Allora, terminato al 100% (per quanto possibile) a livello Difficile. Adesso lo faccio decantare un po’, per il platino mi manca solo la run a Master ma adesso c’è decisamente troppa roba da giocare per fossilizzarsi qui. Più avanti e con calma.
A esperienza finita confermo quanto di buono abbia da offrire questo titolo e tutto ciò lo rende degno di menzione e interesse. I punti di forza di questo team sono assolutamente da sostenere e da sviluppare ulteriormente con nuove opere.
Diciamo che adesso, avendo ben chiaro il quadro completo e con la consapevolezza dei suoi contenuti, la dimensione di Kena può finalmente diventare oggetto di riflessione e di studio, visto che sono proprio queste due istanze a poter suggerire eventuali correttivi per il futuro.
Parlavo del “quadro completo” perché Kena, a mio modo di vedere, ha una progressione un po’ bizzarra e anche ondivaga rispetto a particolari aspetti di tutto il pacchetto.
Il gioco parte in modo fintamente disorientante per poi aprirsi decisamente nel primo terzo che lo caratterizza. La strada è sempre e solo la stessa però la sensazione di libertà e di esplorazione è comunque ben impostata e a poco a poco ci si rende conto dell’ottima qualità del level design. Sensazione e complessità destinate a crescere nella parte centrale del gioco (quella della “torre”, per intendersi) e dopo un po’ i collegamenti e le scorciatoie che si aprono rendendo il mondo piacevolmente interconnesso. L’ultima parte, invece, si appiattisce e di banalizza attraverso il ricorso a semplici disimpegni di teletrasporto e traslazione, fino a una sezione finale troppo abbozzata per essere pienamente soddisfacente. Il saldo finale è senz’altro positivo ma è un peccato che Kena manchi l’appuntamento con l’eccellenza dopo aver fatto così tanto. Le sfide all’interno del gioco, dal punto di vista di progressione ed enigmistica ambientale, rimangano sempre di buon livello, diciamo che un margine di miglioramento potrebbe essere costituito dalla rinuncia alla compartimentazione del singolo dispositivo enigmistico per creare qualcosa di più strutturato sul piano della comprensione generale. In realtà è una tentazione in cui è caduto anche BOTW con la filosofia dei sacrari, diciamo che Kena dovrebbe e potrebbe, in un ipotetico seguito, recuperare alla sua maniera il concetto di “tempio zeldiano” che unisca abilità manuale, enigmistica e impostazione tombraideresca. Questo particolare aspetto poi paga altri due criticità già richiamate all’attenzione, ossia il cattivo rapporto tra game-level design e ricompense (davvero qui si sono persi in un bicchiere d’acqua…) e il fattore platformico che, per quanto non centrale, perde via via di forza e importanza. In ogni caso devo dire che puntare al 100% è stata proprio una bella sfida e consiglio a tutti di perderci un po’ di tempo per gustarsi il sapiente intarsio.
Il sistema di combattimento, al contrario, è caratterizzato da una crescita continua di complessità e difficoltà che davvero dona un senso di appagamento eccezionale. Non è una cosa da poco, se inquadriamo Kena quale clone di Zelda e arcade-adventure classico spesso il combat è sacrificato sull’altare della convergenza di diverse meccaniche, ognuna delle quali di solito non spicca rispetto alle altre. Qui invece abbiamo poche e semplici regole da apprendere per poi essere sostanziate sul piano esecutivo, con una difficoltà che finalmente non è adatta solo ai turisti del videogioco. Gradualmente e senza particolari strappi sul piano dell’impegno e dell’eventuale frustrazione, con tante piccole arene in cui viene introdotta la nuova meccanica/dispositivo di riferimento. Il gioco poi non tarda di complicare la vita al giocatore con mini boss e nemici più imponenti dalla filosofia spesso sorprendente. In particolare, l’ultima parte del gioco, presenta una sequela di boss uno più indovinato dell’altro, con alcuni esempi (Il Cacciatore) che non sfigurerebbero in un vero e proprio action game. Davvero un ottimo risultato, da sottolineare con forza non appena possibile e contro ogni possibile obiezione. Forse necessiterebbe di una piccola “passata di lucido” per ottimizzare leggermente meglio alcuni frangenti, come parry e telecamera ma mi sembra un aspetto ravvisabile in molti altri giochi. Sono certissimo che la futura run a Master non potrà che confermare e celebrare quello che per me è l’aspetto più riuscito di Kena. Anzi, più che riuscito, esemplare.
Quello in cui il gioco difetta e che alla fine dell’esperienza, a mio giudizio, è difficilmente tollerabile si identifica con lo stile grafico schizzoide che sfocia in una confusione estetica quasi senza precedenti. Non è semplicemente “brutta”, perché la bruttezza è altro, è la polarità opposta del bello; non è solo derivativa, poiché la derivazione conserva almeno l’impronta della sua sudditanza verso altre opere; ed è comunque controversa, perché il titolo è davvero pregevole per tutto quello che riguarda la composizione paesaggistica e la costruzione di un mondo visivamente interessante. Invece tutto il resto è una sorta di forzatura alla convivenza di stilemi estetici e grafici assolutamente non compatibili e qua e là la situazione diventa insostenibile oltre il riconoscimento della paternità artistica. Questo modello che cita Studio Ghibli e suggestioni miyazakiane, infilato a forza in un’occidentalizzazione standardizzata che mischia Dreamworks, canali televisivi tematici per bambini e banalizzazioni trite e ritrite, procede oltre il plagio e diventa un insopportabile fastidio. Quello che mi ha addirittura rovinato alcuni inserti narrativi, in particolare il secondo, quello delle due ragazze. Inguardabile a più livelli. Se Ember Lab vuole ambire a qualcosa di diverso e compiere il salto di qualità deve necessariamente correggere e sostanziare questo aspetto, pena il confinamento in team di seconda fascia in una ricerca cronica della propria personalità artistica. Rileggendomi sembra proprio che sia una cosa orrenda e davvero, gioco alla mano, sembra una critica esagerata…In realtà ha proprio colto quello che stilisticamente odio in un’opera, ossia la mancanza di personalità e di gusto particolare. Poi, ecco, Remo Bodei nei suoi saggi filosofici sulle forme del bello e la percezione afferma che riconoscersi da soli la detenzione di buon gusto sia una contraddizione in termini gnoseologici (leggi: se in modo autoindotto credi di aver buon gusto probabilmente non ce l’hai) e per me ha perfettamente ragione, per cui dichiaro semplicemente che le scelte estetiche di Kena non incontrino il mio accordo interno. Tutto qui.
Per il resto il resto il bilancio è davvero positivo anche se, come spesso capita in questi casi, sia necessaria una volta di più una doverosa riduzione pragmatica degli eccessi critici e comunicativi che riguardano questo gioco. Il detrattore se la prende con l’ennesimo gioco di area Sony con poco da dire e molto fumo negli occhi: no, davvero, Kena è un piccolo-grande gioco con tanti aspetti positivi e il recupero di un certo spessore (level design e difficoltà sopra ogni cosa) e come tale merita tutto il rispetto del caso, riesce dove molti falliscono, primariamente la dimensione di vero videogioco e prodotto appassionato. Anche più di questo: in un’offerta piena di open world e di prodotti a forte vocazione tecnocratica e cinematografica Kena si pone quale alternativa ludica a Zelda, per ora come promessa e via da seguire, sfoggiando radicali scelte di game design che possono attirare ogni tipo di giocatore, anche quello più interessato ad aspetti più qualitativi del videogioco. Kena è un gioco che apre prospettive, chiama in causa i sensi immersi in un mondo fiabesco e cesellato ad arte, crea collegamenti mentali e procedurali dal punto di vista delle gioiose simmetrie a cui anela parte del nostro cervello e stimola la curiosità. Si tratta di un’opera di disvelamento continuo, ti porta in un territorio sconosciuto, pizzicato dalla comprensione e dalla scoperta di cosa sia successo. Avanzamento di significazione e trasalimento interiore, proprio a causa di quello spazio di manovra che per tanto tempo è stato ad appannaggio dei più capaci (Nintendo e si suoi Zelda migliori) e che ora diventa incandescente materia giocante grazie a Ember Lab, in un contesto diverso. Bravi.
Dall’altra parte però, la tendenza tutta sonara (ogni tanto) a gridare al capolavoro e gonfiare oneste e decenti esperienze in sleeper hit incompresi (quando va bene) fino a veri e propri capolavori rivoluzionari (quando ci si fa prendere la mano) non aiuta a inquadrare un’opera che sì, fa bene molte cose ma ne sbaglia anche altre in modo abbastanza evidente, per cui si deve lasciare il giusto margine di miglioramento e utilizzare serenamente tutta la fascia di valutazione e analisi per godersi quello che comunque è un ottimo gioco. Altrimenti si assiste al classico fenomeno del capolavoro strillato e celebrato con tutta l’approssimazione forumistica ed emotiva del caso che poi viene mestamente ridimensionato finanche dimenticato a 6 mesi dall’uscita. Kena non merita questo, anzi gli si fa un torto, ecco perché non bisogna esagerare con lodi sperticate in qualsivoglia aspetto. Un esempio tra tutti, il confronto con Ratchet&Clank Rift Apart che leggo in rete. Allora, se pensiamo al peso specifico della consistenza ludica (gameplay, level design e costruzione del mondo) Kena non può che imporsi con tutta la ricercatezza che reca con sé, ecco perché siamo qui a parlarne. Se, invece, consideriamo aspetti come realizzazione tecnica e stilistica, character design (anche qui già non irresistibile) e confezione/realizzazione generale dell’opera per me R&C RA risulta inavvicinabile per Kena, in quanto a valori messi e in campo e ben altra ambizione. Ripeto, tra i due ho complessivamente preferito Kena, però, ecco, un minimo di obiettività su aspetti più misurabili. Ma, del resto, questo è un team composto da poche decine di persone (se non sbaglio), già pensare a un confronto tecnico è davvero lusinghiero.
Bene, direi che al giudizio manca solo l’ultima run e sono certo possa che accrescere l’enorme stima maturata nei confronti del gioco. Io lo consiglio.