Eccoci, alla fine ho definito la mia Top Ten e financo il mio Best of All Time!
Bando alle ciance, che ho parecchio da scrivere.
Segue Top Ten in rigoroso ordine cronologico di uscita.
Questo è al numero uno del mio cuore.
Double Dragon è stata una mezza ossessione della mia infanzia: ci giocavo ogni volta che potevo, avevo fatto un conteggio di tutti i luoghi in cui ne avevo visto un cabinato nel corso della mia vita (54 il risultato) e acquistato da un compagno di classe la confezione vuota della conversione PC (9.000lire). Addirittura avevo disegnato TUTTI gli stage su foglietti di un blocknotes a quadretti. Alla fine avevo incollato con lo scotch i foglietti creando un rotolo che, una volta disfatto, mostrava tutto il percorso di gioco dal garage alla sala con tappeto rosso. Devo averlo ancora, da qualche parte...
L'avevo giocato in tutte le salse: dai tre bottoni con difficoltà bassa e 3 vite, alla versione bastardissima con due bottoni (quindi con l'impossibilità di fare gomitate) e 1 sola vita. Poi il bootleg con il "Baracus" verde, quello dove ogni ginocchiata faceva il suono di un meteorite che si abbatte sulla terra e quello dove pareva che stavi frugando nel fogliame. Un gioco glorioso di cui avevo scoperto innumerevoli curiosità/segreti, come la possibilità di salire sul balconcino del boss finale e "prendere la mitragliatrice" (falso) o il fatto di sacrificare la partita alla fine dello stage 2 per poter ascoltare per esteso la traccia musicale del transito fra un livello e l'altro (che in genere durava solo pochi secondi). Senza contare il "truccone" da applicare in due giocatori per raggiungere il counter-stop.
E poi che dire del gioco? Grandioso in singolo, maestoso in doppio. Mazzate di una pesantezza sconvolgente, scontri maschissimi e liberatori che culminavano nello scontro fratricida, titanica intuizione di design. Senza parlare della grafica solida e dell'OST francamente incomparabile. Ricordo a memoria tutte le canzoni e ogni poco le ricanticchio mentalmente nella mia testa.
Valkyrie Profile mi colpì fortissimo all’epoca, vuoi per la grafica 2D che allora andava scomparendo, vuoi per l’intrigante fusione di svariate fasi ludiche: plaform, combattimento a turni, strategico, rpg. Non è un caso che abbia partecipato con entusiasmo alla campagna di crowdfunding di
Indivisible.
Il gioco aveva molteplici finali, svariati segreti e una pletora di personaggi, quasi tutti bellissimi e dotati di attacchi e poteri unici. Il combattimento poi era strutturato in modo da mirare all’apoteosi da overkill: ognuno dei quattro tasti principali comandava uno dei quattro elementi del parti e, in base alla sequenza di selezione, all’input dello stick, alle abilità del personaggio e al tempismo, si poteva dare vita a combo infinite, capace infine di abbattere gli dèi. Il tutto pervaso da un’onnipresente vena malinconica e nichilista che mi stregò subito.
Si tratta probabilmente dell’unico gioco “vecchio” che vorrei davvero rigiocare.
Ikaruga è il gioco perfetto, una sinfonia magniloquente dove non c’è una singola nota fuori posto: gameplay, grafica, storia, musiche. Tutto è eccezionale e inserito in un contesto di millimetrica precisione che culmina nel punteggio massimo teorico, probabilmente quanto di più vicino a Dio io abbia mai percepito nella mia vita.
Ikaruga si gioca per lo score attack e grazie a poche semplici regole, costruisce un sentiero ideale, dove solo la ripetizione, la strategia, l’ostinazione e la dedizione possono condurre alla meta ultima, ovvero una sorta di illuminazione ludica dove si smette di guardare e si comincia a vedere.
Ikaruga è stato il gioco a cui ho dedicato maggiore impegno (e io non amo impegnarmi al gioco) e per l’alto valore umanistico che attribuisco a quest’opera, esemplificata nella run quasi perfetta di
WIZ (poi ulteriormente perfezionata) o in quella di
VTF-INO giocando da solo il 2 Player Mode, non posso che attribuirgli un posto d’onore nella mia Top Ten.
Per anni
Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty è stato il mio gioco preferito. Non tanto per il gioco in sé, che era bello, o per i grandi e pionieristici valori produttivi (Harry-Gregson William), ma soprattutto per il modo in cui Kojima ha fatto tracimare il proprio genio in modo inarrestabile. MGS2 spiazzava su più livelli, dal cambio di protagonista all’abbattimento della quarta parete, dagli interrogativi etico-morali all’impagabili follia nipponica.
MGS2, resta il mio preferito della saga (seguito dal 4, l’1 e il 3), e quel titolo ha rivestito un’importanza capitale nella mia vita, portando alla nascita di
RING e alla partecipazione al progetto di Hive Division
MGS:Philanthropy prima, e del
follow up seguente che, pur ricevendo il plauso diretto di Kojima, non si è concretizzato nel Kickstarter che era in previsione.
Un titolo seminale e inarrivato nella propria iconoclastia, possibile solo a quei tempi e solo da quall’autore, capace di piegare gli interessi economici di un blockbuster con la sua prorompente genialità.
Ueda è un genio che con i suoi giochi ha ispirato fortemente la scena indie con atmosfere diafane e una narrazione poetica e implicita.
Shadow of the Colossus riprende molto da ICO ma lo spinge oltre ogni cosa fosse mai stata fatta prima creando un mondo vasto e perduto, popolato da creature inimmaginabili per la tecnologia dell’epoca e che, pure adesso, non sono così usuali.
Un viaggio di salvezza e dannazione, costellato da lunghi silenzi, da nitriti amichevoli, da piccole epifanie distribuite con avidità sui terreni desertici, le rocce impervie, i boschi inviolati. E lungo il percorso, scontri epici di scala inedita, condotti sull’ala veloce di un colosso volante, tuffandosi nelle acque, sorvolando le sabbie bollenti: una cornucopia di emozioni e azioni indimenticabili, scalando, lanciandosi nel vuoto, aggrappondosi a un ciuffo di peli, affondando la lama nel cuore del mistero fino al suo disvelamento e alla nostra tragica, circolare, ineluttabile condanna.
Giocato su PS2 e rigiocato in 3D (che aggiunge molto, credetemi) s PS3. Remake assolutamente in wishlist, perché nonostante i quattordici anni trascorsi la potenza di quest’opera è ancora priva di eguali.
Mass Effect è una delle IP più inaspettate della storia dei videogiochi: dal nulla è comparsa una saga la cui originalità e complessità la pone al vertice dei mondi sci-fi di sempre, degnissimo pari del Dune di Herbert e ben migliore della cacata di Lucas. Già solo per il fatto di aver creato un universo di fantascienza così articolato, e tenendo conto della mia passione per il genere, Mass Effect si merita un posto in Top Ten. Ma la saga offriva anche un supporto ludico intrigante e divertente, una narrazione di una certa profondità, l’approccio decisionale lasciato al giocatore e una saga epica davvero ben riuscita, che continua in un crescendo che raggiunge il suo culmine nel secondo episodio ma che si conclude degnamente nel terzo, sullo sfondo della suggestiva
Indoctrination Theory.
Per tacere del primato tecnologico che poteva vantare all’epoca e un design straordinario che, ancora oggi, rende distintivo il suo approccio al futuro fantastico.
Un titolo che spesso sono tentato di riprendere in mano ma per il quale confido in un remastered prossimo venturo, in modo da poter ripercorrere quei corridoi asettici, popolati da creature multiformi, minacciose e non, operando scelte inedite rispetto al mio primo passaggio.
Nier non è un bel gioco. È brutto. E bellissimo.
Nier si trova in questa mia Top Ten meritatamente, anche se è l’ultimo ad aver fatto il suo ingresso. Di per sé il gioco, che pure mi colpì molto, non aveva sconvolto il mio mondo. Quello che lo ha fatto è stata la lettura del
Grimoire Nier, ossia l’intera backstory al mondo di gioco. Questo mi ha fatto esplodere il cervello, esponendo l’opera in tutta la sua sfavillante profondità, al punto da essere la scintilla scatenante per
Nostalgia, un’opera che ho scritto seguendo l’esempio del Maestro Yoko.
Ma torniamo al gioco, perché anche quello merita di suo. Personaggi e situazioni assolutamente fuori dagli schemi, una sequenza introduttiva che lascia di sasso e che rimane in sospeso per gran parte del tempo di gioco, tenendoci sulla corda e motivando la nostra perserveranza a dispetto di una grafica e un giocato degno di PS2.
Fra citazioni di Zelda, Resident Evil e Ico, Nier ci accompagna nella presa di consapevolezza delle nostre azioni, buttandoci dentro un po’ di bullet hell, fino al raggiungimento dell’Ending D, forse uno degli eventi più dirompenti della storia dei videogiochi (che non ho vissuto direttamente, ma che tanto avrei voluto fare).
Un titolo che merita di stare fra altri 10 capolavori non solo per ciò che è e per ciò che di suo si è riflesso nella mia vita, ma anche a vessillo dei molti titoli passati sotto silenzio, spesso relegati in quella categoria di BBB che hanno mezzi inferiori ma molti meno vincoli per quegli autori che hanno qualcosa da dire.
La più grande storia mai raccontata.
Questo è per me
Asura’s Wrath, un titolo che più di ogni altro rappresenta quello che avrei voluto partorire dalla mia mente: un’opera fisica e filosofica, dove cazzotti capaci di spezzare la Luna si alternano a emozioni inarrestabili, che valicano i limiti della morte. Un manifesto alla volontà di potenza e all’apoteosi shonen, costellata di eventi assolutamente incredibili, che si susseguono al ritmo tipico delle produzioni anime, cui il gioco si richiama esplicitamente con gli tsutsuku di fine episodio, i riassunti della puntata prcedente o l’anteprima di quella a venire.
Una crescita di potenza inarrestabile ed esponenziale che culmina in un DLC incredibile dove scagliamo pianeti in faccia al Creatore. Adrenalina digitale a sei braccia. Porco cazzo, che fottuto e incontenibile capolavoro.
Eccolo: il best ever.
Bloodborne strappa ad Asura’s Wrath lo scettro di mio videogioco preferito di sempre (anche perché Asura’s Wrath va oltre il videogioco), e lo fa grazie a meriti ludici. Dopo aver nicchiato dietro uno scudo in Demon’s Souls, non credevo di poter sopravvivere alla furia di Yahrnam senza di esso. Ma Miyazaki, strappandomi ogni difesa, mi ha reso più libero di quanto non sia mai stato. Libero di gettarmi a testa bassa negli scontri, scartando rapidamente fra le orde nemiche, guizzando fra getti acidi, lame arrugginite, tentacoli e quant’altro. Bloodborne però è tanto altro: un mondo originale che spinge la visione Lovecraftiana come nessun altro prima d’ora e forse anche oltre la visione originale dell’autore. Yarnham è un mondo truce e tragico, corrotto e pervertito oltre ogni possibilità di redenzione, eppure pulsa di un suo arcano fascino. Strade inondate di sangue, le cacce notturne, i segreti contorti.
Al di là di un mondo magistralmente costruito e rappresentato, Bloodborne offre anche un livello di
profondità narrativa tutta da gustare, nelle cui pieghe cosmiche corrono suggestioni e languidi segreti, pronti per essere scorti.
Bloodborne è il culmine dell’opera dark iniziata da Miyazaki con Des e portata avanti attraverso i vari Dark Souls e, per quanto non possa rammaricarmi di ciò, forse è giusto che non esista un seguito perché una volta raggiunta la perfezione esiste solo l’eterna ripetizione del sublime.
Hollow Knight è l’ultimo videogioco che ho giocato e rientra nella Top Ten non solo per indiscutibili meriti propri ma anche a rappresentanza del mondo Indie, a dimostrazione di come un manipolo di eroi talentuosi possa riuscire laddove in centinaia falliscono: pensare che 3/4 persone siano state in grado di creare un mondo vasto, interconnesso e dettagliato, creando un gameplay profondo e sfidante, incorniciato da un’ambientazione straordinaria.
Non solo: il gioco offre tantissimo in termini di quantità, senza rinunciare mai alla qualità.
Hollow Knight è un gioiello splendente che brilla in ogni suo comparto e tracima ondate di amore e passione.
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RUNNER UPS
Ho quasi faticato a trovare i 10 perché, in fondo, non sono così tanti i giochi incisi nel mio cuore e marchiati a fuoco nella mia mente. Tantissimi i giochi incredibili e bellissimi, ma da qui a dirli “giochi preferiti” ce ne passa.
Tuttavia ci sono delle assenze eccellenti che mi sento in dover di segnalare.
Sul fronte Coin-Op ho dovuto lasciare da parte
Street Fighter 2 e
Strider. Ho amato tantissimo centinaia di titoli arcade e ho trascorso infinite giornate davanti ai cabinati, vera essenza del videogaming; eppure sono solo questi due i titoli che spiccano fra gli altri (Double Dragon a parte).
Con grande rammarico ho dovuto lasciare fuori due titoli che sono sempre stati presenti nelle mie preferenze:
Final Fantasy Tactics e
Vagrant Story. Conservo splendide sensazioni di questi giochi, ma ad essere sincero non ho memorie reali di questi titoli se non brevissimi sprazzi. Non mi sento quindi di votare giochi che, per quanto amai alla follia, non mi hanno lasciato ricordi indelebili. Vorrei certo rigiocarli.
Tragica anche l’estromissione di
Castlevania: Symphony of the Night, titolo incredibile e selezionato da molti, che però cede il passo a Hollow Knight per molteplici ragioni. Dove SotN resta inarrivabile è il mitico castello rovesciato, forse uno degli eventi più incredibili della storia dei videogiochi, e ovviamente nel fatto che uscì 2D quando il 3D dominava.
Infine ho dovuto buttar fuori dalla Top Ten due titoli che considero emblematici della filosofia indie, benché qualcuno possa non ritenerli tali:
The Witness e
No Man’s Sky. Si tratta di titoli coltivati fra le mani di poche persone e totalmente figli dei rispettivi, geniali, creatori.
E mi fa particolarmente piacere citare questi giochi che essendo piuttosto recenti dimostrano come le massime espressioni del videogiochi non appartengano solo ad un passato nostalgico.
Ragazzi, videogiocare è una gran ficata