Autore Topic: Studio Ghibli  (Letto 404726 volte)

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2040 il: 05 Ott 2015, 22:05 »
E' probabile che a te non piacciano neppure questi film, dunque, ma che per una tua connotazione superegotica "vorresti che ti piacessero". E' un autoinganno in ogni caso.
Verissimo.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2041 il: 05 Ott 2015, 22:17 »
La presunzione è anche in questo: 'se non ti piace il mio adattamento allora non ti piace il film, perché il mio è corretto'.
Ma non funziona così. Il giudizio scevro di contaminazioni sul film lo maturerò solo sapendo il giapponese a livello madrelingua e guardandolo in lingua originale. Tutto il resto è il giudizio sul film ADATTATO.
ADATTATO. Io giudico il film filtrato da Cannarsi. E non può essere altrimenti, perché un qualunque altro adattatore lo avrebbe adattato diversamente (indipendentemente dall'aderenza al testo, sarebbe comunque differente), e non puoi in alcun modo avere la presunzione di dire che il tuo sarebbe in assoluto il migliore, sarebbe ridicolo.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2042 il: 05 Ott 2015, 22:19 »
E' probabile che a te non piacciano neppure questi film, dunque, ma che per una tua connotazione superegotica "vorresti che ti piacessero". E' un autoinganno in ogni caso.
Verissimo.
Rispondo a Shito. Non a Fool.

È difficile accettare le critiche soprattutto perché tu forse ci campi con sto lavoro.
Continua a mangiare il pane e pensa che io non sia un fan di Miyazaki perché non apprezzo l'intrinseco oggettivo, cioè le noccioline nella tua cacca.

Non mi piace la tua adattazione, è brutta. Certo, è brutta per me. A me basta.

Offline Shito

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2043 il: 05 Ott 2015, 22:21 »
Citazione
Il problema è che tu non riesci ad accettare che la tua idea di correttezza possa non essere corretta al cento per cento.

No, non ti permetto di trascinare l'idea di 'correttezza' nel fango del 'giudizio di valore', mettendo tutto sullo stesso piano. E' una scemenza e spero tu lo sappia.

Mi piace o non mi piace sono gusti.

Chihiro diceva 'no' e in italiano invece dice va 'sì' (è un esempio reale, il più schietto che trovo) non sono gusti. Sono fatti.

La differenza è questa e sì, anche questa è fattuale, obiettiva, oggettiva.

Il problema, l'unico problema, è solo di chi non riesce essenzialmente ad accettare che 'cosa piaccia a lui', ovvero i suoi personali gusti, quando si parla dell'opera altri sono INSIGNIFICANTI.

Anche i miei gusti sono insignificanti nell'adattare l'opera altrui. Infatti io non faccio dire ai personaggi quello che piace a me, non glielo faccio dire neppure come piacerebbe a me che lo dicessero. Gli faccio dire quello che dicono nel modo più prossimo possibile a come lo dicevano in originale. Così che tuttpi possano legittimamente valutare l'opera in questione nella sua quanto più inalterata realtà.

E' proprio così semplice.

Citazione
La presunzione è anche in questo: 'se non ti piace il mio adattamento allora non ti piace il film, perché il mio è corretto'.

Il mio assunto presuntivo principiava con "è probabile che". Non l'avevi notato, oppure pensi di essere un retore molto scaltro? :-)

Citazione
Non mi piace la tua adattazione, è brutta. Certo, è brutta per me. A me basta.

Mi rendo conto che sei una persona che pensa al sé, cosa che non è un reato. Quindi boh, che dovrei dirti? Che mi spiace per te? No, non ti conosco neppure - sarei un ipocrita a farlo. Quindi è così: a te non piace, ma è così che è. Fattene una ragione, perché non hai strumenti per cambiare la realtà che non apprezzi, quindi non alimenti che la tua frustrazione.
« Ultima modifica: 05 Ott 2015, 22:24 da Shito »
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Offline Wis

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2044 il: 05 Ott 2015, 22:27 »
Il mio assunto presuntivo principiava con "è probabile che". Non l'avevi notato, oppure pensi di essere un retore molto scaltro? :-)
Visto il consiglio successivo di liberarsene e i continui riferimenti alla "correttezza obiettiva" del tuo operato, ho ritenuto il tuo appello alla probabilità un semplice pleonasmo.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2045 il: 05 Ott 2015, 22:29 »
Wis allora siccome è adattato pure quello di Shito, tanto vale adattare inventando. È questo che vuoi dire? Se non vuoi dire questo la tua argomentazione non ha senso. Boh. È evidente che possono esserci vari livelli di fedeltà al testo, no? Ci può essere l'invenzione totale, lo stravolgimento, la mezza invenzione ecc.

Se lui ti dice che "sorellona principessa" suona strano pure a un giapponese devi credergli, perché ti ha portato delle prove o delle argomentazioni.
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Offline Shito

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2046 il: 05 Ott 2015, 22:32 »
Il mio assunto presuntivo principiava con "è probabile che". Non l'avevi notato, oppure pensi di essere un retore molto scaltro? :-)
Visto il consiglio successivo di liberarsene e i continui riferimenti alla "correttezza obiettiva" del tuo operato, ho ritenuto il tuo appello alla probabilità un semplice pleonasmo.

L'hai creduto un semplice pleonasmo perché -evidentemente- sei in malafede. :(

Il 'probabilmente' era invece doveroso e sincero, perché stavo elaborando un ponte deduttivo presuntivo su una persona che non conosco realmente.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2047 il: 05 Ott 2015, 22:36 »
Presuntivo... Presunzione quindi?
Comunque a me sembrava un'illazione con fine di insulto. Almeno così l'ho recepita.

Offline Wis

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2048 il: 05 Ott 2015, 22:50 »

L'hai creduto un semplice pleonasmo perché -evidentemente- sei in malafede. :(

Il 'probabilmente' era invece doveroso e sincero, perché stavo elaborando un ponte deduttivo presuntivo su una persona che non conosco realmente.
No, non ci siamo capiti, non è che "ho creduto". Credo ancora che fosse un semplice pleonasmo sulla semplice base dell'inamovibilità delle tue argomentazioni.
In effetti non hai risposto al resto delle mie argomentazioni su eventuali altri adattamenti.
Credo ammetterai che un altro adattatore, pur volendo serbare l'identità del testo, avrebbe potuto adattarlo diversamente.
Credo anche tu non abbia nulla in contrario nell'accettare l'evenienza che io possa gradire maggiormente l'operato di un altro adattatore.
Quindi sarebbe a mio avviso estremamente presuntuoso dire a priori che un altro adattatore avrebbe fatto le tue stesse identiche scelte, OPPURE avrebbe tradito l'opera originale.
Ovvero, per l'appunto, che se non ti piace il mio adattamento allora "probabilmente" non ti piacciono le opere di Miyazaki.

Bon.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2049 il: 05 Ott 2015, 23:02 »
Wis, solo ieri questo signore ha sfoderato tre menzogne e tre strafalcioni grandi come case. Senza vergogna. E si permette ancora di parlare di correttezza e oggettività. Di "ligia verità" e "base di tutto". E si permette di dire a te che sei in malafede. E davanti all'orrore che ha creato, si nasconde nel ritornello per cui bello e brutto sono solo gusti. Non è neanche più presunzione, è il delirio di onnipotenza di un illetterato mitomane che deve continuamente alimentare la bugia di cui vive. Tu immagina lo shock se mai si rendesse conto di aver sfigurato per un intero paese la sua passione di una vita. E' un caso psichiatrico, non linguistico. Lascialo perdere.
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2050 il: 05 Ott 2015, 23:12 »


Citazione da: Gaissel

Io al mattino glie ne do di regola, voi no?

Al pipino come consiglia Rael?


Offline Shito

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2051 il: 05 Ott 2015, 23:41 »
Il mio assunto presuntivo principiava con "è probabile che". Non l'avevi notato, oppure pensi di essere un retore molto scaltro? :-)
Visto il consiglio successivo di liberarsene e i continui riferimenti alla "correttezza obiettiva" del tuo operato, ho ritenuto il tuo appello alla probabilità un semplice pleonasmo.

Scusami se ti leggo con attenzione.

Non solo sei in malafede, ma anche quando ti viene spiegato con gentilezza il caso reale continui, quindi sei proprio malfidente. E a quanto pare, te ne compiaci anche. Mi complimento con te! :-)

Pensi che vi sia un qualsiasi modo costruttivo di parlare con una persona che affronta il dialogo da una posizione come la tua? Dico sinceramente, eh? Tanto, anche se ti dico cosa io penso (= interpretazione autentica) tu preferisci arroccarti nell'autocompiacimento di una tua costruita visione dell'altro (che in questo caso sarei io).

Beh, sì, diciamo che i conti tornano, eh?
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Offline Shito

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2052 il: 05 Ott 2015, 23:48 »

Credo ammetterai che un altro adattatore, pur volendo serbare l'identità del testo, avrebbe potuto adattarlo diversamente.

Certo. Il punto è che ritengo che qualsiasi livello di minore aderenza all'originale sia obiettivamente (oggettivamente) 'peggiore', in quanto 'meno corretto' <- dato appunto obiettivo/fattuale, non di gusto.

Parimenti, qualcuno potrebbe riuscire a fare adattamenti più fedeli, più precisi, e indi più corretti e migliori dei miei, certo.

Citazione
Credo anche tu non abbia nulla in contrario nell'accettare l'evenienza che io possa gradire maggiormente l'operato di un altro adattatore.

Ci mancherebbe! Tu hai tutto il diritto anche di volere i film di Miyazaki in cui i personaggi si chiamino come i Care Bares, che so. Ne hai tutto il diritto. Come io ho il diritto di valutare il significato di quetsa tua preferenza, trarne le mie conclusioni sui tuoi gusti, ed eventualmente (<- non è un pleonasmo) disistimarti per questo. Senza alcuna presunzione che la mia disistima debba essere in alcun modo significativa, si intende.

Ciascuno, semplicemente, è quello che si dimostra di essere con il suo pensiero espresso e le sue azioni, e soggiace al giudizio del prossimo suo, io al tuo come tu al mio, come noi due a quello di chiunque altro.

Citazione
Quindi sarebbe a mio avviso estremamente presuntuoso dire a priori che un altro adattatore avrebbe fatto le tue stesse identiche scelte, OPPURE avrebbe tradito l'opera originale.

Ho infatti esplicitato che posso immaginare un adattatore migliore di me (= che fa adattamewnti più fedeli dei miei).


Citazione
Ovvero, per l'appunto, che se non ti piace il mio adattamento allora "probabilmente" non ti piacciono le opere di Miyazaki.

Questo è in effetti quello che penso, "probabilmente" incluso - ma non pleonasticamente inteso.

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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2053 il: 05 Ott 2015, 23:50 »
Wis, solo ieri questo signore ha sfoderato tre menzogne e tre strafalcioni grandi come case. Senza vergogna. E si permette ancora di parlare di correttezza e oggettività. Di "ligia verità" e "base di tutto". E si permette di dire a te che sei in malafede. E davanti all'orrore che ha creato, si nasconde nel ritornello per cui bello e brutto sono solo gusti. Non è neanche più presunzione, è il delirio di onnipotenza di un illetterato mitomane che deve continuamente alimentare la bugia di cui vive. Tu immagina lo shock se mai si rendesse conto di aver sfigurato per un intero paese la sua passione di una vita. E' un caso psichiatrico, non linguistico. Lascialo perdere.

Parlando di psicanalisi, tu lo sai cosa si intende per 'proiezione'?

Magari sì. Del resto sei molto acculturato. Ma se mai non lo sapessi, prova a far leggere a uno psicologo questo tuo testo e mi sa che te lo spiegherebbe al volo. XD

Sei un grande!

(Ovviamente io conosco la psicanalisi a seguito del personaggio di Jung Freud in "Punta al Top!" di Anno Hideaki, come immagino avrai immaginato).
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Re: Studio Ghibli
« Risposta #2054 il: 05 Ott 2015, 23:51 »
filosofia - soprattutto
Questo spiega in parte alcune questioni.

Non ho alcuna competenza di traduzioni e adattamento, come molti qui dentro leggo basandomi sulla forza delle varie argomentazioni. Per deformazione professionale ho molto rispetto per i percorsi universitari e i titoli accademici, almeno fino a prova contraria. Oltre al buon senso, per cui quello che a più riprese ha sostenuto Cryu mi appare logicamente e pragmaticamente più confacente al vero.

Mi colpisce la questione della filosofia per un motivo: in questo particolarissimo ambito sia la prassi funzionale che quella più spiccatamente letteraria dell’iter traduttivo sono fallimentari e respinte. Mi sono occupato occasionalmente di traduzione in ambito filosofico, solo come studente, soprattutto nel corso di Filosofia del Linguaggio. Il fatto che tu abbia citato proprio la filosofia mi fa intendere alcune linee di fondo che caratterizzano il tuo lavoro di adattatore e i principi che ti distinguono. Più come comprensione che giustificazione.

In filosofia colui che determina un’idea e i neologismi ad essa collegati ha il primato sul ricevente. In altre parole, non è tanto la comprensibilità in uscita il vero obiettivo del filosofo quanto l’esigenza di attrarre l’uditorio verso le categorie (nuove, specifiche o particolari) contenute nel messaggio stesso. Si parte della presunzione di autorialità, quella che, in effetti, porta il pensatore a scomodare nuove forme di pensiero ulteriore, di cui il ricevente deve ricostruire contesto, ambito, sviluppo ed esito di particolari scelte lessicali che sono alla base del pensiero. Nel momento in cui questo avviene, non ha più senso domandarsi se quel determinato concetto avrebbe necessitato di altre e migliori parole, quelle esistenti rappresentano l’unica e forse migliore concretizzazione di quell’idea. Se una specifica intuizione (per non parlare di “oggetto tipico di pensiero”) non esiste nella lingua di arrivo della traduzione, preoccuparsi di adattarla è inutile. Anzi, più che inutile, dannoso. Soprattutto per il destinatario, visto che è a lui precluso il guadagno di studio e consapevolezza dato dall’approfondimento.

Per questo motivo, la traduzione in filosofia è una prospettiva sempre perdente. Un concetto che tutti, qui dentro, hanno ripetuto e su cui si può convenire. La differenza sta nel fatto che nella traduzione di concetti filosofici si decide scientemente di non tradurre affatto, vale a dire anche all’interno di un’opera caratterizzata da parole di specie il buon andamento traduttivo ammette l’irriducibilità di espressioni seminali. Per tradurre “logos” servono almeno dieci righe di testo e di concetti “distesi”, cosa che allontana ogni funzionalità e bisogno di sintesi. O il teutonico dasein, la cui esplicazione diretta in “esser-ci” ed “esistenza” non rende minimamente la sua temporalità ed immanenza, il suo “essere per il mondo” ed “impegno nella discosività del presente corrente”. Questioni che, prese singolarmente, necessiterebbero di altri approfondimenti del caso solo per rendere le accezioni più evidenti. Figuriamoci le sfumature. Quindi nel corpus della traduzione si lasciano senza indugio e senza ripensamenti i termini nella lingua madre, con l’invito, neanche troppo sottinteso, a fruire l’opera in originale. Ma la filosofia non ha un pubblico generalista, né commerciale in senso stretto. L’adattatore di testi per il grande pubblico deve operare delle scelte soppesando pro e contro, il filosofo taglia il nodo gordiano della problematica.

Per queste ragioni la ricezione in sé dell’opera è solo il capitolo finale di un progressivo grado di familiarità che lo studioso deve progressivamente ricercare per una sua opportuna edificazione. E là dove la lingua è la medesima, il filosofo non ha alcun problema a forzare le parole per dire cose nuove, poiché una cosa non esiste finché non la si chiama opportunamente. Parole come “complessificazione”, “eideticità” e “radicalogismo” vengono rigettare sdegnatamente da qualsiasi vocabolario che si rispetti ma di fatto esistono nella mente e nella volontà di chi, quelle parole, le incontra e le approfondisce. Ricercandone la storia. Il fatto che il linguaggio abbia una codifica inquadrata in un sistema semichiuso di regole autodeterminate (grammatica) non deve essere un limite alla sperimentazione linguistica.

Autori come Deridda, Eco, Holmes, Paz, Quine, Jakobson, Lotman, Gadamer e molti altri hanno indicato diverse prospettive, sparse in tutto il ‘900, per affrontare compiutamente la teoria che dovrebbe caratterizzare la base di ogni approccio traduttivo. Ad esempio, per Jakobson la traduzione è un trasferimento intertestuale che alla prova dei fatti deve conservare l’impronta genetica del testo di partenza in senso culturale:
Nei termini di questa disciplina, la prospettiva genetica viene ritenuta l’unica accettabile. Non si può rendere il medesimo effetto della parola originale ma, analizzando le condizioni della sua costituzione, si sceglie di privilegiare la sua origine e non il suo fenomeno. Il fenomeno è sempre altro da quello che lo costituisce. La traduzione è un’offerta culturale di alterità.” (Jakobson, Essais de Linguistique génerale)

E’ una fissa del contesto filosofico, pretendere una conoscenza delle opere filosofiche di partenza. Naturalmente la specializzazione è assolutamente raccomandata (oltre che inevitabile), nella speranza di bypassare l’ingiustizia della traduzione. L’enunciazione di contenuti filosofici non ammette trasformazioni né ricompilazioni, la necessità di tradurre mette in luce i limiti del linguaggio come medium della comprensione interculturale, se non attraverso quella che si può definire una mediazione artificiale. Il ricorso alla traduzione è un’ammissione di inferiorità da parte degli interlocutori (Gadamer), per cui la comprensione, i tali casi, non si verifica veramente tra gli interlocutori ma tra gli interpreti, nel demanio del metalinguaggio traducente.
La traduzione, pertanto, è una forma provvisoria di un oggetto inconoscibile e pertanto intraducibile realmente.

In questo senso, capisco (ma non giustifico) il tuo continuo richiamo all’origine dell’intenzionalità compositiva di un testo, per scongiurare il tradimento di una traduzione che privilegi principalmente la lingua di arrivo. Alcune tue scelte sono grammaticalmente bizzarre per la lingua che conosciamo ma forse a te questo non interessa, avendo (inconsapevolmente?) optato per un modello filosofico.

Ma qual è il prezzo da pagare? Nel tuo pensiero Miyazaki è assimilabile a un costrutto filosofico peculiare?
Il senso dei rilievi che ti vengono fatti sta tutto qui: le tue scelte di traduzione hanno un senso preciso e una logica interna (particolare) ma non possono, senza contraddittorio alcuno, porsi come perfette e indiscutibili.
« Ultima modifica: 06 Ott 2015, 07:43 da Il Gladiatore »
La paura è di passare per non esperti, di non comprendere il medium che si sta evolvendo etc. (...) è figlio dell'immotivato senso di inferiorità che spinge il videogiocatore alla spasmodica ricerca di qualcosa che giustifichi il videogioco come se il gameplay da solo non bastasse più." (Fulgenzio)