Il personaggio di One Eye riprende l'archetipo di Odino, che sacrifica un occhio per avere la conoscenza sotto forma di visioni.
Allo stesso tempo incarna l'archetipo del salvatore immolato, per molti solo cristiano ma che in realtà esiste da tempo immemore, nell'accezione in cui egli si sacrifichi da solo, senza che nessuno lo condanni o giudichi (sia Gesù Cristo che Odino in testi diversi affermano di aver sacrificato se stessi a se stessi). In un tempo in cui il cristianesimo si affaccia sul mondo nordico abbiamo così la storia di un uomo di cui non si conosce nulla, e che non conosce nulla del suo destino, il quale è guidato unicamente da delle visioni, e che intraprende un viaggio alla scoperta di sè incontrando seguaci di una religione fondata invece su dei dogmi scritti, segnando il passaggio dal dialogo interiore a quello con intermediari.
Il film in pratica narra contemporaneamente del contrasto tra paganesimo e monoteismo e allo stesso tempo delle radici che li accomunino, One Eye non è un salvatore perchè qualcuno lo abbia eletto tale o creda nella sua funzione, ma ci arriva tramite un viaggio iniziatico del tutto simile a quelli classici con discesa all'inferno, morte tramite sacrificio (ad ucciderlo non sono uomini che lo condannino per un crimine, ma pagani come lui in un atto squisitamente rituale, a sottolineare una delle grandi dicotomie di certe tradizioni cristiane) e resurrezione(la scena finale del suo volto fuso con il mondo animico), i suoi compagni mostrano tutte le contraddizioni e i doppi fini interessati di una religione "colonialista"e dogmatica, in cui il verbo invece di incarnarsi nella persona, al pari di una visione, diventi strumento per sopraffare con la forza chi magari quel messaggio lo viva già in accordo con le leggi di natura e di dio senza bisogno di leggerlo da qualche parte, dimentichi del vero messaggio cristiano, che appunto nella sua essenza è molto più pagano e animista di quanto la sua progressiva secolarizzazione possa far pensare.
Il paradosso, sottilmente ironico, è dunque che sia One Eye, uno che non crede ad un libro o ad un messaggio per sentito dire, ma a quello che senta dentro di sè, che non conosce il dio cristiano come non sa nulla di se stesso (ovvero l'archetipo dell'uomo prima di diventare Uomo, cioè di risvegliarsi) a ricordare agli pseudocristiani cosa sia il sacro e cosa sia la fede, che spesso e volentieri rende ciechi anche di fronte ad un orbo, come dice il famoso proverbio.
Il film è dunque un viaggio simbolico che nel ripercorrere le tappe classiche del mito del salvatore di tutte le epoche, ci parla di come la sua figura sia stata nel tempo saccheggiata, dilaniata e in effetti divorata dalle istanze e dagli interessi contingenti, spogliandola della sua originaria genuinità anche nel processo stesso di allontanamento del suo carattere sostanzialmente violento e brutale, per ricordarci che un tempo i martiri non erano piangenti, i sacrifici non erano punizioni volte a mortificarsi, e il verbo incarnato era un uomo che ascoltava la voce di Dio dentro di sè, prima che cercarla in un testo (esemplificata nella frase di Cristo "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato. Perciò il Figlio dell'Uomo è padrone anche del sabato").