Sembra proprio che, all’uscita di un nuovo kolossal peplum storico/mitologico di dubbio gusto e incerte sorti, tocchi a me il gravoso compito di aprire un topic dedicato.
Spoiler su cambiamenti ma si tratta comunque di innocue rivelazioni.
EXODUS – DEI e RERidley Scott si avventura sul terreno minato della classicità cinematografica, vale a dire la sfida a uno dei pilastri dell’immaginario collettivo in technicolor, “
I Dieci Comandamenti” di C. DeMille. Insieme a “
Via col Vento” e a “
Ben Hur” forma il tripode della stupefazione cinematografica di metà XX secolo e la saggezza imporrebbe una certa cautela nel cimentarsi in simili imprese.
Exodus è un film molto particolare. Ti alzi dalla poltrona del cinema certo che qualcosa non abbia funzionato per il meglio, nonostante il film in sé non contenga nulla di particolarmente disdicevole. Si intersecano diverse correnti contrastanti, il cui peso si fa sentire alternativamente e muta il giudizio. Per chi non abbia interesse in narrazioni storicizzanti e problematiche religiose, il film risulterà un pappone indigesto di gente abbigliata in maniera inopportuna ed eventi poco intellegibili finanche totalmente senza senso. Tradurre la Bibbia in immagini non può che avere questo destino e il primo atto di avvicinamento consiste nel settare la consapevolezza su di un linguaggio veterotestamentario. Questo film poi, si allontana drasticamente dal dato biblico.
Accettato questo, la narrazione dell’epifania divina all’incredulo Mosè assume le sembianze di una visione laicizzata alcune tra le pagine più inverosimilmente narrative della storia d’Israele, quella specie di limbo in cui l’evento oggettivo (la migrazione di un popolo che si affranca dalla schiavitù di un altro) diventa epopea eroica e magnifica dell’intervento di Dio nella temporalità.
“
Laicizzata” perché per circa 2/3 del film di questo Dio non si vede traccia, anzi…E’ ridotto alle incursioni della mente di un uomo nel mondo del sogno e della visione, nel momento in cui si consuma lo psicodramma della negazione delle sue origini. Nessun bastone con cui compiere prodigi, nessuna pioggia di fuoco dal cielo. Mosè è un uomo che non crede in Dio, lo dileggia nella misura in cui lo ignora e ironizza della credulità altrui. L’impostazione è chiara sin dall’episodio del roveto ardente, in cui la prima attestazione ontologica dell’autocertificazione di Dio “
Io sono colui che sono” è troncata nel sua perfetta circolarità. Per un bel pezzo Dio è Mosè, il suo desiderio di riscatto personale, la sua consapevolezza di uomo del e per il popolo, la volontà di potenza che lo porta ad organizzare una rivolta di puro stampo cheguevarista si infrangono come acqua sulla pietra. Fin quando non capisce che il senso dell’affrancamento di un popolo dalla schiavitù non è un atto da provocare ma un evento da contemplare.
Realizza che non può riuscire a nulla finché non crederà nella capacità che ha Dio di calare nella storia dell’uomo come attore sinergico e di indicare la via. Una via che per molta parte del film è spiegabile attraverso eventi di squisita logica stringente, basti pensare alla sequenza delle piaghe, in cui il principio di causa-effetto è al contempo chiave di lettura atea e fideistica. Tale è la natura della fede: non accadimenti prodigiosi da dimostrare volgarmente allo scettico disinteressato ma opere fattibili che prendono luogo nello spazio e nel tempo giusti e che il credente percepisce come “
kaìros”, tempo favorevole di trasformazione. E’ Dio stesso ad ammonire Mosè dicendogli: “
Hai fatto quello che volevi e questo è il risultato…Adesso GUARDA!”
Di fronte alla piaga dei primogeniti Mosè realizza il mistero tremendo della potenza di Dio che non obbedisce al suo capriccio e alle sue voglie ma si muove grazie a invisibili fili tesi tra gli eventi della storia. A quel punto, verso la fine, il film rientra nel seminato del racconto biblico, fino all’apoteosi del passaggio del Mar Rosso. Ma sempre con una forte idea di fondo: Mosè non è un uomo di fede, anzi la mancanza della stessa non gli permetterà di accedere alla Terra Promessa poiché non ha mai pienamente riconosciuto né creduto che quel Dio potesse guidare una nazione di schiavi contro una dinastia millenaria. La sua fede consiste nell’essersi prestato come strumento di una potenza intangibile e innominata, contestandola, opponendosi, negandola addirittura ma sempre arrendendosi al limite conoscitivo dell’uomo che da sempre è l’orizzonte della vera conoscenza ossia la trascendenza.
Magnifica in tal senso la scena delle Tavole della Legge, in cui Mosè e Dio litigano bonariamente sul senso della loro esperienza comune: “
Non siamo stati d’accordo, abbiamo discusso, non abbiamo capito cosa volessimo l’uno dell’altro ma adesso siamo qui, insieme…” stipulando nella pietra un patto etico che influenza ancora oggi le nostre categorie morali.
Insomma, come dicevo il film è discutibile per vari motivi ma almeno presenta una forte connotazione concettuale, quasi una tesi di fondo: nessun popolo può convertirsi o credere in qualcosa come identità nazionale, la fede (ma estenderei anche ai valori etici laici) parte sempre da un incontro personale con il proprio obiettivo oggettivato in qualcosa, una religione, un credo politico, un’idea seminale con cui arginare l’indeterminata idea di libertà ed espressione personali. Non esiste messaggio senza ammaestramento, non esiste forza senza mettersi in discussione, se si vuole comandare prima si deve obbedire.
Cosa non funziona di
Exodus?
Beh, principalmente e come paventato dal trailer il casting è tutto sbagliato.
La bravura di Bale non è in discussione eppure i demeriti vanno oltre la poca aderenza con l’iconografia classica di Mosè. La sua recitazione è troppo stereotipata, da Actor’s Studio, eccessivamente manieristica e poco conforme a un linguaggio aulico. La faccenda migliora con l’avanzare degli anni e il barbone copioso ma per tutto il film il senso di inadeguatezza è sempre presente.
E che dire del truzzo preso per incarnare “
l’astro del mattino e della sera e la sferza potente di una dinastia” vale a dire lui?
Non so, magari per entrambi si voleva puntare sulla mancanza di divismo, un Mosè più intimorito da Dio e un Ramses pavido e vigliacco però a mancare è proprio il confronto titanico tra due forti personalità, cosa che nutre e legittima il kolossal come categoria. La Weaver e Turturro in modalità
“Vi prego, fateci lavorare!!”, le due figure più azzeccate sono Ben Kingsley e l’attrice che interpreta Sefora/Zippora, due bei volti che hanno molto di mediorientale.
Scott ci ha abituati da tempo all’opulenza di costumi e allo sfarzo di oggetti e compendi ma rispetto al passato affiora un deciso senso del kitsch di cui erano privi (o almeno in quantità ridotta) “
Il Gladiatore”, “
Le Crociate” e “
Robin Hood” per venire a pellicole storiche più recenti. Inoltre, a questo giro non voglio far passare le forzature pseudo-storiche e di contesto. Lo so, i film non sono documentari o lavori accademici ma non puoi vestirmi un egiziano del 1300 A.C. (data convenuta dell’esodo ebreo dall’Egitto) con armature longobarde con tanto di scarsella ed elmo piceno, mille anni di tolleranza ce li metto vista l’ottica blockbuster ma oltre si va oltre l’approssimazione e si sfocia nell’incompetenza.
Alla fine della fiera però, i film fallisce nel più importante degli obiettivi, vale a dire emozionare. La storia narrata nell’Esodo può considerarsi alla stregua di un’opera lirica, ossia non conta la narrazione in sé che è data e acquisita ma conta l’intensità dei protagonisti e il sentimento veicolato. Purtroppo è un film piuttosto freddo, più mentale che spirituale, e pertanto maggiormente rivolto a chi desideri esplorarne gli aspetti più teorici. Per gli altri rimane una colonna sonora poco ispirata e punti cruciali della narrazione scarni di pathos ed epica. Si parla di Mosè, la sua storia è equiparabile per importanza a quella in cui si narra della piana di Ilio e all’angoscia di Odisseo, non esiste che si non curi appieno l’apporto emotivo. Fermo restando che, in fin dei conti, forse al regista non interessasse questo piano già precedentemente affrontato in opere squisite come “
Il Principe d’Egitto” di Dreamworks. E questo Dio-bambino è molto ebraica come idea ma a mio avviso si poteva scegliere qualcosa di più efficace.
Come concludere allora? Come mi è capitato per “
Le Crociate” e per “
Robin Hood”, l’ultimo Scott è un registra da non giudicare compiutamente a mente calda. Piuttosto, si tratta di sedimentare la consapevolezza attraverso visioni successive e studiandone, qualora interessi, i risvolti registici e concettuali.
Exodus è proprio così.