Non è facile dare un sequel ad un gioco leggendario; men che meno ad un gioco che è considerato da molti il migliore di sempre. Ancor meno facile è riuscire a fare di questo sequel un gioco che non solo sia all’altezza del precedente, che non solo se ne differenzi a sufficienza da non poter essere considerato una copia spudorata, ma anche che sia di una qualità tale da far sorgere il dubbio che, nonostante tutto, sia addirittura migliore del precedente. Eppure Nintendo c’è riuscita. Majora’s Mask è il degno seguito del mitologico Ocarina of Time e, sebbene molti siano testardamente fissi sull’opinione che il solo pensare di creare un successore di Ocarina sia stato un peccato mortale, sotto diversi aspetti è superiore al suo predecessore.
Majora’s Mask ci vede nei panni del solo Link bambino, che finisce in un mondo parallelo (Termina) cercando di recuperare il cavallo e l’Ocarina del Tempo rubatigli dal dispettoso Skull Kid. Quest’ultimo è posseduto dalla Maschera di Majora, il cui potere malvagio cerca di far cadere la luna sul mondo per portare distruzione. Questo avverrà entro tre giorni, a meno che Link non riesca in qualche modo a prevenire la caduta della luna.
Due sono i capisaldi della struttura di gioco: l’Ocarina e le maschere. Il gioco si suddivide in tre giorni da 24 minuti ciascuno, e ad ogni ora-minuto corrispondono determinati eventi; sta al giocatore riuscire ad organizzare la condotta di gioco in modo da poter fare tutto quello che deve, al momento giusto ed entro i tre giorni. Se si sbaglia qualcosa, o se non c’è più tempo, la Song of Time permette di salvare e tornare all’inizio.
Le maschere sono il fulcro del gioco, e l’evoluzione della subquest vista in Ocarina. Link può ottenere tre maschere trasformanti, che lo fanno diventare Deku, Goron o Zora; ognuno ha abilità speciali, che si rivelano fondamentali in diverse situazioni. Oltre a queste, esistono altre 20 maschere (più una segreta) che permettono di acquisire certe abilità (correre più veloce, rendersi invisibili, comunicare con gli animali, ecc) e/o di interagire con gli NPC.
Gli NPC sono numerosissimi e la maggior parte delle subquest coinvolge qualcuno di loro. Esiste addirittura un quaderno in cui vengono segnate le ore in cui è possibile interagire con loro, e se si riesce ad aiutarli si ottengono varie ricompense. E’ assolutamente straordinaria la varietà di situazioni che sono state inserite nel gioco, e l’elemento tempo rende l’interattività e la caratterizzazione dei personaggi assai più intrigante dei comprimari dei classici RPG. Gli abitanti di Termina hanno una vita: ben programmata, ma sempre una vita, che si svolge nell’arco di tre drammatici giorni. Ed è terribilmente soddisfacente scoprire come possiamo modificare sostanzialmente le loro vite, anche in un arco di tempo così breve. Ci si sente, a volte, realmente responsabili per loro, e il coinvolgimento ne guadagna enormemente.
Majora’s Mask non ha praticamente momenti morti: il mondo è molto compatto eppure vasto a sufficienza, e le cose da fare e vedere sono tantissime; a differenza di Ocarina, la commistione di avventura e sottogiochi è bilanciata al massimo, così che non ci si limita a trascinarsi da un dungeon all’altro, ma molto spesso ci si ritrova coinvolti in missioni e giochini utili e dilettevoli al tempo stesso, che non sembrano mai messi lì per diluire l’esperienza di gioco, ma al contrario per arricchirla. E l’avventura principale si rivela robusta quanto la precedente, con quattro dungeon di complessità notevole e di design talvolta geniale, ed una storia cupa ed intrigante, con un finale molto poetico.
Tecnicamente siamo ai massimi livelli del Nintendo 64: la grafica è eccellente, e si avvale dell’espansione di memoria per offrire ambientazioni e personaggi ben definiti e colorati ottimamente. Il famigerato “effetto miopia” è molto meno rilevante del solito, le animazioni sono perfette, il character design all’altezza dell’avventura epica che ci si aspetta da Zelda. Alla grafica si accompagna un sonoro più memorabile di quello di Ocarina: molte musiche sono riciclate, ma quelle nuove, quali quelle di Clock Town e l’Overworld Theme (questa volta ripreso dal tema originale di Zelda, assente in Ocarina), nonché quella finale, sono ottime e calzano come un guanto le atmosfere del gioco. Gli effetti, specie le urla di Link, sono talvolta fastidiosi, ma niente di intollerabile.
Soprattutto, quello che stupisce di Majora’s Mask è il fatto che non lo si può mollare fino alla fine. Troppa è la soddisfazione che si ottiene trovando cose nuove, aiutando i personaggi, risolvendo gli enigmi; sensazionale è l’equilibrio del gioco, perfetta la progressione che apre via via strade nuove, lasciando al tempo stesso precluse alcune aree finché non si è esplorato qualcos’altro altrove. Bisogna realmente vedere tutto, o quasi, per arrivare alla fine, ed è questo che solleva Majora’s Mask al di sopra di molti altri prodotti e anche di Ocarina of Time: è un gioco completo, e per giunta non ti permette di ignorarne la completezza. Vuole essere visto tutto e provato tutto, e ti invita a farlo offrendoti un divertimento infinito. In più, riesce a differenziarsi a sufficienza dal suo predecessore, prendendone alcuni aspetti e costruendoci sopra un gioco simile per tecnica e controlli, ma profondamente diverso nella struttura e nello svolgimento. Sinceramente non so che cos’altro si potrebbe desiderare da un sequel; quello che so è che Majora’s Mask è un vero gioco, un grande regalo ai videogiocatori.
VOTO: 9 su 10