Premessa: condotta della gente al cinema totalmente inqualificabile in chiave Covid, davvero senza vergogna e ritegno. Speriamo bene.
Visto, piaciuto e apprezzato tanto.. Piccolo classico istantaneo. Il film è magistrale per tanti motivi.
Lawrence d’Arrakis che si pone in mezzo all’eterno dissidio tra letteratura e cinema, provando a conciliare i due mondi in qualche modo. In fondo il senso è un po’ questo, una colossale introduzione sotto forma di film che apparecchi gli elementi dell’opera principale (guerra, politica, ecologia, religione, esistenzialismo) e lasci lo spettatore nel momento più significativo. La dimensione concettuale della pellicola sta tutta nel suo ricercato gigantismo, è tutto così colossale, megalitico, austero, grandioso, legato alle sfere uraniche della spazio profondo.
Diciamo che suddividerei l’opera in 4 derivazioni:
1 / 4 Ridley Scott, per il gusto infinito nella costruzione dell’immagine, composta alla stregua di un quadro d’insieme in cui notare tanti particolari, rimandi, citazioni a un livello simbolico che puoi stare lì ore indovinare e captare ogni singolo aspetto. Vero e proprio cinema che io gradisco oltremodo. Dal maestro eredita però anche una certa noncuranza nello svolgimento logico di atti e sequenze, per cui il film presenta anche delle fluttuazioni strane all’interno della sua durata, come ad esempio il fatto di concentrare tutta l’azione nella parte finale. Ricorda Ridley anche per il taglio apocalittico di determinate sequenze, veri spaccati di mondi alieni e lontani che richiamano tante pellicole del celebre regista, di fantascienza e non.
1 / 4 Nolan che, grazie anche a uno stupefacente Hans Zimmer (eccezionale la colonna sonora “sacra”), Villeneuve ricorda nel montaggio e nel rapporto sonoro – immagine, con momenti sottolineati di rara potenza, aspetti che possono essere valutati e apprezzati al massimo in un cinema adeguato. Purtroppo da Nolan eredita anche qualche spiegone di troppo a mezzo dialogo e tutorial mascherato da introspezione personale ma vista l’origine letterale da compensare direi che si tratti di un qualcosa di fisiologicamente normale. Oddio, è anche difficile, il libro è pieno di digressioni e annotazioni, di racconti dentro il racconto che la pellicola non può cogliere, quindi l’unica cosa da fare e quella di affidare la mitologia di quel mondo a scambi “tecnici” tra i personaggi.
1 / 4 Snyder per il piacere del fotogramma artato, di gruppo con elementi disposti come in una sorta di graphic novel- storyboard con sfondi improbabili, adulterate in luce e contrasto e massiccio ricorso di scene al rallentatore. Sì
@babaz, ogni tanto manca davvero solo di sentire “SPARTANI!”
Ovvio che Villeneuve sia molto meno pacchiano ed eccessivo oltre a dosare bene il tutto senza appesantire troppo però mi ha fatto piacere ritrovare, migliorata, un certo tipo di immagine, per quanto escluda un’ispirazione diretta. Diciamo che è quella parte un po’ posticcia della corrente immaginifica del mondo che rende il tutto un po’ teatrale e drammatico. Luci sparate, superfici metalliche e riflettenti, colori porosi e terrosi, sono cose che ho già visto altrove ma che qui sono al meglio. Ovvio, scrivere una cosa simile è come ricordare a un nintendaro che Breath of the Wild erediti molte idee da Assassin’s Creed, per cui distinguiamo subito la tipologia di regia dal risultato conseguito in sé. Non vorrei essere lynchato, ecco…
1 / 4 di quel tipo di regista, forse sempre riconducibile a Nolan per certi aspetti, un po’ in bilico tra l’esigenza di dover confezionare un film per il grande pubblico a trazione commerciale (detto senza biasimo) e un’opera artisticamente ricercata in barba all’uso e al consumo che gente poco attenta possa farne. La dicitura è sempre la medesima “blockbuster d’autore”, per cui ci sono quei momenti in cui t’abbandoni al linguaggio per immagini di un’efficacia assurda (credo di tornare al cinema altre 3-4 volte) a cui si contrappone quella scena che, se non dozzinale, riporta il tutto a canoni più discorsivi e d’intrattenimento. Insomma, ogni tanto assaggio quel Refn di Valhalla Rising e sono lo spettatore più felice al mondo però ecco che poi mi arriva la guardianigalassata che mi fa dire, “
ok, cambio di registro” che pure ci sta. Oltretutto (ne parlo dopo) secondo me chi non conosce il libro si perde la metà delle cose che si vedono e che strizzano l’occhio al lettore consapevole, risultando sempre a metà tra la riduzione eidetica per immagini che richiede studio e il didascalismo che qua e là affiora in modo compensativo.
Diciamo che neanche Villeneuve è riuscito a cogliere perfettamente la complessità dell’opera originale nell’aspetto relativo alla mole d’informazioni. Tecnicamente il film è pedissequo nel presentare gli eventi della prima metà del libro però sacrifica sull’altare della comprensibilità generale le sfumature e le sfaccettature dei vari personaggi, qui spesso poco abbozzati o estremamente semplificati. Lo spettatore intuisce la colossale costruzione politica dietro all’Impero e alla dimensione da deus ex machina delle Bene Gesserit ma i riferimenti sono esigui e malandati e ho dovuto spiegare molte cose ai miei compagni di poltrona (non durante il film ovviamente
). Ripeto, non è un male perché Villeneuve affida il racconto all’immagine e al linguaggio (eccellente la questione “segnica”) e questo è sempre un bene però s’intuisce il fiato corto della riduzione narrativa. Tant’è vero che il film accelera in modo preoccupante nella parte centrale, condensando e tagliando momenti e aspetti che avrebbero necessitato altra impostazione. O altro tempo. Questo non è un problema della trama in sé, compiuta e intellegibile per sommi capi, è un problema che si riverbera sulla scrittura e complessità delle figure. Villeneuve s’è concentrato sulla questione “religiosa” e “spirituale” (per così dire) abbandonando la politica e la complessità del mondo di Dune. L’adattamento in sé, come pratica, implica scelte, sacrifici e una direzione ben precisa. Il “Dune” di Villeneuve ce l’ha ma, appunto, ha operato una scelta. Per fortuna non è finita qui.
Ma poi cosa si può rimproverare la questione del tempo a un film che, nella sua prima parte, dura già quasi 3 ore?
Un altro aspetto, dopo qualche film di Villeneuve (di cui adoro Arrival) che voglio sottolineare è dato dall’estrema rintracciabilità delle sue fonti estetiche e l’idea di qualcosa che è sì eccelso ma anche “prevedibilmente così”. Utilizzo un paragone scolastico: c’è quello studente che quando interroghi ti risponde perfettamente alla domanda ma non procede oltre il perimetro della richiesta, mentre parla riconosci la citazione a memoria del libro recitata senza sbavature e quindi capisci che ha passato ore sui libri e conclude l’interrogazione in modo così asettico che, se da una parte ha esaudito tutte le tue richieste, dall’altra non ti stimola a porre quella domanda che richieda quel “quid” in più. Assegni un “9” ma è un nove che lascia un piccolo vuoto dentro. Come un bravo lettore sa dimostrare di conoscere i suoi punti di riferimento letterari, Villeneuve è davvero uno che ti fa capire, fotogramma dopo fotogramma, chi sia e cosa abbia visto.
Ecco, a me il cinema di Villeneuve fa questo effetto, al contrario di un Nolan che, ad esempio, ti infila quelle cose insopportabili da farti pensare che sia sopravvalutato ma allo stesso tempo ti mette dentro anche quella roba da 10 in pagella che ti rivedi ciclicamente su You Tube come singola scena.
Comunque, detto questo per amore di discussione, un grande film, un grande ritorno al cinema (suo e mio), da acquistare assolutamente per a visione casalinga e in attesa della seconda parte. Davvero bello.
Vedetevelo!