Un gentiluomo a Mosca
di Amor Towles
3/5
Rambo
Durante la mia adolescenza andavano tanto di moda quei film come Rambo, dove all'eroe di turno sparavano contro con qualsiasi arma disponibile e lui niente, mai neanche un graffio.
E se in alcuni film, tipo Commando, la cosa era fatta con una certa ironia, in altri l'eroe si prendeva enormemente sul serio.
Ecco quindi Rambo accerchiato da un intero esercito, con un elicottero che gli da la caccia e lui che lo abbatte con arco e freccia.
In questi casi gia' allora per me non funzionava la sospensione di incredulita'.
Stessa cosa e' successa con questo romanzo.
Ovviamente bisogna fare le dovute proporzioni; il conte e' un personaggio enormemente piu' caratterizzato di Rambo e altre macchiette, e le vicende raccontate sono altrettanto infinitamente piu interessanti e ben narrate rispetto a quei filmacci.
Quindi in questo caso ho apprezzato lo svolgersi del racconto, l'intreccio, i suoi vari personaggi. Ma l'autore forse ha voluto tirare un po' troppo la corda e la sospensione di incredulita', almeno per me, non ha funzionato.
Tanto che mentre leggevo mi e' venuto naturale pensare: "ecco un altro libro fatto apposta per Hollywood" (all'epoca si diceva "Hollywood", ma "Hollywood" e' caduta ancora piu' in basso di quanto non lo fosse negli anni 80, non riuscendo piu' neanche ad immaginare altro che non siano i suoi cari supereroi, e quindi forse oggi dovremmo dire "fatto apposta per Netflix&C.")
L'amante
di Marguerite Duras
1.5/5
Pubblicita' ingannevole
Mi assumo tutta la responsabilita' di questa delusione, indotta da una doppia pubblicita' ingannevole.
La prima e' ovvia: il titolo, che fa pensare che nel libro si parli dell'amante.
Non importa se l'amante sia lui o sia lei, ma avevo creduto che si parlasse comunque di amore.
Un titolo piu' appropriato sarebbe stato: "la famiglia", oppure se l'amante e' riferito a lei, "la famiglia dell'amante".
La seconda e' una lontana reminescenza di immagini del film (che devo ammettere di non aver visto) da dove ancora una volta si intuiva una forma di passione amorosa.
Di questa passione nel libro c'e' solo una vaga traccia, piu' che altro verso la fine della stessa, e poco o nulla della sua storia.
Da qui quindi, tutta la mia delusione.
Poi magari a qualcuno il libro sara' piaciuto. A me, forse colpa di questa delusione, francamente no.
Proust senza tempo
di Alessandro Piperno
2/5
Ancora una volta un libro di critica che parla di un autore che amo dove le parole piu' belle e interessanti sono quelle dette dallo scrittore soggetto all'analisi della critica.
Insomma, tanto vale rileggere Proust, piuttosto che questo libro.
Il grande cerchio
di Maggie Shipstead
2,5/5
Capita d'estate di trovare quelle belle ed enormi angurie (che a napoli chiamano mellon russ') che invogliano tanto all'acquisto facendo sperare in grandi cose.
Ma poi, una volta aperta l'anguria, sebbene rossa e promettente, si rivela praticamente insapore.
Ecco questo libro e' purtroppo cosi', una enorme rossa anguria insapore lunga piu' di seicento pagine.
Perche' le due stelle e mezzo allora?
Perche' d'estate anche un'anguria insapore ha un suo perche' e puo' essere piacevole
L'Orchessa
di Irène Némirovsky
3,5/5
Come nei romanzi, anche nei racconti Nemirovsky si rivela capace di raccontare benissimo tutti i risvolti dell'animo umano, specie nella societa' in cui viveva e che "disseziona" con grande maestria.
I minatori della Maremma
di Carlo Cassola, Luciano Bianciardi
3/5
Non conoscevo praticamente nulla di Bianciardi, e anche di Cassola avevo letto solo "la ragazza di Bube, quindi il mio giudizio si limita a questo libro.
Di sicuro una indagine interessante e approfondita su una realta' a me poco nota, sebbene i genitori di mia nonna fossero originari proprio di quelle parti.
Due cose mi hanno colpito molto:
La prima e' l'enorme, gigantesca disparita' tra quanto guadagnavano i padroni e come costringevano a vivere gli operai. Si capisce la necessita' delle lotte socialiste e comuniste, che alla fine portarono a dei cambiamenti del dopoguerra che pero', guardandoci adesso intorno, sembra che abbiamo dimenticato e perduto.
La seconda e' relativa al periodo fascista. E' solo una fase della storia qui narrata pero' anche qui i fascisti appaiono quei vermi che son sempre stati. Danno vita ad una strage ammazzando 10 italiani perche' sostenevano avessero ucciso un fascista quando la verita' era che il colpo era partito da loro stessi perche' ubriachi durante le ronde punitive che facevano. E ancora, in un altro eccidio (quello di Niccioleta) pare che a chiamare i tedeschi per il rastrellamento fossero state soprattutto le donne mogli dei fascisti in protezione alla loro famiglia ma dopo l'eccidio una di queste donne scopre che il marito ne ha un'altra e verra' lasciata. Ah questi difensori delle famiglie tradizionali non si smentiscono mai.
Bournville
di Jonathan Coe
3/5
Nel bene e nel male, ancora una volta, il solito Coe.
C'e' tutto dell'autore inglese: la storia di alcuni inglesi abbastanza normali che si intreccia con la Storia con la S maiuscola (anche se in realta' piu' che intreccio qui si tratta di sfondo, piu' per caratterizzare il periodo storico e spiegare come anche ad esso e' legato il comportamento dei protagonisti, che per far vivere la Storia a questi ultimi in prima persona).
C'e' la nostalgia per i ricordi della giovinezza, alcuni dei quali riaffiorano e tornano fissi ed imperituri malgrado gli anni passati.
C'e' il racconto e la critica politica da cui si impara sempre qualcosa di nuovo sulle vicende britanniche.
E c'e' la nota autobiografica, anche molto toccante.
E poi la musica, l'amore per il cinema anche non d'autore che comunque scandisce o identifica momenti ed eventi importanti, l'incontro e lo scontro tra vita pubblica e privata.
E tutto questo e' sia il bene che il male.
Perche...forse sono invecchiato io, forse e' invecchiato Coe, forse lo siamo entrambi ma ho avuto limpressione manchi l'intensita' emotiva delle sue prime opere, che ho adorato.
I miei stupidi intenti
di Bernardo Zannoni
2/5
Aridatece Esopo
Non ho ancora capito cosa ho letto: un libro della giungla senza giungla? Una fattoria degli animali senza fattoria? Un film Disney senza le odiatissime canzoncine e almeno un personaggio simpatico per intrattenere i piu' piccoli e spingere il merchandising?
Solo verso la fine il racconto si rivela essere un'allegoria sul potere salvifico della scrittura. Ma anche questa fine non basta ad elevare l'esperienza di lettura e giustificare la noia della lunga parte precedente malgrado il compito si dovrebbe rivelare sempre facile quando si gioca la carta della metaletteratura.
Dove non mi hai portata. Mia madre, un caso di cronaca
di Maria Grazia Calandrone
3,5/5
Non sono stato adottato, ed ho un figlio che e' "frutto dei miei lombi".
Dico questo perche' ho sempre trovato molto fastidioso l'atteggiamento, molto diffuso tra gli adottati, di mettersi a cercare con accanimento i propri genitori biologici dicendosi spinti da un bisogno di colmare un vuoto che solo la conclusione felice di quella ricerca potra' colmare.
Il fastidio che provo e' di duplice origine.
Innanzitutto cosi' facendo stanno in qualche modo accusando i genitori adottivi (coloro cioe' che li hanno voluti, cresciuti, guidati ma soprattutto amati per tutta la vita) di qualche manchevolezza, cosa che ritengo essere un atteggiamento abbastanza vile.
Ma piu' di tutto queste persone non si rendono conto che il vuoto esistenziale che sentono e che imputano alla loro natura di "adottati" e' in realta' qualcosa di molto piu' generalizzato e tipico della natura umana stessa, ed e' solo la superficialita' che li spinge a credere che esso sia legato all'assenza del genitore biologico.
Con questa premessa il mio giudizio su questo libro dovrebbe essere negativo.
Ed invece non e' cosi'. Mai come in questo caso l'accanimento dell'autrice nello scoprire il piu' possibile sulla vicenda e la storia dei propri genitori biologici risulta essere meravigliosamente, e dolorosamente, giustificata.
Forse perche' meravigliosamente e dolorosamente giustificato e' il gesto di amore e di riconoscenza dell'autrice verso di loro, che traspare in ogni sua ricerca al limite del possibile, e in ogni parola di questo racconto.
Intellettuale a Auschwitz
di Jean Améry
2,5/5
Tutto ben scritto e ben detto. Ma proprio tutto.
E tutto comprensibilissimo e condivisibile.
Rimane solo un dubbio: forse finche' si continuera' a dire "condanniamo quella cosa unica e orribile che hanno fatto agli ebrei" in quanto fatta agli ebrei e non in quanto orribile e da condannare se fatta a chiunque, non saremo mai completamente sulla strada giusta.
E' vero che il libro smonta anche questa mia osservazione, ma io non ne sono del tutto convinto.
Preghiere esaudite
di Truman Capote
3/5
Ignorando molto l'autore, di cui avevo letto solo "A sangue freddo" che non mi aveva particolarmente colpito, mi sono imbattuto in questo libro solo perche' praticamente propedeutico a "i cigni della quinta strada".
L'intenzione di Capote riguardo questa opera non era certo una passeggiata. Voleva fare quello che Proust aveva fatto con l'alta societa' francese inizio secolo scorso, solo trasportato nel jet set (a questo punto dobbiamo per forza dire internazionale) degli anni 60/70 dello stesso secolo.
Al pari de "La ricerca" si tratta di un'opera incompiuta, anzi in questo caso direi quasi appena iniziata.
Il risultato?
Immaginate una "ricerca" senza le fanciulle in fiore, senza Gilberte e Albertine, senza Marcel soprattutto... di Proust non rimane poi molto direi.
Piu' che una Ricerca "post litteram" sembra piu' un Meno di zero "ante litteram", anche se focalizzato sui genitori che sui figli, e privo del senso di vuoto e desolazione, che non si sa bene quanto volontariamente, traspare nel piccolo gioiello di Bret Easton Ellis.
Diciamo che si rimane tra qualcosa alla Roberto D'Agostino (se D'agostino sapesse scrivere) e qualcosa alla Ellis. Di Marcel qui, al solito, e purtroppo, neanche l'ombra.
I cigni della Quinta Strada
di Federica Oddera, Melanie Benjamin
1,5/5
Siccome il libro parte dallo scandalo che segui' la pubblicazione del racconto "La Côte Basque" di Capote, ho per prima cosa letto il racconto (e quindi per ovvi motivi il libro incompleto cui il racconto appartiene) e subito dopo ho cominciato questo.
E devo dire che il contrasto tra le parole di Capote e quelle usate in questo racconto e' enorme.
Perche' se e' vero che Capote scrisse quello che voleva essere un romanzo verita', con l'intenzione di spettegolare sul mondo delle socialite che frequentava, e lo fece quasi senza freni,
nel libro della Benjamin i freni sono completamente tirati.
Tanto e' tale contrasto che si ha quasi l'impressione che i personaggi che si presuppone debbano essere gli stessi nelle due storie, invece siano completamente differenti.
E i piu' finti e patinati e poco reali sembrano essere proprio quelli descritti qui, sebbene appaiano con i loro veri nomi e non con i nomi di inutili alter ego che Capote gli diede.
Quindi il libro si fa anche leggere ma l'impressione di finzione lo pervade.
Basta prendere ad esempio l'episodio cardine dello scandalo, raccontato in entrambi i libri, quello dell'omicidio che condusse al suicidio dell'omicida, che nel primo caso sembra narrato da un incrocio tra Aldo Busi e la Leosini, nel secondo da un ibrido di Valeria Marini e Tonio Cartonio.
Forse non si poteva usare il linguaggio esplicito e anche sin troppo volgare usato dal famoso scrittore americano in "preghiere esaudite", ma francamente leggere di un romanzo dove la moglie di giovanni agnelli spettegola con le sue amiche e non si fa mai menzione se non di straforo agli stupefacenti e nessuno si fa un tiro di coca, e' un po' come leggere un romanzo che pretende di raccontare l'ascesa di una potente famiglia siciliana agli inizi del 900 senza che sia mai menzionata la mafia (ogni riferimento alla "saga" dei leoni di sicilia NON e' puramente casuale).
E del resto la conferma del "target" del libro stesso la si ritrova alla fine, quando nella "nota dell'autrice" viene esplicitamente dichiarato che la spinta a scrivere questo libro le e' venuta non dall'ammirazione o l'interesse per Capote e la sua personalita', ma dalla sua collezione di "Vanity Fair".
Dove insomma Capote esagera in un verso, la Benjamin esagera nel verso opposto, e il risultato finale e' che piu' che cigni, le protagoniste rischiano, a torto o a ragione, di apparire delle oche.