SECONDA PARTE: (SPOILER)
La casa di Donna Beneviento: è davvero un tributo ai classici Capcom come Clock Tower e Haunting Ground, senza dimenticare la sezione in stile Saw l’Enigmista del settimo capitolo. Un po’ walking simulator, un po’ escape room e “hide & seek & destroy” che è foriero di infarti multipli per povera gente come me che di fronte ai videogiochi in teoria vorrebbe tipo rilassarsi. Beh, prima di tutto mirabile l’ambientazione, una sorta di casa vittoriana al limitare del bosco e di fianco a una colossale cascata che suggerisce una conduzione di vita isolata e riservata di una personalità disturbata, a rendere il tutto inquietante come da doverosa tradizione gotica. La dinamica poi è risaputa, corridoi immersi nell’oscurità, tutto immoto, tutto cristallizzato nel tempo e nello spazio nell’attesa di qualcosa che interrompa la stasi. Un movimento, un rumore, la musica che cambia in modo imprevedibile per una tensione che in certi casi, per il sottoscritto, è stata davvero intollerabile. Qui viene buona la grafica fotorealistica e anche “intangibile” del titolo, il concetto di diorama e costruzione dell’ambiente lasciano nelle pupille del giocatore immagini indelebili e formalmente perfette.
Poi quando avviene la cosa (nel senso che arriva “la cosa”…) da una parte non ho potuto far altro che saltare sul divano, dall’altra però l’ho vissuta quasi come un liberazione perché il “gioco” s’è svelato nelle sue intenzioni e la decifrazione dell’ambiente (gli armadietti, il letto ecc. e il sotteso invito a nascondersi) e da lì l’ho presa in maniera un po’ diversa. Certo oh, intendiamoci, disturbante in modo inverecondo, soprattutto per i versi agghiaccianti e anche per la modellazione del viso del bambino che, nella sequenza finale dell’ascensore, si mostra in tutto il suo agghiacciante orrore.
Per me una fase del gioco difficile da giudicare, visto che sono stato colto da impressioni e sensazioni diverse in base al momento e forse in modo del tutto irrazionale. Col senno del poi non è stato propriamente un bel giocare. L’errore è stato anche quello di piazzare un fase così “passiva”, da walk simulator a tratti contemplativo appena dopo il castello che, in modo ampliato, presenta un po’ le medesime caratteristiche. Le prime decisive ore se ne vanno così e insinuano nel giocatore l’idea che in fondo REV sia davvero questo, nel senso di “tutto qui”.
Anche il boss non aiuta, quel mezzo gimmick tra lo spettacolare e in narrativo che porta il giocatore a chiedersi cosa stia facendo, perché lo stia facendo e quando, misericordiosamente, finirà il tutto. Ora, sembra quasi che a me questa parte abbia fatto del tutto schifo dal punto di vista dello svolgimento, in realtà, tra le poche istantanee che porterò come di questo REV c’è proprio quel giardino che precede la casa con la tomba e la sensazione di malinconica, negata, maternità.
Lago e bacino idrico: la terza sezione, quella ad ambientazione lacustre presieduta da Salvatore Moreau (immagino una citazione dell’”Isola del Dottor Moreau”, tematicamente appropriato), è in assoluto il momento debole del gioco. A parte il ritorno a contesti già affrontati dalla saga in modo più convincente, quello che non risulta perfettamente a fuoco è la realizzazione delle diverse parti. Abbiamo un momento discorsivo con l’accesso alla barchetta che è davvero puramente accessorio. La sezione in barca, poco più di una traslazione tra un punto A e un punto B, rimanda agli anni ’90 del 3D con quei mezzi un po’ pioneristici e un po’ di maniera che nel 2021 mi sono apparsi davvero strani, anacronistici. Il problema è dato anche dalla realizzazione tecnica che, abbandonando le ambientazioni al coperto e le stanze impeccabili, mostra il fianco a un’approssimazione che fino a quel momento il titolo non aveva evidenziato. L’idea del lago e del bacino idrico va bene, è una suggestione dell’horror classico, così come il mostro delle profondità che si annida ma se il tutto si riduce a questa specie di pozzanghera malamente messa insieme con una meccanica trial&error basica, abbastanza noiosa e senza particolari idee. Le passerelle con scatti coordinati e pescione che fa il giro, gli interruttori per il passaggio a tempo, tutto lineare e scontato. Ma la di là della sua dimensione scontata che comunque non è un crimine, ho trovato tutto il processo davvero privo di piacere ricreativo senza neanche rappresentare almeno una sfida decente. Boh. Non so, anche qui agli sviluppatori deve essere sembrata una buona soluzione che variasse ancora una volta la tipologia di gameplay ma il tutto è portato avanti stancamente, fino al boss finale che definirei svogliato, sia per concept che per svolgimento, la tipica arena squadrata con proiettili e armi da vomitare circolarmente sul povero malcapitato. Appunto, giocata molto male: con l’elemento acqueo, con l’idea del laboratorio e della trasformazione, con lo stimolo di quello che si annida sotto l’acqua e tutta la letteratura che c’è dietro, questa misera pozzanghera poco usata e mal realizzata non fa davvero onore all’impeccabile realizzazione tecnica e stilista del resto del gioco.
Il tutto per un’altra oretta risicata di gioco e quella dannata sensazione di contenuto ridotto e affrettato.
Fortezza e Fabbrica:la quarta zona, quella di Heisenberg, muta ancora la pelle di REV e (finalmente?) il focus si sposta sulle sparatorie. Si tratta del recupero di Resident Evil 4 a cui questo REV, spesso, è stato accostato in quanto declinazione in soggettiva. Anche in questo caso si tratta di una sezione molto breve, preceduta da una zona di passaggio con alcune piccole scaramucce con nemici minori. Una volta inoltrati e raggiunto l’obiettivo ecco che il tema della “fortezza” con quelle situazioni ludicamente circolari che abbiamo in imparato ad amare in RE 4 e 5. Prima il cortile con l’ingresso e poi la parte interna, in cui per un attimo ho sospettato e temuto che i lycan fossero infiniti e che vi fosse qualche forma di trigger per risolvere lo scontro. Si spara, ci si muove, bisogna posizionarsi assennatamente e la quantità ingente di nemici è tale da dover attingere in qualche modo a un pensiero più organizzato. Certo, il gioco convive con sporcizie esecutive e progettuali già lungamente denunciate in queste pagine e con una certa facilità si può ingannare l’intelligenza artificiale e venirne a capo. Un altro cambio di ritmo per l’arlecchinesco REV e devo dire che il tutto intrattiene di gusto, pur nei limiti già esposti al principio.
Il boss del livello costituiva un conto aperto sin dal principio del gioco e sì, sempre quello spazio di manovra, sempre quelle armi da vomitare senza sosta e sempre questa libertà sicuramente lodevole ma anche piuttosto piatta nel presentare la medesima situazione con attori diversi. Il recupero filologico prosegue con la quinta parte (che poi concettualmente è collegata alla quarta) e il setting si sposta sull’industrializzazione che mischia il tema delle esercito di automi con la declinazione diversamente intesa di Frankenstein in salsa Tetsuo. Rispetto alle tre precedenti sezioni questa prova ritornare ai fasti del castello Dimitrescu con una lunghezza importante e una certa movimentazione in termini di mappa. Se l’area precedente declinava il concetto di arena con annesse dinamiche di movimento e ingaggio, la fabbrica pone invece attenzione sulla letalità del singolo scontro da superare con la comprensione delle meccaniche (punto debole e aggiramento) fino all’inferno di sparatorie ed esplosioni che occorrono in presenza degli esemplari un po’ più corazzati. Momenti di gameplay di peso, con una concentrazione di fuoco e violenza sconosciuta a tutta la precedente porzione di gioco e che addirittura arriva a stordire. La mappa non lesina divagazioni circolari e un ascensore centrale con il quale sposarsi e trovare la strada, in un’ambientazione davvero curata per soluzione estetiche. Pre-boss un po’ stupidino, il classico tank che carica e di cui scoprire il punto debole (chissà quale sarà…) e un boss più interessante sul piano visivo e citazionista piuttosto che in quello meramente ludico, una “coattata” anni ’80 da giocare in modo divertito ma che segue la sciagurata filosofia bossistica di questo capitolo. Eppure, nonostante questo, credo che questa fase di REV possa essere una tra le più apprezzate, perché in fondo tutti cerchiamo gameplay e tutti, sì, amiamo RE4. Mediamente.
L’ultima parte del gioco si apre al Resident Evil 6 che non si meritavamo ma che ci ha intrattenuti. Dotazioni militari, atmosfera da “decolliamo e nuclearizziamo”, un volume di fuoco e di munizione che fa propendere per la sezione semi-assistita/narrativa/conclusiva senza particolari sussulti. Invece sa essere dispettosa, soprattutto la parte che riguarda il puntamento. In ogni caso è davvero giusto ritenerlo il momento in cui la narrazione si mette in primo piano, in un modo anche piuttosto inedito per saga. La focalizzazione sulla vicenda personale di Ethan arriva un po’ di sorpresa, il gioco indulge a sentimenti forse troppo sottili per le trashate gioiose a cui c’ha abituati la serie. Personalmente ho trovato il tutto abbastanza fuori posto ed esagerato, anche a causa di un protagonista fino a quel momento assai marginale e poco comunicativo, per cui questa sofferenza “alla Silent Hill” come epifanica significazione di senso boh, per me potevano anche risparmiarsela. Secondo me non c’è stata la costruzione di questo climax, anzi la parte finale si appesantisce ulteriormente di momenti discorsivi alla luce di un potentissimo disinteresse che sfuma i contorni della favola nera a cui si faceva riferimento in apertura. Si tratta sempre di un RE nondimeno, per cui è normale che si vada a parare sempre in determinati filoni per cui non mi lamenterei troppo. Il boss finale è di quelli che io definisco “ludicamente insoddisfacenti”, per un personaggio che io considero anche molto riuscito, ossia quella Madre Miranda che fa risalire la sua storia molto indietro nel tempo e che agisce, nella migliore tradizione romantica, come essere che si oppone a un destino amaro, quell’amore che diventa malvagità.
Bene, allora…Io sono solito approfondire i giochi, ultimare diverse run e stressare un po’ meccanismi. Stavolta non credo che lo farò, i motivi che mi hanno portato a gradire questo REV non sono riconducibili ad aspetti meramente ludici o di gameplay in senso stretto. Si tratta indubbiamente di un gioco viscerale che fa presa sulle visualizzazioni tipiche dell’orrore letterario e cinematografico rivisto alla luce della tecnica. Quello che poteva darmi me l’ha dato, ho sperimentato momenti di terrore e ho provato quell’inquietudine pura di chi non è avvezzo al contesto e tanto mi basta. A questo giro non saranno più colpi da sparare a un avversario oppure meno risorse da trovare a cambiare il senso della mia esperienza che temo sia fatalmente legata alla sua irriproducibilità emotiva, tipica della prima volta.
Per cui rimango qui in attesa di leggere quello che gli altri hanno provato e vissuto per avere una nuova chiave di lettura e magari tentare, in futuro, un nuovo approccio.
Quello VR magari.