In pratica no, *non* devi sapere quale sia la frase nell'opera originale. Non lo devi sapere perché [...]
Non concordo assolutamente.
O, meglio, quello che dici è vero se si stà parlando di un opera di divulgazione, [...].
Ma un'opera cinematografica non si esprime solo colle immagini O solo col testo. [...] conta il COME viene detto. [...]
E se non conosci non solo "cosa" il personaggio ha detto, ma anche il "come" è stato detto, non è possibile muovere nessuna critica, nessun appunto. Proprio perchè c'è la possibilità che nell'originale si utilizzi proprio quel registro, per quanto strano possa sembrarci.
Il fatto è che stiamo parlando di un adattamento, non dell'opera. Se stessimo parlando dell'opera, dovremmo entrambi avere conoscenze linguistiche sufficienti per comprenderla in originale; ma stiamo discorrendo di come noi, spettatori italiani, percepiamo quanto abbiamo facoltà di vedere e sentire.
Ma l’adattamento discende da un’opera, senza l’opera non vi sarebbe neppure l’adattamento.
Quindi, se critiche vanno fatte ad un adattamento, bisogna sempre e comunque partire dall’originale e vedere in che cosa da esso differisce l’adattamento.
Altrimenti è solo questione di confrontare gusti ed abitudini personali.
Se accetti questa premessa, converrai che la nostra ignoranza sull'opera originale non solo è legittima ma pure scontata. Infatti, se conoscessimo l'opera originale non avremmo bisogno di un adattamento. Perciò, dato per scontato noi non conosciamo né il giapponese né l'opera, analizziamo quanto ci è dato di conoscere. L'adattamento.
L’adattamento è funzionale alla fruizione dell’opera. Ovvero, deve rendere un’opera scritta in una lingua straniera fruibile in un’altra lingua. Ma senza introdurre alterazioni ad alcuno degli elementi che compongono l’opera medesima.
Possiamo analizzare l'adattamento prescindendo dall'opera?
Ovviamente no. Però possiamo analizzare l'adattamento in funzione dello spettatore. Adattamento come processo attraverso il quale un'opera originariamente non fruibile, diventa tale.
Analizzare l’adattamento in funzione dello spettatore, secondo me, ha poco senso: non esiste (non è mai esistito) uno “spettatore campione” sul quale tarare simili analisi. Il pubblico è una massa estremamente eterogenea, proveniente da esperienze le più diverse tra loro.
Voler fare un analisi di un adattamento prescindendo da quello che vi è nell’opera originale è, a mio avviso, voler introdurre un elemento soggettivo di discrimine (il proprio “gusto”, la propria abitudine) a valutazione di un lavoro che, per essere valutato, abbisogna necessariamente del confronto con ciò che lo ha generato: è imprescindibile.
Ed una volta introdotto questo elemento soggettivo, qualsiasi adattamento, di chiunque, può essere criticato. E simili critiche, anche nel caso fossero dimostrate completamente inconsistenti, non potrebbero mai più essere smentite, in quanto proprio l’aver voluto giudicare un adattamento slegato dal suo contesto (l’opera originale) rende de facto impossibile simili smentite: tutto sarebbe lecito in virtù del fatto che “la soggettività dei molteplici gusti/abitudini degli spettatori diventano elemento dominante nel giudizio”, dato che non vi è modo alcuno di analizzare con oggettività un elemento così estremamente soggettivo come i gusti/abitudini di una persona.
Inoltre, a mio avviso, c’è un po’ di confusione sul concetto di “fruibile”: rendere fruibile un’opera non significa prendere gli elementi presenti nell’opera stessa e rielaborarli secondo quella che, a propria intenzione, è la “prassi comune” per rendere “edibile/capibile” un’opera straniera (quello sta al pubblico, attraverso la propria cultura, la propria sensibilità, la propria esperienza (non solo cinematografica)).
Rendere fruibile significa far in modo che lo spettatore abbia tutti gli elementi presenti nell’opera originaria per potersi formare, in perfetta autonomia ed in sincera coscienza, una propria opinione autonoma sull’opera medesima, sia essa opinione positiva o negativa. Senza che vi siano mediazioni di terzi che “aiutino” questo formarsi (anche perché, altrimenti, l’opinione non sarebbe “sincera”, visto che discenderebbe da una “interpretazione” dell’opera medesima operata dall’adattatore)
Diamo più valore all'adattamento di per sé o all'adattamento come veicolo per ampliare il target di
un'opera?
Il target di un'opera è deciso dall'autore originale dell'opera.
Volerlo ampliare artificiosamente è un qualcosa che, oltra ad avere un esito tutt'altro che scontato, non porta ad altro che a "contaminare" l'opera originale [...]
Il target di un'opera non è deciso a monte. Si vorrebbe poterlo decidere ma una volta conclusa l'opera, questa vive di vita propria. L'autore ha sicuramente un ruolo attivo, conscio o meno, nell'indirizzare i contenuti, ma soprattutto per opere collettive come quella cinematografica, i destinatari ideali e reali non coincidono. In maggior misura quando l'opera contenga simboli, in virtù del fatto che per comprenderli occorrano conoscenza che a certe età non sono affatto scontate.
Vedere La città incantata a undici anni fa un effetto, a venticinque un altro. Quando poi si scopre che il titolo originale è completamente diverso e rimanda al percorso di crescita e creazione dell'identità della protagonista, gli effetti sono altri ancora.
Vero.
Ma, nondimeno, l’opera è stata creata dall’autore rivolgendosi ad un determinato target.
Che, poi, l’opera possa esser stata apprezzata anche da persone al di fuori di quel target è solo un effetto fortuito, non programmato ne programmabile.
Torniamo a questa affermazione sul target:
Volerlo ampliare artificiosamente è un qualcosa che, oltra ad avere un esito tutt'altro che scontato, non porta ad altro che a "contaminare" l'opera originale
Attenzione: un adattamento *è* un ampliamento artificioso di target. Lo è per premessa: siccome questa opera non sarebbe massicciamente fruibile in questa nazione, la modifichiamo quel tanto che basta affinché possa essere compresa.
Mmmmmm, non direi un “ampliamento di target” quanto un “ampliamento di bacino d’utenza”: si amplia la platea dei potenziali spettatori, ma il target originario (inteso come quello al quale l’autore si è rivolto) rimane quello iniziale.
Certo, come detto prima, può capitare che persone estranee al target originario si interessino/appassionino al film, ma non può (e non deve) essere un interessamento figlio di un’alterazione dell’opera originaria.
Altrimenti questo ampliato interessamento sarebbe fallato all’origine, visto che sarebbe dovuto non alla bontà dell’opera primigenia, ma ad elementi estranei introdotti artificiosamente in una fase successiva ed ad opera conclusa.
E siamo tornati al punto cruciale.
Posso io, spettatore italiano ignaro sia della lingua giapponese sia dell'opera originale, criticare quanto ascolto in italiano?
Si che posso. Perché non sto criticando l'opera originale ma l'opera che fruisco, quella che è stata adattata anche per me.
Che poi le mie critiche suonino 'strane', beh: probabilmente lo sono tanto quanto suoni 'strano' a me quanto ascolto. In italiano.
No, non puoi.
Puoi dire “Mi piace/Non mi piace”.
Ma per muovere una qualsiasi critica costruttiva bisogna, come minimo, essere a conoscenza di come sia, in origine, l’elemento che si va a criticare.
Perché l’opera che fruisci è figlia dell’opera originale, e ne deve comprendere qualsiasi elemento (registro linguistico incluso).
Però mi chiedo, anzi ti chiedo ( ) partendo dal presupposto che io ero uno di quelli che sosteneva la comprensibilità della frase "Li mangerò con riguardo", come si opera quando ci si trova in una situazione simile?
Se ne è già discusso. Ovviamente Yoda deve parlare strano anche in italiano. Nausicaa non credo sia dislessica. Se ci fai caso, quella scena è cinematograficamente costruita per esprimere commozione. La commozione di Nausicaa che di riflesso dev'essere quella dello spettatore. Quando le bimbe porgono il cibo, la "telecamera" stacca sul primo piano di Nausicaa e parte una malinconica musica al pianoforte (obiettivamente un po' cheap, sembra quando in Mai Dire Gol mandano via un allenatore ). Lì l'intenzione autoriale è chiaramente quella di emozionare il pubblico attraverso la relazione tra bimbe e principessa. Una relazione che si sta interrompendo nella frequentazione fisica, ma che ambo le parti vogliono comunque far proseguire nell'assenza. Per questo le bimbe hanno preparato quel cibo, perché Nausicaa, mangiandolo, sia in qualche modo ancora con loro quando sarà lontana. Nausicaa capisce tutto questo, si commuove, e con quella battuta vuole corrispondere quella stessa intenzione. Sta dicendo sì, grazie, anch'io voglio sentirmi ancora con voi quando sarò lontana, e quando mangerò questo cibo sarà davvero come se lo fossimo!
Ora, questa relazione, questa emozione, allo spettatore italiano arriva se il dialogo scorre, non se viene distratto da un'espressione innaturale e ambigua (per un sentimento in sé del tutto universale) su cui interrogarsi per qualche secondo. Per cui tradurre con "Grazie, li mangerò pensando a voi" è per me (e non certo solo per me), una traduzione infinitamente più *fedele* di "Grazie, li mangerò con riguardo".
http://www.treccani.it/vocabolario/riguardo/La sua analisi sarebbe corretta se il “riguardo” della frase rientrasse nella definizione contenuta al secondo paragrafo (per praticità la riporto: “Attenzione scrupolosa, precauzione diligente nell’usare una cosa o nell’occuparsene”).
Solo che, nella scena incriminata, “riguardo” è usato nell’accezione riportata nel paragrafo 3b (riproto anche questa per praticità: “Considerazione, rispetto, stima”).
Nausicaa, nell’accettare il sacchetto dei semi, mostra di avere rispetto per la fatica fatta dalle bambine per raccogliere una quantità ragguardevole di semi in così breve lasso di tempo(senza dimenticarne il sacrificio: non dimentichiamo del contesto di quella scena, ovvero l’esercito di Tolmekia che stata sequestrando tutto il sequestrabile (cibo compreso). E l’offerta di una tale quantità di semi (che, come specificato successivamente da Nausicaa, è un tipo di cibo altamente energetico e nutriente, quindi maggiormente da apprezzare, rispettare in tempi di carestia o saccheggio)rappresenta un sacrificio notevole. Specialmente se fatto da delle bambine).
Ed a proposito della “distrazione del pubblico” in quel particolare frangente non si è mossa foglia in sala.
Nemmeno da parte degli spettatori più piccoli.
A differenza di quanto Yupa irrompe nella navetta di Peijite assaltata dai soldati di Tolmekia: quando estrae le sue spade si è levato un ”AhAh. Pare Goemon” (seppur pronunciato con un tono di voce sommesso per rispetto degli altri spettatori, l’ho potuto udire distintamente vsito che proveniva dalla fila immediatamente dietro a dove ero seduto)). Ed era una scena muta, senza nessun dialogo.
Tanto per esemplificare, una volta in più, di come il pubblico reagisca in maniera difficilmente pronosticabile.