La 25° Ora (Spike Lee, 2002)
A volte Spike Lee non lo capisco.
Non ho visto tanti film suoi ma è incredibile come riesca a fare film con un approccio molto diverso l'uno dall'altro.
Mi sembra sia un regista che se gli dai spazio di manovra lui.. in quello spazio ci fa i freno a mano senza spengere il motore.
Perchè non hanno senso dei monologhi o delle scene slegate dal resto come ci sono in questo film o in Da 5 Bloods, assenti invece in Summer Of Sam, invero lucidissimo racconto della comunità italiana di fine 70, naturalmente a New York.
E quindi non capisco che senso ha l'invettiva contro le diverse etnie di NY che il protagonista fa in questo film allo specchio o il lungo (lunghissimo) racconto del padre alla fine.
Oppure il monologo estenuante di Jonathan Majors o le scene alla Black Lives Matter di Da 5 Bloods.
Forse sono io che sono proprio slegato da un certo modo di fare cinema che a volte affiora in Lee.
Solo che se Da 5 Bloods smisi di guardarlo proprio per questo fattore, nella 25° Ora invece non mi hanno turbato perché, apparte queste parentesi, è veramente un grande film.
Nonostante che a mezz'ora dalla fine sospettavo che ci infilasse qualcosa "di strano" e infatti parte la visone dal padre "to West of Philly".
Invece tutta la parte centrale è una figata immensa.
Il film ci mostra l'ultima notte di Monty Brogan prima di 7 anni di carcere per spaccio.
Una notte passata in un club di superlusso per concessione del boss del nostro.
Con lui i suoi amici d'infanzia, Francis e Jacob e la fidanzata, Naturelle.
Monty sospetta che qualcuno lo possa aver fregato, magari i suoi amici, magari la ragazza.
Lo spettatore come lui non sa e quindi ogni parola durante la visione viene soppesata attentamente, cercando di trovare anche solo un piccolo indizio.
Come nel dialogo tra i due amici da soli in casa di Francis, con dietro uno sfondo micidiale per il significato che aveva nel 2002 quella vista.
In tutto questo si aggiunge un altro personaggio, Mary, studentessa diciassettenne di Jacob, che gli procura pensieri pruriginosi.
E in Mary, Spike Lee, coglie un concetto per me straordinario. Perchè Mary rappresenta una creatura in divenire, può diventare nel futuro qualsiasi cosa si immagini, perché sappiamo che non è statica, definitiva, conclusa come invece si sente Jacob (e magari anche una buona parte degli spettatori).
Anche quei brutti denti davanti sporgenti non sono un male, anzi accrescono quel senso di incertezza, di divenire che invece attira.
È piú la probabilità di ciò che sarà, la speranza e l'illusione (tutte cose che sappiamo dopo una certa età diminuiscono) che la fanno figa, non la sua giovinezza in sè.
Un personaggio che ho trovato insomma indimenticabile.