Pixel Ripped 1989 è un gioco che in teoria non dovrebbe funzionare. O perlomeno non dovrebbe essere così divertente. E non dovrebbe costituire nemmeno un uso intelligente della VR e invece no, è il contrario di tutte queste cose. Trastulla, fa sorridere, ingloba nel suo mondo, e ha un approccio alla VR che è atipico quanto div… oh cazzo, è già finito!
Eh sì, dura quanto un gatto in autostrada. Ieri sera l’ho fatto partire e dopo 3 ore ero già ai titoli di coda (dopo c’è ancora qualcosina, ma insomma il succo lo si è visto).
In sostanza è un platform bidimensionale, ma il genio è nella sua declinazione. Si gioca all’interno di un mondo virtuale, senza farsi scoprire dall’insegnate o dal preside e ad un certo punto il gioco esce dal portatile simil Gameboy e invade la realtà virtuale. Il risultato è spassosissimo, ritmato, con citazioni che si sprecano e piccoli dettagli ogni dove. Vive tanto della sua giocabilità quanto del contorno. Non dovrebbe funzionare, scrivevo, eppure è follemente magnetico. E’ vero dura 3 ore scarse, ma mi sono così appassionato che quando ho tolto il caschetto pensavo che fosse passata poco più di un’oretta. E invece era già il momento della nanna.
Non posso considerarlo un capolavoro, troppo limitato, ma ha carisma da vendere e originalità, pure. A prezzo scontato dovete farlo vostro. Ora attendo al varco un ribassamento di prezzo per il seguito.