Lo strano spinoff coreano su Netflix dello straordinario fumetto giapponese di Hitoshi Iwaaki è bello e splatter. E dobbiamo ringraziare il regista di Train to Busan per questa serie spettacolare.
Le serie tv coreane, ancora una volta sono poste a dimostrazione dell'eccellenza creativa sudcoreana: hanno conquistato il pubblico di tutto il mondo negli ultimi anni, diventando un vero e proprio fenomeno culturale che sembra non finire, anzi.
Ho sempre considerato strano e bizzarro il manga
Kiseiju - L'ospite indesiderato - di Hitoshi Iwaaki e le motivazioni sono sempre state piuttosto numerose e variegate. Il finale di Kiseiju per esempio mi è sempre sembrato un'occasione sprecata. È stato anche oggetto di numerose discussioni ed interpretazioni dei lettori, ma è sempre risultato a molti, brusco ed inaspettato. Le motivazioni di Iwaaki per questa scelta narrativa non sono mai state del tutto chiarite, alimentando il mistero e l'intrigo dietro alcune scelte dell'autore.
Alcuni lettori ipotizzano che la serie manga abbia subito forti pressioni editoriali per concludersi in fretta, portando a un finale frettoloso e meno soddisfacente. Altri sostengono che Iwaaki potrebbe aver voluto lasciare un'interpretazione aperta al lettore, invitandolo a riflettere sul significato profondo dell'opera e sulle sue implicazioni, altri ancora che la sua vena creativa si sia esaurita.
Ad ogni modo non importa, sia che l'abbiate letto negli anni novanta (fu interrotto) sia che lo abbiate letto nella recente ristampe del 2010, Kiseiju ha costituito un tassello importante della narrativa a fumetti giapponese, grazie soprattutto all'intrigante approccio del suo autore. Kiseiju non è un banale body horror sviluppato intorno a una trama al servizio di sequenze splatter (i parassiti formano mostruose escrescenze da cui emergono occhi e lame) ma anche uno studio sulla nostra socialità esasperata e sulla razza umana.
Quindi l'idea di riprendere questa storia e creare uno spin-off non è stata una bella idea, è stata un'idea semplicemente
grandiosa. Firmata nientemeno che dal regista dell'acclamato zombie movie
Train to Busan (ma anche del supereroistico
Psychokinesis, e il fantascientifico
Jung-e e della serie horror
The Cursed ed infine
Hellbound), Kiseiju - La zona grigia (titolo internazionale Parasyte: The Grey) è in realtà uno spinoff ambientato pochi mesi dopo l’invasione di parassiti alieni descritta nell’opera di Hitoshi Iwaaki. Solo che a questo giro, gli uomini hanno un po' di vantaggio, per così dire.
In brevis, nel manga di Iwaaki arrivano silenziosamente sulla Terra migliaia di striscianti alieni insettoidi che si insediano nei cervelli degli umani, li divorano e si appropriano dei loro corpi. Sbarcati sul nostro pianeta in stadio semi-larvale, le creature nascono senza coscienza e sono mosse inizialmente unicamente dall’istinto. Un istinto mostruoso ma simbiotico che continuano imperterrite ad assecondare, anche dopo aver preso coscienza di sé, e con due soli imperativi: preservare la propria singola esistenza e soddisfare un'insaziabile brama di carne umana. Inizialmente, i parassiti però, con il tempo, imparano a diventare razionali, iniziano progressivamente a mimetizzarsi nella nostra società (un po' come i celebri Demoni del Maestro Nagai nell'opera omnia Devilman). Sebbene privi di emozioni, i parassiti iniziano a far parte della nostra sventurata società, imparandone tutte le ritualità e capendo quando cibarsi, e quando no.
Nel manga, il giovane Shinichi costituisce però una clamorosa eccezione: il suo parassita (Manji), non è riuscito a raggiungerne il cervello, dovendosi accontentare di annidarsi nella sua mano destra. I due, seguendo tutte le tappe tipiche di un romanzo/manga di formazione horror, impareranno a convivere ma non mancheranno sorprese, come la personalità del ragazzo che progressivamente "infetterà" quella dell'ospite, permettendogli di sperimentare le emozioni umane, e viceversa e allo stesso modo, anche Shinichi diventerà più freddo alle emozioni e più "mostruoso".
La serie di Netflix, invece, predilige un taglio più socio-politico e action thriller rispetto al manga che invece adottava idee più familiari. Parasyte: The Grey Koo Kyo-hwan decide un approccio in media-res, sostanzialmente diverso diverso rispetto al manga di Iwaaki. Nel manga c'è una lenta scoperta dei parassiti, mentre ne "La Zona Grigia" viene già schierata a contrastare gli alieni, (inizialmente poco più che zombie famelici) un team governativo formato allo scopo di stanarli e sterminarli alla svelta e senza informare il pubblico. Choi Jun-kyung (Lee Jung-hyun), agguerrita agente assegnata al progetto, è una fanatica e quasi folle cacciatrice di queste creature. Mentre Jeong Su-in (Jeon So-nee) è l'equivalente femminile e coreano del protagonista del manga, Shinichi: anche lei un’outsider, è una cassiera timida sopravvissuta ad abusi e sevizie che un parassita non è riuscito a divorare completamente e che lei chiamerà Heidi.
Heidi ha il controllo del corpo di Su-in solo per poco alla volta e le due non comunicano e collaborano costantemente come Shinichi e Manji. Sono più una sorta di Jekyll e Hyde le cui personalità emergono alternativamente. Memoraibile anche il personaggio di Koo Kyo-hwan, uno scavezzacollo criminale che rimodellerà la sua esistenza scapestrata per aiutare la protagonista.
La narrazione dello spinoff di Netflix è quindi più cupa e più orientata all’azione, spingendosi sovente, verso il thriller cospirativo e la critica sociale. A differenza dell'opera manga che invece era leggermente più solare, costruita attorno ad un dramma familiare e sentimentale. Il parassita di Shinichi, per esempio parlava, e spesso dava innesco di interessanti discussioni tra il ragazzo e il parassita, qui non avviene. Inoltre Shinichi tentava di proseguire una vita con affetti ed amicizie, nonostante condividesse la sua vita con un mostro.
La produzione della serie non ha investito un ampio budget negli effetti speciali ma le numerose sequenze registiche che immortalano le orripilanti trasformazioni dei parassiti, sono visivamente molto soddisfacenti.
Tuttavia per Yeon lo scopo più importante della storia è, molto più che gratificare i fan dell'orrore e dello splatter, l'atore vuole indagare l’ambiguità e la volubilità della natura umana, illustrare come le esperienze modellano e a volte mutano anche profondamente le persone, come i sentimenti corrompono la logica, come l’affetto o l’odio alterino opinioni e intenzioni. Il messaggio, arrivandoci per via diverse, alla fine, è lo stesso del manga: l’umanità è orribile, meschina e merita di estinguersi, ma quei “pochi ma buoni” giustificano la salvezza di tutti. O forse no.
Non mancano, infine, alcuni momenti che renderanno felici i lettori del manga.
Da vedere. L'incipit è cupamente propositivo: la (quasi) estinzione dell'uomo è auspicabile, se può salvare il mondo martoriato dal suo consumismo. Una valida soluzione, in questo senso, è costituita dall'intervento dei feroci alieni parassita. Da mesi sbarcati sul pianeta, stanziatisi in Corea del Sud si sono tuttavia evoluti e hanno cominciato a formare un'intera società, persino una setta religiosa decisa a sostituirsi all'umanità in tutto e per tutto...