Caro Wis,
ti ringrazio sinceramente per il bel post che mi hai indirizzato. A leggerlo, mi viene da pensare che tu sia una persona notevole, forse in molti modi, e che mi piacerebbe conoscerti dal vivo. Come ha volte ho fatto partendo dalle stesse premesse e guadagnando amicizie meravigliose.
Hai scritto molte cose vere e sensate che non starò a quotare, perché basta rileggere tutto il tuo post.
Permettimi però di farti sapere alcune cose importanti, che forse per mio difetto mi paiono non esserti ancora chiare.
La prima, che è obiettiva perché è un fatto reale, sul quale ti prego di credermi, è che io non ricerco intenzionalmente un effetto straniante della lingua d'arrivo (italiano) dei miei adattamenti. Persone più colte di me nel settore specifico (traduzione) mi hanno informato che una simile dottrina pure esiste, accademicamente, pare si chiami appunto "teoria di traduzione straniante". Ma io non sono uno strutturalista. Non ho mai, mai ricercato deliberatamente alcun effetto straniante dei miei adattamenti, né nel lemmario, né nelle strutture morfosintattiche utilizzare.
Posso capire che i miei adattamenti possano risultare a tratti stranianti. Al netto della soggettività dell'orecchio del ricevente (e anche sui vari forum, anche su questo, vediamo un ventaglio di diverse percezioni e reazioni), questo è squisitamente il frutto di due soli fattori, ovvero A) la mia totale messa a servizio del più vasto uso della lingua italiana per la più precisa resa dell'originale, e B) le peculiarità degli originali su cui ho lavorato e lavoro.
Parlando di A), possiamo semplicemente dire che quello che porta a essere *per taluni* 'stranianti a tratti' i miei adattamenti è dunque un effetto collaterale. Pensandoci, dico che è un effetto collaterale logico, sensato, ovvero che è naturale che sia presente. Ma non dico mai che sia doveroso, che lo faccio apposta. Come effetto collaterale (e solo come tale) credo sia anche benefico, però. Perché mentre tanti dicono 'i bambini così non capiscono', io penso 'i più giovani così imparano'. Essendo cresciuto con le storie del Topolino italiano, non posso non pensare che fruire della finzione narrativa dal ricco vocabolario non sia utilissimo alla formazione e all'uso di un proprio dizionario italiano. Ma ripeto: quello che per un Rodolfo Cimino era di certo un ricercato intento, del tutto legittimo nella creazione di testi suoi originali, per me non è che un effetto collaterale, nella derivazione di testi tradotti e adattati da un originale che esiste già, ed esiste nella sua totalità.
Indi, quanto a B), c'è da dire che in particolare Miyazaki Hayao fa sempre un uso particolare della lingua. Mononoke Hime è il caso più eclatante, ma tutti i suoi film parlano in modo un po' perculiare. Fanno un po' pensare al Topolino italiano, volendo. Anche lui parla in modo particolare. Ora sto adattando il documentario "Il regno dei sogni e della follia", e credimi se ti dico che prima di questo ho visto per documentazione (esegesi & ermeneutica) tanti, tanti documentari su di lui e sul suo operato. Usa parole strane, peculiari. Per dire "usciamo dalla sala proiezioni" magari dice "ok, evacuiamo!", come dire "scramble!" - per citarne l'ultima a cui pensavo. Essenzialmente parla come un bambinone molto intelligente, ma comunque in un modo che sa un po' di infantile, un po' di colorito, un po' di acculturato, un po' di divertente.
Ancora, le opere sono diverse. Sfido chiunque a dire che Totoro, da me adattato, usa la stessa lingua di Mononoke Hime, da me adattato, o che Mononoke Hime usa la stessa lingua di Kiki, o di Laputa.
Di base c'è che sono tutte opere originali giapponesi e partorite dalla stessa mente che è quella di Miyazaki Hayao, certo. Ma sono variazioni di gamma molto evidenti.
Ancora più differente è Takahata Isao. Al momento puoi aver sentito solo due adattamenti di Takahata a mia firma, e sono due film molto particolari: Ponpoko e la Principessa Splendente.
In Ponpoko Takahata per i tanuki usa deliberatamente un lemmario da sindacalismo sessantottino giapponese (ANPO), che era tratto da quello rivoluzionario francese. Ma putualmente, eh. E poi c'è un narratore che in originale era un narratore di teatro rakugo, con tutto quello che comporta. Altri personaggi (il politico, il direttore d'azienza) hanno parlate tutte diverse. Se avessi tempo, ti prego di provare a farci caso, perché la cifra stilistica e l'estensione di gamma di quel testo - dico in giapponese, da cui poi in italiano - è strabiliante.
Con Kaguya, da un lato Takahata ha preso di peso il testo originale del Taketori Monogatari, e l'ha messo nella narratrice. E' un testo molto, molto antico - parliamo dell'anno mille o giù di li. Dall'altro, ha caratterizzato i personaggi con i registri 'popolari' e 'da corte imperiale Heian', e anche questo è evidentissimo.
In entrambi i casi, Takahata è un narratore davvero intellettuale e colto, c'è poco da fare. Per intendeci, esistono in giapponese versioni del Taketori Monogatari con la PARAFRASI in giapponese contemporaneo, per farti intende quanto possa essere 'naturale' quella lingua. Ma non per questo Takahata si è fatto scrupolo di usarla in un film *anche* per bambini. Capisci cosa intendo?
Questi due registi, con tutte le loro diversità, fanno i loro film come vogliono farli loro, senza farsi scrupoli di tipo divulgativo, o di comprensione.
E ora, il punto finale e focale.
Questa è la 'critica' (virgolette) che muovo alla tua visione delle cose (<- occhio, qui c'è un doppio senso).
Ovvero, se tu ami qualcosa, allora la vuoi conoscere, la vuoi capire, la vuoi comprendere.
Io dico che l'amore è una comprensione che brama comprensione.
E più conosci, capisci e comprendi, e più ami. E vuoi conoscere, capire, comprendere ancora di più.
Io credo che questo valga per l'amore in senso lato, sai? L'amore per una persona, per le lingue, per una branca del sapere, per la scienza, per la natura, per l'arte, per un artista, quello che vuoi.
Più conosci, capisci e comprendi, e più ami. E vuoi conoscere, capire, comprendere ancora di più.
E' il contrario della frivolezza che dicevo in un post precedente. E' la psiche della filosofia (l'amore per il sapere, ovvero l'amore). Io credo sia l'unico antidoto per i mali della società del benessere diffuso (postmoderna).
Ma nel nostro caso, vuol dire semplicemente che se tu ami un film, lo vuoi capire. Lo vuoi capire per quello che è. Vuoi capire cosa dice esattamente, amando tutte le diversità tra lui (il film) e te. Perché il film di un autore che non siamo noi è "altro che noi". E' alia. E' l'altro. E' il diverso. E se lo ami, lo vuoi conoscere. Se lo vuoi rendere simile a te, per il tuo comodo, per il tuo agio, non lo ami. Lo vuoi solo usare.
E non ci sono vie di mezzo. Qui ti sbagli. L'esempio del 'vecchio' Sen&Chihiro non è l'esempio del peggior adattamento italiano, ma della fascia medio-alta del livello dei nostri adattamenti. Qui ti chiedo di credermi sulla fiducia, ma di fatto -ho citato casi e posso proseguire- il film era divenuto tutta un'altra cosa. Un altro film. Non era più quel che è, e tu, come nessun italiano, poteva più conoscerlo, capirlo, comprenderlo, eventualmente amarlo. Era diventata una cosa diversa, che in molti hanno trovato piacevole.
Piacevole.
So che è una cosa forte, ma vale anche per l'amore per le persone. Prova a pensarci. E' una corrispondenza quasi perfetta. Il mondo ormai vive i rapporti interpersonali, anche sentimentali, come un usarsi a vicenda. Piuttosto che volersi conoscere e comprendere davvero, ci si usa a vicenda per il proprio reciproco agio.
Non è questo che io chiamo amore, non è questo che credo benefico, non è questo che io credo giusto.
Anche per la traduzione di un film.
Sai, non è necessario tradurre un'opera straniera. Farlo è una cosa violenza, così come è violento amare una persona. Ci deve essere un buon motivo per farlo, e lo si può fare solo in un modo davvero fedele.
Questo è il mio onesto pensiero che propongo alla tua sensibilità.
Ti prego di pensare a cosa significhi, in fondo, il tuo pur del tutto legittimo 'non mi piace'.
Ti ringrazio per l'attenzione.