Intanto non tralascerei il particolare che a crisi del 1983 fu dovuta proprio perché gli americani saturarono il mercato con roba scadente (tra home-computer e console) a prezzi esorbitanti.
Ma tenderei ad andare un attimo più indietro.
Se si va ad analizzare, anche sommariamente, il periodo pre-crisi, è vero che gli americani sono arrivati
sul videogioco prima dei giapponesi, ma negl'anni che vanno dal 1978 al 1983 i videogiochi "veri",
che 40 anni dopo resistono al tempo, sono quasi tutti giapponesi.
[...]
Sì, certo, portavo gli esempi di Origin e Activision proprio per fare presente che alla fine l'approccio professionale c'era al fulcro dell'industria videoludica USA, anche se, appunto, a corollario si era espansa oltremodo una produzione 'filler' sovrapprezzata che ha raggiunto una massa critica tale da fare esplodere il sistema.
Sui pregressi arcade, sono assolutamente d'accordo con te che i giapponesi abbiano gettato le basi del genere, con una moderata co-partecipazione di Atari, come avevo anche scritto. Volevo appunto sottolineare che, per certi aspetti, l'essere stati alfieri dei giochi arcade ha reso il videogioco nipponico più facilmente rivisitabile a posteriori per via dell'immediatezza intrinseca a quel tipo di prodotti, portando di conseguenza a una rivalutazione 'differenziata' in prospettiva storica.
Capisco l'effetto talvolta traumatico del retrogaming su microcomputer, ma resto convinto che sia principalmente dovuto a una ragionevolissima questione di attitudine/tempo/voglia a fronte della natura maggiormente complessa dei titoli, piuttosto che di mancanza di qualità dei prodotti stessi.
Un Elite, un Sentinel, un Dungeon Master, un Wings di Cinemaware sono prodotti eccellenti anche oggi, che superano per qualità svariati epigoni attuali. Certo è che senza studiarsi un po' manuale e prendersi tempo ad assimilare i controlli e le regole di gioco non ingrani, laddove con un Mario qualsiasi carichi il gioco e puoi partire subito alla grande.
Probabilmente accadrà la stessa cosa ai nostri colleghi ventenni quando nel 2040 rispolvereranno PlayStation 3 e Xbox 360, preferendo farsi un giretto a un Bayonetta, piuttosto che finirsi un Dark Souls, per dire.
Più che altro è Mikami ad aver dichiarato più volte, soprattutto in interviste del tempo, che la fonte di ispirazione di Bio Hazard fosse Sweet Home. Probabilmente invece videro Alone in the Dark e Capcom decise di farne una sua visione più competente.
Sì, proprio questo intendevo con 'leggenda' virgolettato. Le dichiarazioni di Mikami sono state espanse in maniera fantasiosa a partire dal semplice fatto che fu originariamente incaricato dal suo producer di realizzare un remake per PlayStation di Sweet Home, ma poi il geniaccio prese tutt'altra strada, come sappiamo.
Sicuramente Alone in the Dark è la fonte di ispirazione più probabile per l'impostazione tecnica e visiva, certo, ma dal punto di vista degli elementi survival del gamplay pare affondare le sue radici in maniera sorprendente nell'oscurissimo e lordissimo Shiryou Sensen.
Se ti interessa approfondire la cosa avevo scritto un articoletto incentrato proprio su questo:
http://www.videogame.it/retr-odd-gaming/107917/la-guerra-dei-morti.html.