Aggiornamento di Ottobre.
31 (2016) di Rob Zombie 2/5
Non ho assolutamente nulla in contrario al fatto che Rob Zombie voglia mettere in scena i propri deliri immaginifici degni di un preadolescente che ha visto il suo primo film horror. Se però si mettesse un minimo d'impegno per accompagnarli con una sceneggiatura decente e una messa in scena degna...
Almeno rispetto a Lords of Salem non ha alcuna velleità autoriale, è solo un giocattolone stupidissimo. Paradossalmente questo lo renderà ancora più dimenticabile alla lunga.
The Assassin (2016) di Hou Hsiao-Hsien 1.5/5 (da rivedere)
Boh... Non ho capito il senso dell'operazione. Svuotare il wuxia delle sue caratteristiche portanti per poi riempirlo con cosa? Ok la fotografia sublime, ok i movimenti di macchina impercettibili al limite dello sguardo, ma il risultato mi è sembrato semplicemente una storia classica per il genere intrappolata all'interno di una messa in scena estetizzante che soffoca e non accompagna il soggetto in alcun modo...
Mi riprometto di rivederlo in futuro, magari senza il terribile doppiaggio italiano e con più informazioni sulla storia, per capire se sono io a non essere riuscito a decifrarlo in questa prima visione oppure sono limiti intrinseci dell'opera (ai miei occhi, almeno).
Il Colore del Melograno (1969) di Sergei Parajanov 4/5 (da rivedere)
La vita del poeta armeno Sayat-Nova raccontata attraverso un flusso di immagini, suoni, colori, un insieme di tableau vivant che piuttosto che ricondurre la Storia ad una mera narrazione biografica vuole rievocare la percezione istintiva e profonda del discorso poetico. Ammetto di non averlo compreso del tutto ma il film è stato capace di ipnotizzarmi come pochi. Vorrei leggere qualcosa a riguardo e rivederlo una seconda volta, veramente affascinante.
La jeune fille sans mains (2016) di Sébastien Laudenbach 3.5/5
Deliziosa gemma vista grazie a
www.artekinofestival.com/Animato interamente da una persona, trasposizione di una fiaba dei Fratelli Grimm. Un poverissimo contadino riceve un'offerta dal diavolo: la sua proprietà in cambio di ricchezza senza fine. Il contadino accetta immediatamente, senza sapere che tra le proprietà coperte dall'offerta ci fosse anche sua figlia.
Nonostante la scarsità dei mezzi (animare un lungometraggio da solo è ai limiti dell'impossibilità se si volesse utilizzare uno stile tradizionale), il regista riesce comunque ad arginare le limitazioni sfruttando la povertà ed il minimalismo dello stile per amplificare il substrato emotivo della storia, giocando con i colori semplici, gli spazi negativi, i dettagli accennati, il sonoro e la musica, in maniera non troppo dissimile a quanto tentato dal recente capolavoro dello studio Ghibli, Kaguya. Il risultato non è ovviamente altrettanto esplosivo ed abbacinante, ma considerando il contesto in cui è stata prodotta e il suo essere un'opera prima è assolutamente promossa e consigliata.
La mort de Louis XIV (2016) di Albert Serra 3/5
Visto grazie a
www.artekinofestival.com/La macchina da presa guidata da Albert Serra ci pone di fronte agli ultimi giorni della vita del Re Sole, smitizzandone completamente l'icona e mettendoci di fronte al suo corpo ormai incancrenito e putrescente. Nell'assoluta claustrofobia della sua camera da letto, in cui gran parte del film si ambienta, assistiamo ai suoi ultimi momenti, in cui ogni possibile riferimento alla sua grandezza finisce per spegnersi nella progressiva immobilità di una vita ormai all'esaurimento, il tutto aiutato dalla grande interpretazione di Jean-Pierre Léaud (si, proprio l'interprete di quell'Antoine Doinel che Truffaut aveva reso celebre).
Forse troppo estremo nella sua messa in scena, così fissa sulla rappresentazione dell'agonia di Luigi XIV ma allo stesso tempo così necessaria, il film risulta una interessante riflessione sulla morte di un'icona (o meglio dell'immagine che di essa si tramanda), ma proprio la sua forma ha costituito il maggior ostacolo nell'apprezzamento da parte del sottoscritto, nonostante ne comprenda perfettamente le motivazioni.
Safari (2016) di Ulrich Seidl 3/5
Visto grazie a
www.artekinofestival.com/Documentario sulla realtà grottesca dei borghesi austriaci che pagano per andare in Africa a cacciare quello che vogliono pagando senza farsi troppi scrupoli morali, anzi cercando le giustificazioni più assurde. La messa in scena asettica non l'ho particolarmente apprezzata, finisce per asciugare al posto che potenziare la materia trattata a mio parere, però nel complesso fornisce uno spaccato sulla crudeltà umana assolutamente interessante.
Liberaci (2016) di Federica di Giacomo 3.5/5
Bel film della nostra Federica di Giacomo, vincitore della sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia di quest'anno.
Documentario sugli esorcismi in Sicilia che gioca parecchio sullo smitizzare ogni iconografia ormai associata alla pratica dell'esorcismo. Piuttosto che il rituale singolare e orrorifico a cui siamo abituati infatti i veri esorcismi prendono le forme di cerimonie collettive a cui i presunti indemoniati partecipano che non sono eccessivamente diverse dalle messe tradizionali, ad eccezione della reazione violenta di alcuni partecipanti.
Il documentario gioca parecchio sul contrasto fra la reazione "violenta" dei "posseduti" e il corollario grottesco che circonda queste messe. Quella dell'esorcismo appare infatti una pratica per nulla dissimile da qualunque altro rituale collettivo in cui siamo coinvolti all'interno della società: gente che paga e si riunisce in un luogo per poi tornare tranquillamente alle proprie vite una volta usciti (ad eccezione dei casi più gravi), che chiede aiuto al parroco anche per le questioni più infime tirando il ballo il demonio... Lo stesso mestiere del parroco esorcista, Padre Cataldo (figura centrale e carismatica resa giustamente protagonista dal documentario), non è assolutamente dissimile a quella di un lavoratore qualunque e proprio da questo scaturiscono i momenti più grotteschi della pellicola, in cui esegue un esorcismo al telefono per poi salutare tranquillamente la persona appena esorcizzata con un "auguri di Buon Natale" oppure in cui interrompe un esorcismo a metà per salutare gli altri presenti in procinto di andarsene.
Mantenendo un delicato equilibrio fra investigazione sulle vite del parroco (e degli esorcizzati) e vena comica, il film riesce a trovare la sua forza e il suo senso. Visto in sala con commento del regista.
The Nice Guys (2016) di Shane Black 3.5/5
Molto carino, ne avevo sentito parlare bene ed in effetti non è affatto male. Pecca di originalità ma la coppia Gosling-Crow funziona benissimo, il ritmo e i tempi comici pure, le battute sono strepitose e soprattutto riesce a ricostruire bene l'atmosfera della Los Angeles degli anni '70, fra musiche e caleidoscopici colori. Prova riuscita per il buon Shane Black, che fa qualcosa di più personale dopo il pessimo Iron Man 3.
Ti ricordi di Dolly Bell? (1981) di Emil Kusturica 3.5/5
Il Tempo dei Gitani (1988) di Emil Kusturika 4.5/5
Kusturica è questo regista strambissimo che penso si possa facilmente amare o odiare in base ai gusti personali. Fondamentalmente è una specie di Fellini gitano, regista fenomenale e sovrabbondante nella messa in scena degli immaginari che riesce a plasmare. E che immaginari, dico io! I suoi film pullulano di idee visive geniali e straordinarie. Adesso però, se quelle del Fellini nostrano ancora ancora riuscivano a non sfociare costantemente nel grottesco, qui l'immaginario appartiene direttamente ad una visione estremizzata della realtà gitana, per cui immaginatevi le peggio cose che si potrebbero accostare alla parola "zingari" e immaginatevele esasperate all'inverosimile. Balli e canti costanti, animali ovunque, ladri, truffatori, personaggi strambissimi, magia popolare, macchinari strambi... Nei suoi film c'è questo e altro. Eppure, almeno dal mio punto di vista, è sempre inserito tutto per rimanere su quella soglia fra il grottesco macchiettistico e lo slancio vitale (e spesso poetico) capace di restituire l'anima del mondo rappresentato. Un esempio per eccellenza può essere questo Tempo dei Gitani, un racconto di formazione ambientato all'interno del mondo gitano in cui le folli idee riescono a raccordarsi perfettamente con la storia raccontata. Almeno un paio di scene (la prima sequenza onirica del film e la scena del parto della moglie) entrano direttamente tra le mie preferite in assoluto.
Neruda (2016) di Pablo Larrain 4.5/5
Il mio film dell'anno? Vorrei già rivederlo. Forse un ulteriore salto di qualità per Larrain. Una totale sovversione del biopic, che si contamina in maniera indefinita di generi e suggestioni diversissime.
A partire dalla geniale scelta di narrare l'esilio di Neruda attraverso la voce narrante del suo (immaginario) inseguitore, Oscar Peluchonneau, rappresentato in maniera non dissimile all'investigatore di un noir classico. Nel suo svilupparsi il film crea un incredibile cortocircuito narrativo, in cui i la realtà dei personaggi e delle loro azioni si fa sempre più sfuggente e i ruoli si fanno meno chiari. Alla fine più che un film su Neruda diventa una riflessione sul potere dell'arte e il suo senso a livello sociale.
Ad aiutare lo scopo ci pensano scelte estetiche di assoluta originalità, fra l'uso costante del grandangolo, le particolari scelte cromatiche, l'uso del digitale e il montaggio repentino e discontinuo, che accompagnato ai vorticosi movimenti di macchina rendono le immagini del film sempre perennemente irreali, sospese al di fuori del tempo.
E regalando alla figura di Neruda lo spessore che si merita, non tanto attraverso una blanda agiografia quanto con un film la cui stessa forma si sostanzia come se fosse una creazione poetica del poeta cileno, mostrandone le aspirazioni, le debolezze, e insomma la sua estrema complessità nella maniera in cui solo il cinema avrebbe potuto. E sta qui la grandezza di Larrain.
Questi film mi sono piaciuti poco, per cui sorvolo sui commenti (il primo manco ne meriterebbe secondo me):
Inferno (2016) di Ron Howard 1/5
Elle (2016) di Paul Verhoeven 1.5/5
Spira Mirabilis (2016) di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti 1.5/5
Underground (1995) di Emil Kusturica 5/5
Semplicemente maestoso, una sequenza di scene memorabili dall'inizio alla fine delle sue quasi tre ore di durata. Le folli invenzioni visive di Kusturica, che già avevano reso grande Il Tempo dei Gitani, in questo film si coniugano con una narrazione storica che riesce a fare dei propri, memorabili personaggi una metafora dell'anima di un paese. Lo stile di regia immerge lo spettatore in un flusso continuo e straripante di immagini, che avvolge e non lascia respirare neanche per un secondo, una vitalità che ha pochi eguali in ambito cinematografico.
Gatto Bianco, Gatto Nero (1998) di Emil Kusturica 3.5/5
Sempre divertente, ma una delusione rispetto ai suoi lavori precedenti. La sceneggiatura è molto più banale del solito, con un picco negativissimo nel finale, prevedibile fino al midollo. A salvare la baracca sono le solite intuizioni geniali ed il ritmo, ma a questo giro mi ha comunque dato la sensazione che le tante divagazioni grottesche fossero meno a servizio della storia e più fini a se stesse.