Bene, visto. Sono tutto sommato soddisfatto però è un gradimento che ammette numerosi gradi di riflessione e anche un po’ di autocritica.
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Indiana Jones è il Quadrante del Destino" parla dell’incapacità di una certa generazione (quella, diciamo, che vai dai 35 anni fino ai 50 suonati) di lasciar andare il passato e consegnare i nostri miti al passato, come luogo della venerazione e della memoria. Quei cinquantenni che, attenzione, in certi casi sono diventati anche registi e che si cimentano, tra istanze commerciali e affettive, a far rivivere emozioni indelebili nella loro mente. E quindi c’è questa corsa a riattualizzare modelli lontani del tempo provando a coinvolgere quel pubblico nostalgico e malinconico.
il problema è…la consunzione. Hanno atteso 19 anni per “
Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo” e, da questo, ne sono passati altri 15 per “
Il Quadrante del Destino”, decenni e decenni di memoria e ricordi sedimentati per una figura fatalmente legata al suo tempo. Il tanto vituperato “
Teschio” aveva già affrontato la questione e secondo me lo stesso Spielberg era caduto nell’errore di non armonizzare figure a schermo e azioni, proponendo un film troppo vecchio per le nuove generazioni ma troppo simbolico per essere riconosciuto da chi Indy lo attendeva da tempo nelle modalità risapute. Mi ricordo uno splendido post di
@Xibal in cui spiegava la sapiente costruzione allegorica dietro al film, il passaggio tra l’epoca dei misteri e dell’esperienza a quello della finzione sintetica e della tecnica, in cui la partenza (letteralmente) dell’ultimo dei misteri avrebbe portato via la meraviglia e il misticismo di un mondo che ormai entrava in un’era di arido razionalismo e modernità. La fine dell’innocenza, dei sogni e dell’avventura, così come avrebbe potuto esserlo per gli adolescenti e i giovani cresciuti con la prima trilogia di Indy. Un finale perfetto e un triste commiato.
Eppure no, non è finita, non può essere finita, anzi non deve finire ed ecco che un ottantenne tirato a forza in un film muscolare in cui temi possa morire da un momento all’altro, pur meraviglioso per la sua età, dotato di fascino e carisma ma drammaticamente strumentalizzato da un pubblico che non sa e non può dire “basta…” Non solo, nella ricerca insensata di vecchie emozioni l’incipit del si preoccupa di ignorare il trascorrere del tempo e riportare Harrison Ford a quella giovinezza e a quel vigore che è inganno nell’inganno, tutto così posticcio, tutto così forzato come se il sentimento fosse il risultato di un’alchimia di elementi messi insieme perché sì. Oltre a questo viene compiuto lo stesso errore fatto con
Ep. VII di Star Wars, errore determinato dal ritardo di un nuovo capitolo rispetto all’anagrafe dei suoi attori. Non puoi pensare di emozionarmi con gli eventi off screen di Leia e Ben, eventi fondamentali e fondanti della psicologia del personaggio, così come qui
m’informi della morte di Mutt alla base del deterioramento del rapporto con Marion
con la sbrigatività di quello che succede al termine del film. Non va bene, non funziona.
Questo film ci consegna e c’impartisce una lezione severa ma autentica. Il mito, per rimanere tale, deve essere cristallizzato nel tempo e risiedere nei luoghi della memoria, di cui ogni generazione può disporre e che non può subire la caducità di noi mortali che, come fonte di eterna giovinezza, di esso ci facciamo schermo contro le afflizioni della vita e del tempo.
Il professor Jones, ’archeologo di ogni popolo ed evo dell’antichità (magnifica semplificazione anni ’80) è quella figura dalla doppia vita che prima spiega in un’aula universitaria che la “X” non è mai il punto in cui scavare e un attimo dopo indossa cappello e giacca di cuoio alla ricerca di un manufatto, negando quanto detto prima in chiave squisitamente teorica. Per cui la fredda storia e le nozioni algide e precise di un contesto archeologico diventano materia vivente di avventure incredibili di passione materica, fatta di rovine, deserti, sotterranei, grotte, santuari, culti, società segrete e luoghi immaginifici in cui Jones viene a contatto con tutto quello che la scienza non può spiegare.
Ecco perché il mito deve rimanere immutabile, sospeso nel tempo e nello spazio di un’idea di cinema che ci solleva dall’orrore quotidiano di negoziare con i nostri problemi e far quadrare le cose. Non si possono tormentare figure mitologiche con lo scorrere implacabile del tempo, non si possono sfregiare e deturpare le grandi narrazioni con bassezze e ricorrenze triviali. Ma perché devo vedere Han Solo e Luke Skywalker ridotti ad anziani distrutti dalla vita e ridicolizzati negare la loro epica del passato in virtù di un’evoluzione che tale non è? Perché devo vedere Deckard, incastrato nella farraginosa trama del sequel. che non vuole abbandonarsi e compiacersi all’inquietudine del futuro allontanandosi sull’auto con Rachael e continua ad aggiungere penosi brani di vicenda? Perché manca sempre questo contegno e non si vuole consegnare alla storia e all’immaginazione collettiva certe icone? Egli esempi potrebbero continuare, anche cambiando contesto? A cosa mi serve la costruzione di Lara Croft nel reboot del 2013, il cui personaggio spregiudicato e cinico dei vecchi giochi, che depreda per soddisfare il proprio ego, è inquadrato in una dimensione incoerentemente empatica e positiva? Ma a che serve? A chi serve?
“Icona”, che non è sinonimo di stereotipo. Icona che è la convergenza in un prodotto artistico (e non) di determinate qualità, consegnate all’immutabilità del tempo e dell’idea, intesa come anelito dell’uomo finito all’infinito. Un modello non lo sprechi, non lo svuoti di senso non lo uccidi, è proprio distante da noi per non essere corrotto. Se prendi una figura iconica come Indy e la riempi di ferite, problemi, di questioni legate all’età e alla dissoluzione abbassi la sua dimensione eroica e leggendaria allo stesso piano di me, spettatore, che invece invecchio, ho patemi e preoccupazioni e cerco in due ore al cinema il romanzo di dèi ed eroi che alleggeriscano il mio essere dalla condanna a cui la materia è soggetta. Noi mortali possiamo invecchiare, lui no, l’umanizzazione del Dio porta necessariamente alla sua crocifissione perché se l’uomo si riconosce nella sua idea di Dio (e viceversa) allora lo stesso viene avviluppato nel disfacimento e dalla decostruzione dell’ideale.
Purtroppo, relativamente al cinema di intrattenimento e mettendoci anche il mondo dei videogiochi, stiamo vivendo questo eterno ritorno di un passato che non può essere più attualizzato (3-4 rivoluzione informatiche hanno cambiato il mondo) e un futuro che teme di partire e osare a causa di dettami economici contraddistinguono l’industria del divertimento difficilmente eludibili. L’effetto nostalgia è una trappola, una ragnatela dove rimaniamo avviluppati, il passato è un tesoro prezioso da custodire nelle sale della commozione ma non può essere così oltraggiato, sfruttato, manipolato e frainteso. Le nuove generazioni sono andate avanti con nuovi fenomeni di costume e saghe a cui affezionarsi, penso a Harry Potter, Il Signore degli Anelli e molte altre, oppure, come nel caso di 007, si è preso il personaggio ma si è ricompilato alla luce di una diversa sensibilità. Possiamo farlo anche noi.
Altrimenti queste operazioni sono destinate a fallire, forse con la sola eccezione di Mission Impossible il cui protagonista, Tom Cruise, è per ora refrattario al passare del tempo. Oppure l’eccellente Top Gun Maverick, tutto riproposto come all’epoca proprio a causa dell’indistruttibilità di questo attore.
Poi nel caso specifico il film alterna cose buone ad altre discutibili, provo a riassumere per punti in modo da agevolare la discussione.
Indy e i nazisti…Andiamo avanti no? Qui c’è proprio il desiderio di restituire al pubblico la medesima minestra e come sappiamo Indy la odia certa gente per cui si vince facile e si empatizza con scioltezza. Il film si prende i suoi tempi per sviluppare coerentemente la ricerca archeologica e ci s’infila pericolosamente nella cultura classica e nel greco antico, materia spinosa e da padroneggiare con cura. Il film presenta snodi abbastanza risibili, qualche errore e semplificazioni (tutti questi oggetti perduti che, niente, basta solo andare lì dove sono stati appoggiati, nei musei, in fondo al mare ecc.) che, attenzione, ci sono però sempre state nella saga. Senza citare gli elementi fantastici che fanno parte della narrazione e dell’immaginario in passato ci siamo beccati i gommoni volanti, gli inseguimenti improbabili, scene grottesche e roba abbastanza discutibile ma non c’erano Internet e un esercito di nerd cinquantenni a commentare e criticare oltre ai meccanismi psicologici sopra esposti. Diciamo che, in questo caso, il film è piuttosto schizofrenico nel presentare momenti didascalici e illustrativi a cui seguono traslazioni ed esplorazioni un po’ troppo disinvolte. A volte ci crede fortissimo e nelle sequenze finali bisogna capire da che parte stare, perché quello a cui si assiste è forte. Anche troppo forte rispetto a quello a cui la saga ci ha abituati.
Il mistero archeologico del caso mi ha soddisfatto per alcune ragioni. La prima è il coinvolgimento, finalmente, dell’area archeologica mediterranea greco-romana che in effetti mancava alla serie. Forse, rispetto a leggende risapute come l’Arca dell’Alleanza, Il Santo Graal ed El Dorado la figura di Archimede e l'assedio di Siracusa non è che siano proprio tra le cose archeologicamente più note però questo ha permesso di sviluppare l’idea centrale del film in modo…verosimile. Nel senso
per quanto riguarda lo svolgimento sembra proprio che si tratti di una macchina del tempo e invece il tutto viene ridotto (si fa per dire) a una sorta di bussola che identifica i varchi temporali che però conducono al medesimo tempo e luogo. Sembra un particolare da poco e invece è molto coerente con la dimensione scientifica dell’osservazione e della previsione che non inventa nulla, semplicemente registra il mondo dei fenomeni e ne mappa funzionamenti e anomalie. Per i più curiosi comunque la macchina di Anticitera esiste sul serio ed è stata rinvenuta a largo di Creta, a inizio XX secolo. Era una macchina per il calcolo approssimativo del moto apparente di sole, luna e le 5 stelle erranti (pianeti del sistema solare), Vado a memoria, credo che il reperto si trovi al Museo Nazionale di Atene.
Immagino che la classica Atlantide sarebbe risultata più accattivante e digeribile però l’ho trovata una scelta di una certa classe.
Le ambientazioni del film mi sono piaciute più o meno tutte ma ovviamente da siciliano non posso che manifestare una certa irritazione per un particolare che comunque non è nuovo alla serie. Come nel caso di Petra de “
l’Ultima Crociata” usata per il sito del Santo Graal qui abbiamo un patchwork tra Segesta (il tempio esastilo periptero in stile dorico che si vede), il parco archeologico di Neapolis di Siracusa e Orecchio di Dioniso e tante piccole istantanee di Cefalù, Scopello ecc. frullate insieme e restituite come se fosse un’unica ambientazione. Ma dico io, sono luoghi noti no? E’ come se ambientassi un film archeologico a Roma e il sito finale nascosto e segreto fosse il riconoscibilissimo Colosseo senza chiamarlo Colosseo. Immagino siano concessioni per il pubblico non italiano (o non consapevole, in assoluto) però l’effetto è troppo bizzarro.
Il cast è alquanto brillante con qualche caduta di stile. Su Harrison Ford abbiamo già detto e fa il suo, la sorpresa è data dal personaggio di Helena Shaw interpretato da Phoebe Waller-Bridge, attrice che non conosco ma che ho apprezzato sin da subito per la verve teatrale e il ruolo di alterità rispetto al matusa Indy. Intelligente, intuitiva, preparata, ambigua quanto basta e perfetta per incarnare l’approccio pratico all’archeologia e incarnare i tempi moderni. Mads Mikkelsen credo sia uno degli attori di nuova generazione che gradisca di più, puro carisma fisico supportato da talento e mestiere. Il suo personaggio, Voller, non è che mi abbia fatto impazzire più che altro per la sua (per carità legittima) bidimensionalità e un piano che definire “ipotetico” è poco. In ogni caso illumina la scena con teutonico e glaciale cinismo. La nota stonata è Antonio Banderas, attore che ultimamente vedo relegato a ruoli di 30 minuti in pellicole commerciali e che trova maggior soddisfazione in pellicole più autoriali. Qui m’è sembrato proprio sprecato, anche per una dimensione più da caratterista.
Nel finale è mancato il coraggio. Dopo tutta la costruzione basata sull’incompatibilità di Indy
con i tempi moderni si poteva azzardare quello che lui stesso chiede nel passato, ossia essere consegnato alla storia, letteralmente. Sarebbe stato un finale eroico, tragico e romantico.
Invece viene tutto dissipato e alla fine a mancare è un’emozione ulteriore.
Mediamente la gente dice che faccia schifo, che sia scritto male, che sia ridicolo ma credo che all’occhio clinico e desolante del giudizio ai tempi di internet e social ogni capitolo della serie possa essere criticabile e sì, il pur bravo Mangold non è Spielberg. Il problema è semplice, ormai è troppo tardi. Per lui, per noi e per il resto. Personalmente mi sono goduto quest’ultima avventura con la doverosa sospensione dell’incredulità e prendendo quanto di buono potesse darmi.