Bene. Ho finito il “ripassino” della trilogia. E ho cambiato alcune opinioni che avevo da molti anni.
Circle of the Moon, guardato con più attenzione (grazie anche alla retroilluminazione, e a un display che non blurra appena un pixel si muove), è un gioco 8-bit mascherato da 32-bit. Stanze composte fotocopiando un singolo pezzo 5 o 6 volte ricordano tantissimo Zelda 2, The Battle of Olympus e tutti quei giochi NES con la grafica tile-based. I boss sono cattivissimi, le possibilità curative del personaggio prossime allo zero, la curva di difficoltà permissiva fino a un certo punto per poi impennarsi di colpo. E i controlli fanno male ai pollici. Entrambi (cit.)
Il sistema DSS ha del potenziale enorme, come qualsiasi sistema di gioco che offra molte più opzioni di quante ne possano realisticamente tornare utili. Peccato che, su 100 poteri, ci sia un sacco di fuffa inutile; e comunque, come sempre, quelli davvero sgravati arrivano solo molto tardi, e il fatto che siano legati a un drop casuale rende varie parti del gioco un calvario che si poteva risparmiare. Ma capisco: siamo nel 2001, Konami ha riscoperto Castlevania come potenziale franchise da 1 gioco ogni anno e mezzo-due dopo averlo quasi lasciato nel dimenticatoio a metà anni Novanta, e ci dev’essere il forte desiderio di saltare sul nuovo carrozzino portatile di Nintendo con costi di sviluppo contenuti. Ecco allora che, a differenza di SOTN, il gioco è di per sé molto breve, ma tra le carte collezionabili (fenomeno che va alla grandissima anche al di fuori dei videogiochi, in quel momento) e le innumerevoli modalità extra, COTM non è un gioco pensato per essere lungo, ma per poter durare a lungo, e la modalità principale è solo una delle tante. Inutile fare un castello troppo grande, quel che conta è che sia ben disegnato, e sotto questo punto di vista il gioco è davvero ben fatto, con teleport piazzati nei posti giusti e diramazioni limitate per poter tornare indietro abbastanza rapidamente. Il problema principale è che il personaggio è troppo rigido per alcune delle battaglie che si trova ad affrontare.
Harmony of Dissonance cerca di ripetere SOTN, e ci riesce in parte, ma a costo di una identità limitata, perché gli elementi presi di peso dal gioco PS1 sono davvero troppi, dal design del personaggio principale, alle stanze di salvataggio, alla stanza dello scontro finale, all’idea del doppio castello e del modo in cui si accede al finale migliore.
Graficamente siamo un bel passo avanti a COTM, ma il blur azzurrino di Soma, tanto utile sullo schermo del GBA originale, è oggi un pugno negli occhi. Rispetto a COTM, poi, abbiamo un completo 180° sul versante difficoltà: i boss sono tanti, ma è quasi impossibile morirci contro, o almeno lo era quando avevo 20 anni di meno ed ero meno frettoloso. Ma Juste è più facile da curare di Nathan, e in questo gioco l’equip fa un’effettiva differenza. Man mano che ci si rinforza i nemici danno meno Exp, ma è anche vero che ci sono alcune aree dove si può fare un pizzico di grinding in brevissimo tempo e senza veri sforzi. Solo il boss finale richiede un certo impegno in più.
Sulla carta, il fatto che Juste disponga di un dash (un VERO dash) in avanti e all’indietro in ogni momento lo rende il personaggio più mobile di Castlevania. Peccato che le stanze siano state disegnate per essere più tortuose possibile, quasi tutte a zigzag o a U, cosicché il backtracking diventa qualcosa di osceno. La mappa è molto grande ed è piena di blocchi; a un certo punto è facilissimo non sapere più dove andare, e anche se si va dalla parte giusta, andarci richiede troppo tempo. Se la mappa di COTM era forse troppo piccola, quella di HOD è forse troppo grande - o almeno lo sembra, il che, probabilmente, era l’intenzione degli sviluppatori.
HOD passa da un sistema di gioco ridondante, a uno sostanzialmente inutile. È possibilissimo giocarlo senza usare gli incantesimi neppure una volta, e non notare la differenza; le armi supplementari, specialmente la croce-boomerang, bastano e avanzano per far fuori qualsiasi cosa.
La musica è di certo una delle meno memorabili di tutto Castlevania... eppure, non si può negare che sia castlevaniosissima. Un paio di brani restano impressi, gli altri te li scordi dopo un minuto (se pure ci hai fatto caso), ma non si può dire che in generale l’accompagnamento sia fuori luogo.
Con un po’ più di cura nel design delle stanze e magari qualche accorgimento di quality of life per tenere conto degli oggetti lasciati indietro e della natura dei vari blocchi (porte chiuse, muri distruttibili, ecc), Harmony poteva essere un capolavoro. Purtroppo mi sa che gli sviluppatori si son fatti prendere dall’ansia di non farlo troppo corto, e lo hanno allungato nel peggiore dei modi.
E poi arriva Aria of Sorrow. Che non mi aveva mai entusiasmato, per vari motivi. Probabilmente il motivo principale era questa brusca virata verso l’anime, con personaggi dall’inconfondibile design shonen, l’inizio ex abrupto del gioco, il protagonista che non batte ciglio di fronte a cose e personaggi che non hanno il minimo senso, il classico personaggio che c’entra come i cavoli a merenda (il mercante), l’immancabile detto-non detto che nelle intenzioni dei giapponesi dovrebbe creare mistero e che invece porta solo a dialoghi assurdi quando non ridicoli. Eppure, rivedendole oggi, le scene finali del gioco sono tra le più belle di Castlevania, anche se tutto quel che viene prima poteva essere scritto un po’ meglio.
Un’altra cosa che non mi piaceva era il rimpicciolimento del personaggio giocante rispetto a Harmony, e la sua perdita di mobilità. Soma è, in effetti, un pochino più lento di quanto sarebbe gradito. Però si controlla bene, e il suo abito bianco lo fa stagliare sullo schermo assai meglio di quanto non facesse il blur di Juste. Il sistema di controllo è davvero ottimo.
Già indispettito dal DSS di COTM, all’epoca non fui affatto felice di un altro sistema basato sui drop casuali. Sistema, oltretutto, portato all’eccesso dal fatto che ogni singolo nemico del gioco ha un’anima collezionabile, e che alcune di queste sono indispensabili per vedere il 100% del castello e il vero finale. Risultato? Grinding. D’accordo, quasi tutti i nemici compaiono in un punto dove il grinding è proprio questione di secondi; ma di alcuni ne ho dovuti uccidere letteralmente centinaia di esemplari, prima che mi rendessero l’anima. Almeno non funziona come in Dawn of Sorrow e Bloodstained, dove puoi avere fino a 9 copie di ogni anima e ciascuna copia aumenta il potere ottenuto...
Fortunatamente, se non si vuole ottenere il 100%, la caccia alle anime è del tutto opzionale: le anime necessarie per proseguire nel gioco si trovano senza doverle grindare, e qualcuna utile come arma secondaria la si troverà anche senza andarla a cercare, perché prima o poi qualche nemico ce la smollerà senza farsi pregare. L’equip è molto più importante, e il giocatore abbastanza curioso non avrà mai bisogno di comprare armi o armature dal mercante, che torna utile soltanto per fare un po’ di scorta di pozioni per gli scontri finali. Molte armi, diciamocelo, non servono a un tubo se non a rendersi la vita difficile, vuoi perché troppo lente, o troppo corte, o con un range di attacco che espone a troppi rischi. Le spade che attaccano dritto sono quasi sempre la scelta migliore (fa eccezione quella più potente del gioco, che non colpisce dritto avanti ma è veramente troppo sgravata per farne a meno).
Quello che mi fa veramente imbufalire, è che tutti e tre i CV per GBA hanno un momento in cui la curva di difficoltà sbraga di colpo e ti ritrovi, da un momento all’altro, ad affrontare orde di nemici che richiedono una marea di colpi ciascuno, ti attaccano in branco da ogni direzione, e ti fanno fuori in pochissimi colpi. A volte ti chiedi come cacchio facevamo senza savestate. In ogni caso, buona fortuna nell’arena.
Chiudo con una menzione alla colonna sonora, nettamente la migliore della trilogia GBA e un po’ meno michiruyamanesca del solito, forse anche grazie alle minori capacità sonore della console, che ci graziano da alcuni riverberi, coretti e goticismi che la compositrice ama, ma che dopo tanti anni e tanti brani simili, sono diventati un po’ stucchevoli. Il tema del combattimento con un certo boss (che non spoilero) è una vera figata, tra i migliori rock della serie.
Il mio giudizio su Aria, rigiocandoci oggi, è cambiato radicalmente. Da episodio quasi insignificante che lo trovavo, ora lo vedo finalmente come il migliore indiscusso della trilogia, seppur con i suoi difettucci. Giocandoli uno dopo l’altro, le migliorie sono evidenti, soprattutto a livello di gameplay e di design complessivo, dove Aria vince nettamente.
Menzioniamo infine, per dovere di cronaca, Dracula XX / Vampire’s Kiss.
Minchia che gioco di merda.
Mi piacerebbe proprio fare un processo agli sviluppatori e chiedergli: “Signori, la base era Rondo of Blood. Potevate farlo uguale uguale, a parte i dialoghi parlati e la OST che la dovevate un po’ arrangiare perché il SNES non aveva il CD. Avremmo avuto una versione inferiore di Rondo, ma sarebbe stata su SNES e il gioco non sarebbe rimasto bloccato in Giappone, ignorato dai più, fino alla riedizione su PSP. Ma spiegatemi come cazzo si fa a partire da un capolavoro e fare ‘sta merda.”
È lento (per l’amore di tutto ciò che è bello al mondo, non avviate la versione europea).
Richter è un legno.
Il level design è orrendo.
I nemici sono disposti a cazzo, e quando non sono disposti a cazzo, sono disposti in modo che non ci passi.
Le battaglie coi boss sono sbilanciatissime.
Ricordo che, anni fa, lo finii. Naturalmente emulato, e usando probabilmente un mezzo migliaio di savestate.
Ma oggi non ce la faccio a buttare il tempo così.