Una differente forma di teatro, ecco cos’è
The Invisible Hours. Non è un gioco, potete non fare nulla, assolutamente nulla, e il titolo vi portebbe comunque al finale autonomamente. Si inserisce in quelle forme “intime” e sperimentali di teatro, dove lo spettatore è messo nelle condizioni di essere prossimo interno, alla rappresentazione, senza tuttavia farne parte. E funziona egregiamente. Si possono seguire singoli protagonisti per poter far luce sulla totalità della storia, oppure “accontentarsi” di una sua frazione. La stessa filosofia vale per i personaggi, che agiscono in base alle loro parziali conoscenze e giungeranno alle loro personali tragiche conclusioni.
L’idea di ambientarlo in una villa da giallo alla Agata Christie, dove nessuno può fuggire, permette di avere un setting coerente e senza soluzione di continuità dove muoversi in libertà. Ho trovato l’esperienza geniale e il classicismo della storia ficcante e coinvolgente. In VR l’amplificazione della percezione e delle emozioni è maggiore, ma ringrazio per l’aggiunta successiva di una modalità standard, perché permette di recuperare agevolmente i collectibles e seguire le parti di storia che si sono perse.
Il mio consiglio è di seguire il detective in VR nella prima run, magari addentrandosi un po’ di più in alcune ramificazioni ma di completare il resto in modalità standard che permette un movimento più agevole nella casa.
Nonostante l’estetica non sontuosa sono estremamente soddisfatto dell’esperienza. Breve, magari non sempre ben recitata, con qualche ingenuità ma per me rivelatoria di un uso alternativo della tecnologia VR (e del videogioco in generale).
Provatelo, spesso si trova per il prezzo di un tozzo di pane raffermo (ed ha anche il pregio di essere un platino abbastanza semplice)