Bene, finita la quarta stagione proprio ieri. Me la sono presa comoda, un episodio per volta ogni tanto, a decantare con calma perché altrimenti è uno show da testa che esplode.

West World si riconferma come serie filosofico-esistenzialista con una regia cervellotica basata su montaggio asincrono. In un paio di episodi, soprattutto il quarto, lo spettatore sta lì a bocca aperta perché gli indizi c’erano tutti, il mistero non era tale ma la costruzione sapiente della vicenda faceva apparire il tutto in modo diverso. Con quella musica e quelle immagini...Mi sono sempre chiesta quanto costi West World e se poi questa serie abbia tutto questo seguito visto la difficoltà e l’attenzione. Mi sembra proprio qualcosa di qualitativamente molto ma molto superiore alla media delle serie, con risultati che arrivano al blockbuster hollywoodiano in termini di qualità tecnica.
Gli interpreti sono davvero in stato di grazia, a parte l’immortale (er…proprio tecnicamente) Ed Harris che ha quella faccia clinteastwoodiana che non basta mai, a questo giro ho apprezzato molto l’umanità (ehm…si fa per dire) di Aaron Paul, capace di reggere scene emotivamente intense, tipo tutto l’episodio 6. Evan Rachel Wood si ritaglia una parte contemplativa che nel mio caso è stato il vero scoglio della stagione (lei sta meglio bionda però), Jeffrey Wright ha un carisma fisico e budspenceriano notevole, oltre al fatto che in questo particolare frangente è un magnifico deus ex machina che viene svelato a poco a poco; Thandiwe Newton, Angela Sarafyan e Tessa Thompson la mia triade di dee, magnetiche e intense nelle rispettive parti, anche se Maeve, a questo giro, è un po’ utilizzata alla stregua di supereroina e appiattita nel ruolo di guerriera indomita. Uno/a meglio dell’altro/a comunque, davvero uno spettacolo di livello superiore.
Ci sono due criticità che rileverei.
La prima è data da una delle concettualizzazioni della serie, legata al personaggio di Dolores che, per tematiche, dialoghi e filosofia di fondo somiglia un po’ troppo a
Matrix, con il concetto di risveglio, realtà “vera” e “mediata”, l’interpolazione tra la sua coscienza intrappolata nella perla nella torre e la difficoltà a comprendere cosa fosse fisicamente reale e cosa no nella sua linea narrativa. A parte la ridondanza di dialoghi con il film sopracitato ci sono davvero alcuni snodi identici che possono indispettire. Ammetto di aver fatto molta fatica a ricostruire tutto e forse, tutt’ora, qualcosa mi sfugge.
Urge una seconda visione.
La seconda, prevedibilmente, è data da quella che si auspica potrò essere la stagione finale, la quinta:
abbiamo toccato l’apice con l’apocalisse umana e robotica e adesso Dolores si trova a ricostruire una possibilità di nuovo inizio grazie al suo test nel Sublime. Essendo tutto legato ai suoi ricordi tutto può essere e chiunque può ritornare, al di là di quanto di “fisico” sia successo nel mondo reale. Ecco, il rischio di svaccare c’è tutto ed è importante mantenere misura, classe e qualità. E soprattutto, di chiuderla. La serie è passata dal tema dell’intelligenza/vita artificiale a quello della coscienza, passando poi dal controllo fino a spingere questi temi fuori dai recinti del parco e allargare l’orizzonte verso una fantascienza più generale e universale. Non bisogna distruggere tutto perdendo, appunto, la mano e l’ispirazione.
Detto questo, si riconferma la seria della vita per me. Meravigliosa.
