Erano diversi anni che non tifavo così intensamente per una formazione italiana diversa dalla mia.
Lo ammetto: prima ancora che per la Juventus (oggettivamente la sola grande squadra baluardo di un calcio italiano che è in balìa del provincialismo tecnico-tattico), ho tifato per quel signore toscano dalla parlata poco mediatica, denigrato in lungo e in largo, sia a Milano che a Torino. L'unico allenatore della storia capace di vincere lo scudetto al primo tentativo con due squadre diverse; l'uomo che è riuscito a fare con la Juve ciò che il suo predecessore aveva dichiaratamente ritenuto al di fuori della sua portata.
Ricordare Conte esultare come un pazzo per la vittoria col Sassuolo, affrontato in formazione-tipo a campionato già archiviato, appena 3 giorni prima di farsi eliminare dal Benfica (in un torneo che la sua Juve poteva e doveva vincere), oggi fa davvero tenerezza.
Ora Allegri si trova nella medesima posizione di Simeone l'anno scorso e Klopp nel 2013: giunto alla finalissima contro ogni pronostico, ha difronte a sé l'avversaria più "ingiocabile" possibile, l'Usain Bolt di questo torneo.
E il bello è che, comunque vada a finire, questa Champions' League se la porterà a casa un allenatore che milioni di "intenditori" italiani avevano troppo presto bollato come un perdente o un incapace.