Dunque, ho appena finito di giocare
Flower Sun and Rain su Nintendo DS. Secondo episodio, datato 2001 e uscito originariamente su PS2, della “Kill the Past Saga” di Suda51.
Pensavo che questa volta sarebbe stato più facile parlarne...
In fin dei conti è un gioco dove la parte narrativa è per certi versi più semplice e contenuta che nel suo prequel,
The Silver Case (di cui ho parlato qui:
https://www.tfpforum.it/index.php?topic=23170.msg2762008#msg2762008). E invece, arrivati alla fine, ecco che anche questa volta non so nemmeno dove da dove cominciare...
E allora farò come sempre: cercherò di parlarne prima con la metà razionale del cervello.
Dico subito che questo gioco, al contrario di
The Silver Case, è piuttosto difficile da raccomandare. Quest’ultimo, per un giocatore abituato a giocare Visual Novel, risulterà sicuramente molto interessante per scrittura e tematiche, nonostante le “asperità” marchio di fabbrica dei giochi di Suda e dovute anche all’età del titolo. Qui, invece, ci troviamo di fronte a un adventure con meno dialoghi rispetto ad una Visual Novel, caratterizzato da lunghe e noiose traversate in ambienti tridimensionali, con controlli spiacevoli e un'esplorazione in generale poco stimolante. Il cuore ludico è inoltre costituito da puzzle matematici talmente criptici da risultare spesso frustranti.
Se proprio dovessi cercare di sintetizzare in modo giornalistico questo gioco, parlerei di un
Majora’s Mask in salsa Suda, con rompicapi alla
Professor Layton. La similitudine col titolo Nintendo deriva dal fatto che il gioco è strutturato in giornate che ricominciano dallo stesso punto ogni mattina e durante le quali si interagisce con personaggi, ascoltando le loro vicende e risolvendo le loro quest.
La similitudine con quello di Level5 invece non è del tutto lecita, ma mi serve solo per restituire l’idea di gioco con rompicapi da settimana enigmistica. Ma se quelli proposti da Layton sono sempre vari, curati e intellegibili per il giocatore, quelli del gioco di Suda sono al limite dell’incomprensibile e, almeno per quelli della quest principale, basati sull’andare a cercare indizi in una corposa guida turistica dell’isola tropicale dove si svolge il gioco, sempre disponibile dal menù di gioco. Oltre a nascondere gli indizi necessari a proseguire, questa guida turistica è un massiccio contenitore di affascinante scrittura demenziale alla Suda51.
[In realtà proprio ieri ho scoperto che la maggior parte degli assurdi puzzle matematici sono contenuti aggiuntivi e opzionali della versione DS. E col senno di poi, quindi, realizzo che i puzzle principali per andare avanti nella storia erano forse leggermente meno incomprensibili...?]
Insomma, un gioco ostico, pieno di traversate inutili e enigmi criptici che ho subito deciso di affrontare con una guida alla mano, altrimenti il gioco mi avrebbe fatto smadonnare. Alla luce di ciò, mi sono chiesto, mentre giocavo, se non avrei potuto semplicemente guardare un walkthrough su Youtube. Ma ho concluso che no, non potevo, perché i giochi di Suda vanno vissuti. Hanno quelle particolari atmosfere dilatate, legate al movimento dei personaggi negli ambienti e a quei dialoghi che vanno letti e metabolizzati secondo il proprio ritmo. E quindi sono comunque contento di averlo giocato in prima persona, nonostante in molti punti l'abbia trovato frustrante e lo abbia stramaledetto.
E allora passo a parlare di tutto il resto del gioco, cominciando dai personaggi. La loro caratterizzazione è estremamente surreale e ognuno di loro un microcosmo. I dialoghi possono essere buffi, tristi, superficiali, profondi, metareferenziali, filosofici, comunque sempre ben scritti. Non c’è niente da fare, con quei dialoghi Suda è capace di tenerti incollato e far trasparire un’umanità “vera” da ogni personaggio, per quanto assurdo possa sembrare.
L’atmosfera del gioco è (almeno apparentemente) solare e frutto della voglia di Suda di allontanarsi da quella incredibilmente oscura di
The Silver Case. Inoltre, più che nel prequel, Suda butta dentro al gioco infiniti rimandi alle cose di cui è appassionato nella vita reale (dal wrestling al cinema, passando per lo sport), un po’ come ha fatto recentemente in
Travis Strikes Again e
No More Heores III.
Per buona parte della sua durata, il gioco finge di essere un’esperienza puramente onirica senza alcun collegamento con l'universo narrativo dei giochi di Suda, per poi, soprattutto nella parte finale, rivelare delle connessioni abbastanza strette con
The Silver Case.
Naturalmente stiamo sempre parlando di una narrativa che, ancor più che nel prequel, lascia i fili aperti, che non è mai chiara, che è sempre sospesa.
Tuttavia i punti di contatto con
The Silver Case (e quindi anche con il successivo
Killer7) da un punto di vista narrativo sono tanti: dalle Corporation che agiscono nell’ombra e che vogliono ingegnerizzare l'essere umano per i propri scopi alla dimensione mistica legata “all'occhio d'argento”, presente anche in
The Silver Case, che fa da sottofondo alla vicenda.
Ma alla fine ciò che rimane davvero dell’esperienza sono le interazioni folli con i personaggi, l’atmosfera sospesa da "Giorno della marmotta" e la metareferenzialità data da tutto ciò che Suda ha versato in termini di riferimenti culturali.
E se, come me, si è appassionati di
Killer7 è davvero molto interessante esperire il titolo che lo ha preceduto. La grafica in cel shading, la fotografia, l’uso dei colori, l’insopportabile finta lingua con cui i personaggi parlano, le traversate schiacciando il pulsante per camminare, gli episodi che cominciano tutti con la stessa routine del protagonista: questo gioco è davvero l’anello di congiunzione tra
The Silver Case e
Killer7!
Insomma, ora mi manca the
25th Ward, vero seguito diretto di
The Silver Case e poi posso dire di aver giocato tutto ciò che davvero conta di Suda. A quel punto dovrei rigiocare
Killer7 col senno di poi...
...primo o poi lo farò!