Io mi sono occupato della questione nel mio liceo, visto che la preside, allarmata da alcune conferenze tenute dai "Giuristi per la Vita" organizzate nella mia regione, ha preteso la formazione di un comitato di studio trans-disciplinare (er...) per fare luce e informare il collegio docenti. Questa commissione era formata da professori di scienze, di filosofia e di religione cattolica.
Provando a essere il più obiettivo possibile, devo dire che anche in questo la distinzione tra buoni e cattivi non è che esista tanto e purtroppo la problematicità della questione genera zone d’ombra dove operano cattive coscienze di ogni tipo e orientamento. Desumo dalla relazione che ho fatto.
Chiariamo un po’ meglio il concetto di gender, tradotto nel linguaggio di tutti i giorni.
Dando per scontato quanto detto da Oberon, bisogna insistere sulla matrice e il contesto culturale come identificativo della filosofia gender che, per l’appunto, non è contemporanea. Gli anni ’70 vedono l’affermarsi del femminismo e del meticciato sociale quali reazioni eversive alla cultura dominante del momento. Non nascono cioè, come nuova categoria antropologica di ridefinizione dell’essere umano in chiave biologica ma come atto di emancipazione, sociale e politico, di una minoranza schiacciata dal peso e dalla stratificazioni di meccanismi psicologici pervasivi del prospero mondo borghese. Agli albori di un mondo globalizzato e innervato di comunicazione in tempo reale, quello che risaltano di più sono le minoranze di ogni genere, che vanno dalla condizione afflitta della donna, al problema dell’integrazione linguistica (e quindi sociale) degli immigrati fino a una diversa sensibilità sessuale (psicologica o genetica, in quel momento non è dato di sapere) che sfocia nel determinismo biologico di omosessuali e lesbiche.
Un aspetto fondamentale da sottolineare è che questo approccio alla cultura è sistemico-ermeneutico, vale a dire non mira a coinvolgere e a cambiare in sé lo statuto nozionistico di tutte le discipline che coinvolge (medicina, filosofia, psicologica ecc.) attraverso una revisione della loro interpretazione applicabile ai fenomeni umani che, per definizione, sono aperti e in costante mutazione. Quindi attenzione, si parla di un post-umanesimo in cui la mente ha il predominio su ogni altro aspetto della personalità e del corpo, vale a dire la mente conferisce potere sul dato biologico, culturale, sociale e, in ultima istanza (che però fonda tutte le altre) giuridico. E la mente, scevra da ogni condizionamento e vigile sul dato culturale, destruttura prima se stessa per ricostruirsi in base alla pulsione emotiva, sensibile, senziente e psichica del suo bisogno. Il processo è ad intra e ad extra, ed è proprio la sessualità a costituire il punto nevralgico dell’allora questione degli studi di genere.
Fino a quel momento non si era mai riflettuto sull’identità coessenziale tra sesso/genere/ruolo, poiché l’essere uomo o l’essere donna erano ritenuti, appunto, un unicum inscindibile. Come dicevo prima, anche l’omosessualità in sé non sconfessa il dato biologico. Il gay si vede e percepisce maschio, non femmina, anzi tiene particolarmente alla sua specificità esclusività nella scelta sessuale di un altro maschio, è un dato ineludibile. La teoria gender di quei tempi invece, scorpora sesso e genere. Si intende:
Il
sesso è inteso come un dato biologico dato e acquisito, senza alcuna possibilità di interpretazione libera. Si nasce maschi o femmine, e il tutto viene ricondotto, alla stregua di molte altre specie animali, al principio della trasmissione della vita e prosecuzione della specie. L’umanità può avanzare nella storia solo grazie a un maschio e a una femmina che si riproducono. Punto. Ogni altra interpolazione ha come scopo, diretto, differito o indotto, di risalire sempre a questa diade.
Il
genere invece, rappresenta tutto quello con cui la società, i costumi, la morale autonoma o eteronoma e l’educazione ecc. ecc. riveste il dato sessuale e attribuisce comportamenti, obblighi, necessità, prospettive e direttive per un corretto e sereno posizionamento sociale. Si nasce maschi e femmine ma si deve ottemperare allo status di uomo e donna. Le due cose non sono affatto collegate anzi…La teoria di genere prevede la ricompilazione assoluta di categorie che solo per uno spiacevole retaggio culturale assurgono ai ruoli che oggi, più o meno consapevolmente, attribuiamo loro.
Educazione, rinforzo, cultura dell’identità, processi di esternazione e spettacolarizzazione del dato sessuale come dialettica dell’incomunicabilità tra uomo e donna, propedeutica del riconoscimento sociale attraverso il ruolo gerarchico a più livelli (famiglia, lavoro, tempo libero) e così via. Sì è donna nella società se si rispettano determinati cliché, ignorando i quali la società stessa addita come outsider con conseguenze terrificanti, tipo il trattamento lavorativo.
Nel rapporto tra sesso e genere si evince il modello culturale di riferimento che muta col variare di spazio e tempo. L’idea di una mente che scelga per sé cosa essere e come esserlo aiuta la società a evitare quei conflitti basati proprio sul riconoscimento a priori e ad oltranza di uno status sociale che, in quanto tale, dovrebbe essere più veritativo della percezione personale di sé. La tematica che ci interessa di questo discorso è il rapporto che sussisterebbe tra identità e violenza, soprattutto in riferimento alla dinamica della maggioranza che soffocherebbe una minoranza silente in base a sovrastrutture. Io, uomo, forte e dominatore, non accetto che tu, donna, debole, possa lasciarmi. La frantumazione dell'idea di famiglia veicola malessere e quindi violenza. Là dove l’educazione del ruolo adulto è pressoché proibitiva a causa di schemi di pensiero acquisiti e perfezionati dal rinvenimento inconsapevole di questi schemi nel vivere comune, la scuola e i giovani rappresentano l’obiettivo privilegiato di un’educazione che prova a togliere questi conflitti sul nascere.
La fonte laicista del discorso insiste sull’inoffensività delle proposte educative del documento dell’OMS sull'educazione, facilmente consultabile n rete. La questione sul genere ci accompagna sin dalla nascita, dal fiocco rosa o azzurro che mamma e papà sono soliti appendere alla porta per annunciare il lieto evento. Poi, accanto alle prime tutine, a differenziarci per bene arrivano i giocattoli: bamboline per lei, macchinette per lui; cucinetta e pentolini per lei, costruzioni e meccano per lui (a dire il vero, da un po’ di tempo a questa parte, esistono anche per bimbe: le miniature giocano in cucina, in giardino tra le piante, nella beauty farm, nel salone parrucchiera… Della serie, costruire sì, ma solo cose di questo… genere).
Spesso questa schematizzazione delle attività femminili e maschili è riportata anche nei libri della scuola primaria, certo quelli più datati, ma pare ancora in uso in diversi istituti, di certo lo è nella pubblicità, dove è mamma quella che porta in tavola le pietanze e dove i pannolini sono diversi per lei e lui e non solo perché i bimbi sono fisicamente differenti, ma perché già da piccini vengono differenziati nelle ambizioni…
Insomma, la questione di genere ci circonda in ogni momento della vita. Il genere sì, ma il gender? Questa “benedetta” teoria del gender come si esplica nella scuola, pericolosissima per bambini e bambine, insidiosa nei programmi scolastici tanto da far parlare alcuni di “un’emergenza educativa”, che minaccia di diffondere l’omosessualità tra i banchi (
)
Nel grande calderone gender ci si mette dentro un po’ di tutto, in particolare ciò che ha a che fare con la sessualità. Perché pare essere proprio questo il tema che fa “paura”, che non si vorrebbe affrontare con i più piccoli, salvo poi ritrovarsi davanti a gravi distorsioni dei rapporti tra i generi, alla non accettazione e discriminazione delle diversità da quel che “”
così è per natura”. Come se l’educazione affettiva e sessuale si possa (o si debba) ritardare o peggio boicottare.
E allora: il Gioco del Rispetto della scuola materna di Trieste viene raccontato come un incentivo all’esplorazione dei corpi tra bambini (solo in seguito, per chi ha tempo e voglia, si capirà che si tratta di tutt’altro); gli Standard per l’educazione sessuale elaborati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come incitamento alla masturbazione (il che sembra assurdo solo pensarlo, ma poiché esiste il documento originale e non c’è affatto scritto, basta googlare) e così via, perché oramai bastano le parole “genere” e “sesso” o “sessualità” per allarmare.
C’è tanto davvero su questo tema del gender ma, fortunatamente, viviamo in un tempo in cui le informazioni sono facilmente accessibili. Per cui non basta il sentito dire, a non sposare acriticamente quel che si dice, ma a leggere e affrontare un sereno dibattito, forti delle fonti d’informazioni che esistono e del fatto che, oramai è dimostrato , le politiche educative attente al genere sono un’arma per combattere le diseguaglianze. Mai come questo tempo ne abbiamo bisogno. Il rispetto per le differenze, la conoscenza di queste, al di là di stereotipi e paure, può solo renderci una società migliore.
SI fa partendo dal documento dell’Oms, il cui intento è fornire «
informazioni imparziali e scientificamente corrette su tutti gli aspetti della sessualità». Imparziali, perché quando si tratta di bambini, non è il caso di entrare nei dettagli delle spiegazioni, ma occorre saper rispondere con un lessico appropriato all’età del piccolo che si ha davanti. Scientificamente corrette, perché ci sia consapevolezza del fatto che esistono modi di spiegare la sessualità, le differenze, la nascita, ecc. senza necessariamente partire dal cavolo e dalla cicogna. La seconda parte del documento ha questa finalità, «sebbene – si legge –
i presenti Standard non vogliano essere una guida per l’attuazio¬ne dei programmi di educazione sessuale».
Chi educa, chi cresce, chi accompagna deve essere in grado di spiegare ai più piccoli, così come ai più grandi, quel che vivono, lo deve saper fare in maniera da non destare timori né demonizzare. La finalità della scoperta di sé, della consapevolezza del proprio e altrui genere, dei propri bisogni e limiti, di un’identità e immagine positiva di sé fa parte della crescita e delle sue fasi. Il documento lo afferma esplicitamente:
«A partire dalla nascita i neonati apprendono il valore e il piacere del contatto fisico, del calore umano e dell’intimità. Ben presto imparano cosa è “pulito” e cosa è “sporco” e in seguito imparano la differenza tra maschi e femmine e tra persone amiche e sconosciuti[/ii».
Ed è proprio partendo da questo tipo di informazione che già a cominciare dalla fascia 4/6 anni, parlando di sessualità, si può fare un passaggio successivo e far riferimento all’abuso, alla consapevolezza di ciò che un adulto può o non può fare sul mio corpo bambino… Sempre declinando «informazioni imparziali e scientificamente corrette», con un linguaggio adatto all’età. Pensate a quanto sia importante la consapevolezza dei propri diritti già a partire dall’infanzia, affinché io, bambina/bambino, sia in grado di riconoscere un campanello di allarme in quel che conosco essere “sporco” se fatto su di me da un adulto, tanto è vero che il documento si riferisce a «persone non buone, che si fingono gentili» e alla consapevolezza che «il mio corpo appartiene a me».
Gli step successivi, declinati per fasce d’età, fanno riferimento ad altri ambiti e informazioni, affinché l’importante realtà della sessualità nella vita di ciascun adolescente non venga appresa, come spesso accade, attraverso i media (quanto passa sui cellulari o su internet), in cui spesso il corpo femminile è svilito, relegato a oggetto e il linguaggio sessuale declinato in maniera offensiva.
La parola è una sola: rispetto. Rispetto per il proprio corpo e quello altrui. Un rispetto che se declinato in un ambito particolare della crescita, come quello sessuale, può fare la differenza nel rapporto tra i due generi, tra ragazze e ragazzi, tra donne e uomini di domani.
Il problema sta nel fatto che in alcuni insegnati, soprattutto nel nord Europa hanno male interpretato questa “apertura alla diversità” e si sono prodotti in comportamenti pericolosi che, al di là delle bufale di stampo cattolico introdotte in rete, si sono effettivamente verificati. Per non parlare poi di pubblicazioni discutibili e dell'indotto economico che si cela dietro a operazioni di un certo tipo. Per cui vale la pena considerare anche gli oppositori a questa prassi educativa, che provengono quasi esclusivamente dal mondo cristiano-cattolico.
Prossima volta che ora c’ho da fare!