È morto mio papà
È successo qualche giorno fa, mentre ero in campeggio con RT e il cane, il terzo giorno di ferie, il secondo consecutivo che eravamo bloccati in tenda dalla pioggia.
Comunicazioni non chiare - come sempre accade con la mia famiglia - durate mezza giornata e poi un chiaro "papà è morto, quattro minuti fa".
Settantatré anni.
Non so come li abbia vissuti. Non so se si sentisse soddisfatto, orgoglioso dei suoi trascorsi, appagato, felice.
Non so molto di mio padre.
Ho fatto un sacco di cose con mio padre. Abbiamo passato piacevoli periodi insieme, da bambino fino a... fino a che ho cominciato un'altra vita fuori di casa.
Da bambino andavamo a legna nei boschi, io giocavo nel fiume mentre lui abbatteva alberi o raccoglieva quelli caduti, poi lo aiutavo a pulire i tronchi, legare le cataste, trascinare ramaglie. Ricordo precisamente un giorno specifico dove ci eravamo alzati presto per pulire il pendio di un colle; mangiai il panino al salame più buono di sempre.
Andavo in montagna con mio papà, raggiungevamo vette, rifugi, camminavamo ore. Andavo a funghi con lui. A slittare. Aggiustavamo cose, saldavamo metalli, inchiodavamo assi, spaccavamo legna per l'inverno. Ricordo che lo accompagnavo per lunghi viaggi in autostrada che doveva fare saltuariamente per lavoro.
Ricordo tante cose belle e avventurose fatte con mio papà.
Ricordo anche che in un qualche periodo della mia infanzia mio padre era quello da non disturbare. Quello nervoso quando c'era, ma intanto non c'era mai. Lavorava e quando non lavorava era nervoso, quindi per me era una scocciatura averlo in casa.
Lo odiavo.
Ricordo che litigava. O che qualcuno intorno a me litigava, mio padre, mia mamma, i miei nonni, boh, tutti forse, ma accadeva quando c'era lui.
Ero adolescente che fu ricoverato in ospedale per un trapianto di rene. Mi rabbrividisce ricordare quanto freddamente accettai la cosa, quanto insensibile fui al suo ritorno a casa dopo mesi di ospedale. Ricordo questo avvenimento come se fosse qualcosa di esterno alla mia vita.
Non ho mai parlato con mio padre.
Certo ci ho parlato di un sacco di cose: di auto, di sport, di musica, di montagne, di tutte le cose che faceva e che facevamo insieme, ma non ci ho mai "parlato".
Non ho avuto consigli, aiuti, insegnamenti. Non mi ha mai aiutato a prendere una decisione. Non sapevo la sua opinione.
Mi accompagnò alla caserma quando ricevetti la chiamata di leva, guidò ore senza che ci dicessimo granché. Gli chiesi di aspettare prima di tornare a casa, che sarei tornato a salutare. Tornai dopo qualche ora dicendogli che poteva riaccompagnarmi a casa. Non mi chiese perché, perché avessi rifiutato la divisa, cosa mi spingesse a rischiare il carcere o una multa. Disse solo "Ah. Trovati un lavoro. Domani."
E così feci, mi trovai un lavoro il giorno dopo. Appena finito gli studi, appena "scampato" il servizio militare mi trovai un lavoro, per avere i miei soldi e uscirmene di casa, essere indipendente, andare ad abitare da solo e a farmi inchiappetare nella eterna spirale affitto-auto-bollette-lavoro-soldisempretroppopochi.
Feci ciò che mio padre mi aveva detto di fare. L'unica volta che mi aveva detto qualcosa inerente una scelta di vita. O chissà, magari non lo intendeva davvero, magari era solo una frase buttata lì, tanto per dire qualcosa. Non lo so, non so molto di mio padre, non lo conosco così bene da capire cosa intendesse davvero.
Non ne abbiamo mai parlato, non sono mai riuscito a chiedergli qualcosa.
Riferivo a mio papà le scelte che avevo preso: l'appartamento che avrei affittato, l'auto che stavo comprando, il nuovo posto di lavoro che avevo accettato, la ragazza che volevo sposare. Non ricordo le sue reazioni, non mostrava approvazione, orgoglio, disapprovazione. Non lo conoscevo tanto da leggerlo nel suo comportamento.
Ci siamo distanziati sempre di più.
Abbiamo fatto sempre meno cose insieme. La sua salute peggiorava, subì un'altro trapianto di rene, poi un'altro, poi il cuore che faceva casini, ma fu salvato in tempo incredibilmente, poi l'infezione qui e il virus là e ancora la dialisi e 'sto mezzo ictus che è un miracolo che sia vivo. E avanti così per una decina d'anni abbondanti.
Ho imparato ad accettare mio padre, lo rispetto. Deve aver avuto vitaccia. Ho imparato a volergli bene. Ho accettato il suo essere stato padre e il suo non essere stato una figura paterna. Non mi sento in diritto in giudicarlo per questo.
Certo che è un peccato, chissà magari avrei avuto una vita diversa se fosse stato un papà diverso. Sarei una persona diversa. Avrei un maggior attaccamento per la mia famiglia se fosse stato un padre e - per quanto ne possa sapere - un marito migliore.
È finito il funerale.
Ho giocato il gioco dell'ipocrisia stringendo mani di persone a cui non interessa la mia esistenza.
Ho abbracciato mia mamma.
Ho accettato le condoglianze di coloro che me le hanno porse per pulirsi la coscienza.
Ho apprezzato la sincerità di amici e conoscenti.
Ho visto mia nonna, novantasette anni, incapace di muoversi, di parlare, invecchiata di decenni negli ultimi giorni, conscia di essere sopravvissuta all'ultimo dei suoi figli. stufa di vivere.
Mio papà lo hanno cremato. Dicevano che se no era un casino aprire la tomba di famiglia troppo spesso e che poi non c'era spazio abbastanza.
Che mio papà adesso non ci sia più, non provocherà un cambiamento radicale nella mia vita. È orribile da dire, ma cosa cambia? Andrò lo stesso a lavorare, andrò comunque in bici, mi divertirò e avrò gli stessi problemi e pensieri di prima.
Quanto si è destinati a diventare come il proprio padre? Nei comportamenti, negli atteggiamenti, nel carattere, nei fallimenti, quanto sarò come lui senza che io lo voglia? Non voglio "somigliare" a lui e ho paura di non poterci fare nulla. Ho paura di rispecchiarmi in lui, di essere come lui durante la mia vita, nei miei rapporti con gli altri, con RT.
Poco male comunque, sono l'ultimo della mia famiglia, questo ramo genealogico si estinguerà con me, non ci sarà chi farà ragionamenti di questo tipo su di me.
È un po' di giorni che scrivo questo "sfogo", o dicesi "seghe mentali". Sono in una situazione di stasi: elaboro la cosa mentre altre cose accadono, i giorni passano, i pensieri fluiscono, mutano, prendono direzioni diverse. Altre faccende richiamano l'attenzione, cerco rifugio andando in bici, passando tempo con RT e il cane Marlon. Anche perché per intanto non posso fare altro che seguire il corso delle cose e aspettare. E allora aspetto.
Aspetto.
Aspetto.