E quindi dopo Mark Hollis anche Keith Flint se ne va. Artisti di statura incomparabilmente diversa, con il primo musicista schivo ma geniale capace di scrivere alcune delle pagine più visionarie mai lette nel Rock laddove il secondo era poco più di un uomo immagine per il progetto di Liam Howlett, seppur con la sua discreta importanza nel funzionamento complessivo della macchina Prodigy.
Inevitabile quindi riascoltare i nostri ripartendo da Experience, esordio datato 1992 che esemplifica come meglio non si potrebbe l'allora imperante stile Breakbeat Hardcore: breakbeat supersonici sui quali vengono costruite tracce basate su campionamenti sciocchi presi dalla cultura popolare (dai programmi per bambini alle pubblicità di cibo per gatti), tastierone Euro Techno cafone ma irresistibili e tutto l'epos zozzone, edonistico e ribelle della cultura Rave che stava esplodendo in Inghilterra. Un disco storico.
Music for the Jilted Generation, 1994, segna la prima evoluzione. La scena Rave si stava spostando verso Jungle e Drum'n Bass, i Prodigy rimangono invece sguaiati, cafoni e aggressivi ma stavolta con una vena oscura e violenta, quasi nichilista, che riflette il nuovo clima infame creato dal Criminal Justice and Public Order Act. I ritmi basati su breakbeat rimangono sempre supersonici ma non mancano momenti più contemplativi. Arrivano le prime chitarre ma anche pezzi più canonicamente Techno, con tanto di rifrazioni Trancey. Forse dura un po' troppo e non sempre è a fuoco, ma pezzi come Their Law, Poison, Voodoo Pepole e No Good (Start the Dance) fanno epoca.
Il botto arriva nel 1997 con The Fat of the Land. Ed è di quelli di cui ancora oggi si sente l'eco. I ritmi rallentano ed i Prodigy diventano la più pericolosa e chiacchierata rock band del mondo, con i breakbeat GRANDI, GROSSI e GRASSI al posto delle chitarre, ma anche con le chitarre, oramai sempre più importanti nell'economia di tracce adrenaliniche ed esplosive, veri e propri concentrati di minacciosa malvagità, esaltanti e mozzafiato come un giro senza cinture su montagne russe colossali eppure sempre in grado di mantenere una musicalità spettacolare, con momenti di pura, incorrotta, bellezza come il canto femminile nel bel mezzo di Smack My Bitch Up o il mantra di Narayan. E' un disco tellurico, coeso, incendiario dall'inizio alla fine, ROCK DA OGNI BOTTA UN QUINTALE, come direbbe il Colle der fomento, con una scaletta talmente perfetta da sembrare quella di un best of. Non ci sono utopie, non c'è speranza in un mondo migliore, solo lo sballo autodistruttivo ed il deflagrare inarrestabile dell'incontro fra la generazione Rave e quella Grunge (non a caso si chiude con una cover infuocata di Fuel My Fire delle L7).
Fighi oltre ogni limite.