Non ho davvero interesse a discutere con questo signore, benché certamente educato e paziente. Sicuramente più di me. Tanti altri in passato hanno provato a spiegargli con efficacia argomentativa superiore alla mia dove sbagli, senza evidentemente scalfire le sue certezze. Viceversa, non trovo né interessanti né competenti le sue opinioni in materia di traduzione, ragion per cui ne scaturirebbe un dialogo sterile in ambo le direzioni. In questo senso ho trovato eloquente il podcast da lui linkato, quando alla prima domanda dell'intervistatore, che insieme gli muove un'obiezione, non concede neppure di terminare la frase, per dilagare invece in un infinito monologo.
Agli amici utenti che prendono per oro colato quanto esce dalla sua tastiera, posso solo ribadire che è sbagliato quanto sostiene in ciascuno di quei 10 punti; che è del tutto arbitrario ciò che spaccia per oggettivo e soggettivo; che la sua presunzione di restituire la verità del testo originale è appunto solo una presunzione, perché la verità del testo originale è solo del testo originale e di nessuna traduzione, tanto meno le sue, che evidentemente non sono letterali al 100%, ma lo sono comunque troppo; che che cosa sia una traduzione non lo decide lui, ma migliaia di anni di storia, teoria e prassi della traduzione; che i dizionari sono importanti, ma anche la frequentazione della lingua viva (motivo ad esempio per cui le agenzie di traduzione non lavorano con madrelingua che sono lontani dalla patria per oltre due anni); che per ciascuna delle sue verità in materia di teoria e metodo della traduzione non cita neppure una fonte perché considera se stesso più che autorevole; che 'imperituro' in italiano si può dire di cose astratte, non di esseri viventi; che -articolo o meno- nel suo Mononoke 'dio bestia' ha tutto il sapore della bestemmia; che guarda caso non ha risposto sugli strafalcioni di Totoro/Arrietty; che un testo è ben più che una successione di singole parole, ma il risultato di un processo in cui un'intenzione comunicativa e una certa lingua si incontrano influenzandosi e plasmandosi a vicenda; che se avesse davvero metabolizzato qualche fondamento di strutturalismo, saprebbe che che ogni lingua è un sistema a sé, dentro il quale ogni parola ha un preciso valore in relazione alle altre parole di quella stessa lingua, e che pertanto a seconda delle lingua in uso cambiano le variazioni lessicali opportune e concesse; che in certe lingue un concetto può richiedere due parole per essere espresso, in altre una sola o quattro, e quindi una buona traduzione può aumentare/ridurre il numero degli aggettivi in una frase, accorciare/allungare una locuzione, ecc.; per cui sì, una traduzione è afferrare il senso e riformulare, non fare il calco di una struttura insuperabilmente esclusiva di un'altra lingua; che ciascuna lingua ammette variazioni stilistiche in modo diverso; che il bello e il brutto non sono concetti totalmente soggettivi o figli dell'abitudine e che la capacità di chi lavora con la lingua è proprio quella di muoversi in questo delicato terreno anche smontando e rimontando un'estetica, motivo per cui a scuola ci hanno fatto imparare a memoria i proemi di Iliade e Odissea, bellissimi in italiano da bellissimi che erano in greco, e di certo non perché tradotti "parola per parola"; che uno stile non si può passare a un'altra lingua come se fosse il 'copia formato' di Word; che una traduzione brutta non è fedele ad altro che alla negligenza, testardaggine o inadeguatezza di chi la produce; che la sua ideologia linguistica era nota da tempo, e non è sbandierarla in ogni dove a suon di stampatelli che la renderà meno sbagliata, dannosa e foriera di adattamenti disastrosi di cui solo lui e pochi altri fanatici non vogliono rendersi conto.