imparato sulla mia pelle, quando il tuo racconto non si prende manco un voto e viene dimenticato dopo neanche un paio d'ore, qualsiasi riga di commento lasciata dietro diventa oro. Ivan diceva chissá dove che lo scrittore si deve abituare al silenzio (more or less), vero purtroppo, ma penso anche che sarebbe proprio bello il contrario e poi non 'ringraziare' é un po' da cafoni.
Clerks é americano dentro, non quell'americano che chiunque non ci sia mai stato si aspetta, racchiude in sé il vero spirito americano. Non a caso si chiama Clerks, giá per conoscere la fonte originale del titolo, un po' di vera america si dev'essere conosciuta. Cosa vuol dire tutto questo, Clerks é l'unico racconto (dei quattro) che non pretende di sapere le cose, le sa e basta. Per questo mi é parso di esserci in quella mall, certo l'aver visto ultimamente lo splendido remake di Dawn of the Dead ha aiutato non poco, ma nulla toglie alla bravura dell'autore. Cos'ha che non funziona il racconto? Presto detto, si autocompiace troppo, non sarebbe un male se alcuni passaggi, come del resto Max faceva notare, vanno riletti due volte per capire la dinamica degli eventi. Purtoppo in una storia breve (ma anche in un romanzo ora che ci penso), la rilettura uccide la tensione, l'appassionamento, il convolgimento, insomma la mente anziché leggere va da un'altra parte e si risveglia troppo tardi, a storia finita. Questo é l'unico problema di un racconto scritto bene, con un avvincente padronanza della lingua, ma che stra-fá poco prima della linea d'arrivo. Peccato perché al suo interno ci son cosí tante perle che tutto sommato la rilettura mi ha fatto notare.
Cucinare nell'Inferno ha un grosso problema, gli mancano dai due ai quattro passaggi di editing (more or less). La deadline era tiranna ed i miracoli riescono solo a quello Lí, quindi c'é poco da rimpiangere, ma davvero, non scorre come avrebbe potuto. Il racconto ha anche un altro problema, questa volta piú che altro soggettivo, si basa piú che altro sulla pericolosa scommessa del farti affezionare ai protagonisti. Per me é stravinta, ma evidentemente non é facile riuscirci in cosí pochi caratteri, bisogna non solo saperci fare, ma anche attuare delle scelte narrative che per forza di cosa non andranno a genio a tutti. Che cazzo sul dire? Che il racconto é lento, ma non per questo peggiore. Trattandosi di due anziani la cosa ci sta a fagiolo, perfetta la scena del bastone del vecchio, mi ci son visto mio nonno, davvero un piccolo colpo di genio. Non é il solo, ma non é questo il punto. Cucinare nell'Inferno per quanto mi riguarda é stato un piacere da leggere, cinque minuti un po' amari e volendo riflessivi, poi arriva il finale. Davvero, senza offesa, non ci stava. Se si voleva a tutti i costi farlo rimanere in-topic son sicuro ci sarebbero stati altri espedienti che il solito finale a sorpresa che chissá quanti altri avranno adoprato. Forse é questa la cosa che piú mi ha deluso, il racconto aveva un'atmosfera tutta sua, splendida a mio avviso, ma che viene squarciata dall'ultima frase, come la fottuta sveglia al mattino.
Dissolvenza in Nero mi ha fatto capire tante cose, che non so scrivere racconti in prima persona o, almeno, che c'é qualcuno che li sa scrivere davvero bene. Il piú grande pregio che riesco a trovarci é il ritmo impostatogli dall'autore, non é un racconto proprio breve, eppure scorre come una saetta e finisce senza che te ne accorgi, esemplare. Adesso peró la rivelazione: io mica l'ho capito sto racconto. Per caritá non ci vedo nulla di sbagliato, stile di scrittura, suddivisione degli eventi, colloquialitá a patto che si dica, ma non lo capisco. L'anti-eroe, egragiamente ritratto dalla prima all'ultima riga, fa la fine del coglione, si rinchiude nel frigo, ok. Ma é giá zombie? Perché altrimenti "Io lo so. Io sono già morto" vuol solo essere una frase ad effetto senza troppo senso. Questo non capisco, l'ho pure riletto due volte e in un racconto che tanto non saprei criticare come si deve, perché proprio non ci trovo nulla di sbagliato, volevo evidenziare quel passaggio. Magari sono solo io a non averlo capito, ma anche cosí resta stilisticamente parlando il piú valido dei quattro e almeno personalmente una fonte dalla quale attingere (non ho detto copiare), per la prossima competition... maybe.
ed infine
Il Diario di Luise che parte male, ma si guarda bene dal finire peggio. L'autore voglio sperare che non sia una donna, perché come tale, perdonami (soprattutto se lo sei) non convince. Chiaro é il tentativo di raffigurare una svampita che con il corso della storia matura e abbandona l'attaggiamento da gallinella per vestire i panni di ben altra persona, ma non ci siamo. Non mi aspettavo certo il diario di Anna Frank, che peraltro detesto, ma mi pare si noti un po' troppo le forzature nelle prima date del diario, tutto qui. Poi? Poi 'spacca' di brutto, perché la storia si inpenna, la tizia comincia a starmi simpatica e finisce in bellezza. Avete letto bene, il finale funziona, alla grande pergiunta, esattamente come in non so quale Resident Evil, dove troviamo il diario di qualcuno (lo so, non sono bravo a dare dritte), insomma finora é il piú fedele al gioco. Complimenti quindi, con una piccola riserva per l'inizio e magari quell'incubo del poliziotto che onestamente stona. Non mi vedi, ma sto incrociando le dita sperando tu non sia davvero una donna.
E' tardi, chi voto?
Cucinare nell'Inferno, nonnetti rules!