Anch'io mi sto recuperando l'impossibile e volendo roba recente ho preso per buona la lista postata qualche giorno fa da
@Claudio.
Sicuramente
Favolacce è un filmone. Certo, è quel tipo di film in cui non succede niente o quasi, una fotografia lucida e spietata di una realtà moderna, uno sparare alla croce rosse dell'oggi romano e non ma funziona. Luogo dell’esecuzione (eh ehe hehe..) Spinaceto, quindi terra ferrea, dura ma soprattutto arrugginita, dove quello che cresce sono erbacce pronte ad ingiallire e non si parla solo di vegetali. Che il colore del film è proprio il giallo, quello estivo che sa di morto dentro. C'è tutto, dalle
maghine grosse, ai problemi di lavoro all'innocenza perduta (scena di una tenerezza e sconforto pesante) senza sconti per nessuno, una situazione senza stimoli e quei pochi vengono assorbiti con tutta la contorna quotidianità. Bambini attori spesso bravi, a volte bravissimi, ad Elio germano è lasciata una scena nel finale che è davvero la scena della vita per un attore. Se vi piacciano pellicole come
Non Essere Cattivo o l'avete già visto o vi fischiano le orecchie tutti i giorni.
The Sound Of Metal invece mi è piaciuto con riserva. Anche qui, è un tipo di film che si può mettere in una categoria molto specifica. Vive del suo attore (Riz Ahmed, attore britannico ma dalle origini pakistane già visto nella serie
The Night Of) e del tema trattato, ovvero la disfunzione dell'apparato uditivo da parte di un batterista metal. 2 ore di film, troppo lungo, alcune scene dolcine ma anche inutili. E forse l'ho sentito anche un pò paraculo in vista degli Oscar. La prova di attore di lui lo conferma, dello stesso genere di Oldman in
Mank, palesemente in corsa per la statuetta. Ci sarebbe anche la storia dell'audio del film che proprio per il tema trattato ha un ruolo centrale ma questo succede a dire la verità solo nella prima parte del film e nel finale, per un pò se ne dimentica, magari anche giustamente. Il finale è bellissimo ma a volte ho penato per arrivarci.
Sempre nella lista di Players c'era
The Call, thriller coreano con un aggiunta horror.
2 ragazze coreane tramite un telefono riescono a chiamarsi a 20 anni di distanza grazie al fatto che abitano nella stessa casa, solo che una è nel 1999 e l'altra nel 2019. Non è il tipico film coreano dove si mischiano i generi, ha un sapore parecchio occidentale nel ritmo e non è splatterone come ci si potrebbe aspettare da una pellicola orientale. L'idea base è strampalata come quasi sempre se metti nel mezzo i viaggi temporali ma il film giustamente,
se ne fotte e va avanti come un treno. Film che parte benissimo e non inciampa mai, al massimo prende fiato un attimo, a parte nel finale "vero" ma che è talmente buttato lì che mi è sembrata una aggiunta scherzosa del regista, tanto poi ognuno si sceglie il finale che vuole.
Ho adorato il concetto di famiglia (tradizionale, certo..) che si dà nel film, vero e proprio rifugio. C'è un pasto ad un certo punto che mi sarei voluto mettere a sedere anch'io e che si contrappone ad uno molto più ispido visto in precedenza. E anche lì si torna al finale, ma non continuo per spoiler. Non un filmone ma intrattiene con gusto nel voler vedere come finirà tutta stà faccenda assurda. E poi vorrei più ragazze psicopatiche coreane che si urlano
ishibara-a nella mia vita.
Fuori dalla lista, anche perché non è un film, su Disney+ da un pò è disponibile
Hamilton, presa diretta di un musical americano dove si mette in scena la vita di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti. E’ il musical americano più famoso di sempre, creato nel 2015 dal compositore Lin-Manuel Miranda, statunitense ma di origini portoricane che ha curato tutte le canzoni e ne interpreta il protagonista. Magari è il tipico prodotto passato alla storia più per il messaggio dietro che per l’opera in sè. Infatti in un mondo dove se annunciano la Sirenetta di colore, il primo istinto dell’utente medio di questa fantastica età della pietra che chiamiamo internet è andare a minacciare di morte l’attrice sui social, Hamiton prende questo concetto e lo rende il perno centrale. Infatti ogni attore è afroamericano o di origini ispaniche. E capite bene che stiamo parlando dei padri fondatori dell’America (Washinton, Jefferson, Burr..). Un discorso meta mica male, eh?
Poi l’opera è bella per quanto non sia un fruitore abituale di questo genere, ha il guizzo che aggiunge parti hip-hop nelle musiche più tradizionali orchestrali dei musical. Ad un certo punto abbiamo anche un vero e proprio dibattito parlamentare ma esposto come una lotta del flow freestyle.
Un'opera sicuramente importante, imponente nei temi e nel messaggio dietro, eseguita alla perfezione ed comunque fresca malgrado il mezzo con cui ce la propone. Sono 2 ore e 40 di spettacolo e passano lisce. Forse una visione più doverosa che piacevole e parla di questioni lontane da noi. Ma questo è solo un punto in più a favore del fatto che Hamilton parla del cuore della America e al cuore degli americani, un paese costruito alla base anche se non soprattutto da minoranze, al di là di un foglio di carta.