Ringrazio ancora tutti, ma è andata quindi possiamo osservarla con relativa tranquillità
Una cosa però non ho capito, al PS sei andato con sintomi palesi di covid e con familiare positivo, non è vietato un comportamento del genere?
Io e mio fratello eravamo già dalla sera del 2 aprile in isolamento domiciliare (non ricordo se questo stato si chiami "quarantena" o "isolamento") per coabitazione/vicinanza stretta con caso accertato COVID (papà). Non avremmo dovuto lasciare la nostra abitazione. Ma credo che la cosa non valga se la destinazione è l'ospedale o il pronto soccorso (dopotutto uno potrebbe sperimentare un'urgenza di carattere sanitario anche in una condizione di isolamento, no? Un taglio profondo, una reazione allergica...).
Non sarei andato di mia iniziativa al PS: un po' per indole personale a non "travalicare" nè a precipitare decisioni (atteggiamento pericoloso con COVID, in realtà), un po' perchè - pur preoccupato - non mi sentivo "così" male.
Qui entra in gioco il punto 2 delle mie riflessioni post racconto: il network di conoscenze personali. La nostra amica ex infermiera ha avvisato del nostro arrivo il primario di medicina dell'ospedale, il quale ha evidentemente speso la sua parola con lo staff del PS. Sicuramente si è trattato di una corsia preferenziale, cosa di cui appunto non vado fiero.
Però non credo che se ci fossimo presentati lì senza "preavviso" ci avrebbero spediti a casa, tanto più che in quel momento non c'era affollamento (fortunatamente).
tuo papà ha potuto comprendere/capire l'ambito/la situazione/le circostanze che possono aver favorito il suo contagio?
No, nessuna ricostruzione e alla fine non ci abbiamo nemmeno perso troppo tempo su. Papà, pur in pensione da un paio d'anni, ha una vita attiva: non dal punto di vista sportivo (anche se ci prova molto più di me) ma dal punto di vista della frequentazione del paese. Collabora a tempo perso con un'attività, quindi succede che trascorra qualche ora fuori casa.
Lui mi dice, e non ho motivo di non crederlo, che ha sempre prestato attenzione alle distanze, indossando sempre la mascherina (in quest'anno gli ho fatto una testa così), non restando chiuso a lungo in piccoli ambienti con altre persone. Non è tipo da aperitivi e tagli, non beve. Però è popolare, quindi interagisce con diverse persone che incontra.
La mia impressione è che l'abbia preso andando a fare la spesa: il fatto che in paese ci sia stata una fiammata di casi proprio a ridosso della Pasqua mi fa pensare che ci sia stato un punto di contagio comune a molti. Il market in paese è uno di questi.
Ma non vi è stato alcun approfondimento in tal senso. Pure ipotesi.
Quest'uomo sconfigge il Covid e gioca e Elite Dangerous, checazzojevojidi'?
ahahahah
e non ho ancora svelato tutto tutto...
Posso chiederti come mai, ai primi sintomi, hai consigliato a tuo padre di fare un tampone, e non di consultare il suo medico curante?
Onestamente, non lo so. Probabilmente il fatto che fosse sabato e il "miraggio" di poter avere una risposta immediata mi hanno portato a consigliargli di andare a fare un tampone rapido in farmacia.
Col senno di poi si è trattato di un doppio errore: falsa rassicurazione che non fosse COVID e perdita di tempo (che si sarebbe potuto rivelare cruciale) nella diagnosi.
Quel sabato avrei dovuto dire a papà di cercare di contattare il suo medico, spiegare la situazione: probabilmente avrebbe fissato un tampone per lunedì 29 o martedì 30 (anticipando l'esito di POSITIVITA' di un 3/4 giorni), oltre a raccomandare già riposo e isolamento stretto.
Nuove linee guida del ministero, no ad antibiotici e cortisonici a casa, ospedalizzazione con saturazione a 92.
Probabilmente con queste linee guida, la storia di @babaz sarebbe diversa....
Ospedalizzare con saturazione a 92 significa - credo - saturare in men che non si dica i posti letto. L'indicazione di non usare cortisonici e antibiotici a casa mi lascia perplesso in virtù del vissuto diretto, ma non mi permetto di dire che sia sbagliato. Evidentemente è troppo "pericoloso" lasciare che questi farmaci vengano assunti in autonomia domestica, senza sorveglianza.
Se toccasse a me invece dare un'idea direi attrezzare mini equipe di medico/infermiere dotati di ecografo portatile per fare screening domestici a tappeto sui singoli casi di positività (o presunta tale) segnalati alla ASL di riferimento: mappano il territorio, identificano una finestra di intervento su ciascuno in base all'esordio dei sintomi, e individuano (con diagnosi strumentali e non la semplice ipotesi diagnostica) i casi problematici che devono essere trattati in ambiente ospedaliero o che già necessitano di supporto d'ossigeno. Qui però torniamo sulla medicina del territorio, e sui mezzi (umani e non) a sua disposizione.
Forse la cosa è sfuggita, dal mio racconto, ma alla fine papà - 70 anni - ha affrontato e superato il COVID fruendo esclusivamente di supporto telefonico a distanza: non ha fatto esami, non ha fatto alcuna ecografia. Un po' tanto rischioso, ripensandoci a mente fredda.
Forse questa epidemia sarà un punto di svolta per ripensare la capillarità territoriale della sanità. Ho provato a pensare tutto questo in zone storicamente deboli dal punto di vista del presidio, tipo la Basilicata la cui sanità è commissariata da 10 anni e gli ospedali sono a centinaia di km l'uno dall'altro con una viabilità di zona inadeguata, ho pensato a tutto questo e ... ho avuto paura.