Autore Topic: [Arcade] Strider  (Letto 1894 volte)

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Offline fulgenzio

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[Arcade] Strider
« il: 23 Mag 2003, 21:10 »
Oggi, parlando del multipiattaforma si tende a stigmatizzare esageratamente anche differenze di minima importanza tra le versioni per le diverse console sul mercato :quasi sempre esse differiscono per particolari effettivamente legati all’hardware delle macchine e non all’imperizia dei programmatori. Anni fa invece, era possibile avere, su piattaforme teoricamente identiche per capacità e performance grafico-sonore, realizzazioni diametralmente opposte. Strider, leggendario arcade della Capcom, ben rappresentò  questo malcostume, oggi quasi del tutto passato di moda. Il gioco, apparso a metà degli anni 90, condivideva con Forgotten Worlds la palma di miglior gioco “da bar” dell’epoca: giocabilità stellare, grafica sontuosa, sonoro incredibile. Strider brillava per semplicità ed immediatezza: si vestivano i panni di un atletico eroe che doveva sconfiggere il cattivo di turno attraversando sei livelli zeppi di nemici e insidie culminanti nel classico boss di fine livello. A rendere l’esperienza videoludica ancora più particolare c’era l’ambientazione che i programmatori della Capcom avevano scelto per le gesta del personaggio: non ci si muoveva in uno scenario anonimo o di fantasia ma nell’allora Unione Sovietica tra il Cremlino e la Siberia. Gettoni su gettoni spesi nelle sale giochi alimentavano l’attesa per la conversione sulle macchine casalinghe dell’epoca che, sulla carta, avrebbero dovuto essere spremute fino all’ultimo bit per ottenere una versione accettabile del gioco. Sul Megadrive avvenne il miracolo: conversione arcade-perfect: il fatto che i programmatori della Capcom, fossero riusciti a stipare in una piccola cartuccia tutto e sottolineo ,tutto il gioco,  con effetti grafici da paura e lo stesso sonoro con tanto di campionamenti vocali, apparve incredibile. Strider ovviamente divenne una vera e propria killer-application per la macchina. La versione Amiga invece, è ancora oggi ricordata da tutti gli utenti come una delle più grosse “sole” della storia dei videogiochi. Il gioco , made in U.S gold, vera e propria casa killer capace di disintegrare ogni aspettativa degli amighisti in merito alle conversioni arcade, era una disgustosa schifezza. Ogni singolo elemento dello Strider originale  era stato peggiorato: lo sprite principale, grande e perfettamente animato nella versione arcade e megadrive, appariva piccolo e rachitico; i fondali usavano una palette di colori che variava tra la singola unità e le dita di una mano monca e anche il sonoro, generalmente punto di forza di molte produzioni amighiste ,consisteva in una orribile ed insopportabile cacofonia. Insomma un disastro senza precedenti. A rendere ancora più amaro il boccone per gli early adopter del tempo, piombò sugli italici lidi la recensione di The Games Machine, meramente scopiazzata dalla versione inglese del giornale( che aveva mandato di pomparlo in ogni caso ,visto che la USGold era inglese….certi casi di sciovinismo sono duri a morire) ,che affibbiava un ridicolo 95% al gioco, inducendo molti a compralo senza troppi controlli preliminari. Strider dimostrò parecchie cose: che l’Amiga avrebbe avuto vita più lunga se a curare le conversioni dei giochi arcade fossero state direttamente le case produttrici degli arcade originali ,che il Megadrive era una console pazzesca e che un certo tipo di stampa era e sarebbe stata anche in futuro approssimativa e superficiale. Come sempre, a danno del giocatore.
ANCHE UN TANUKI PUO’ SORPRENDERE UNA TIGRE CHE DORME.

Offline teokrazia

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[Arcade] Strider
« Risposta #1 il: 07 Lug 2003, 00:11 »
Strider Hiryu

Piombato a ciel sereno nelle sale giochi nel 1989 ed edito da una Capcom che ancora non era stata travolta dal ciclone Street Fighter 2, Strider si impose sulla concorrenza con la sicurezza e la grazia dei veri purosangue. Tanti erano gli aspetti che conferivano a questo arcade il sapore delle cose speciali, ostentando una fiducia nei propri mezzi che solo coloro che sono consci della loro diversità facendone motivo di orgoglio, possono vantare.
In un periodo in cui la maggior parte degli action game era schiava di uno scrolling a senso unico [verticale od orizzontale], il gioco in questione si erigeva a Spartacus videoludico spezzando le catene imposte dai dogmi imperanti nel game-design dell’epoca e facendo apparire antico qualsiasi cabinato lo circondava.

Libertà innanzitutto! sembrava essere il motto di Strider, e allora via con un protagonista dotato di un’agilità inaudita che gli consentiva di saltare e di appendersi ovunque la fantasia del giocatore lo portava. Come se questo non bastasse, il nostro alter ego era dotato di una grazia sbalorditiva, che elevava i movimenti più banali a qualcosa di superiore, attraverso una chiave estetica poco [per nulla] sfruttata prima di allora: lo stile. L’appagamento sensorial/emozionale che investiva i giocatori che si imbattevano in Strider non aveva precedenti: l’originalissimo fascio laser di cui eravamo armati, e attraverso il quale facevamo letteralmente a fette l’esotico bestiario che ci si parava di fronte, era il momento terminale di una giostra delle emozioni che non mostrava segno di cedimento alcuno per tutta la durata dell’esperienza. Ma non finisce qui: il segreto di cotanto videorgasmo stava [anche] altrove, e più precisamente nel level design, il quale in maniera assolutamente coraggiosa ci immergeva in livelli dalla struttura asincrona. Non c’è uno stage di Strider che sia costruito su fondamenta analoghe a quelle degli stage che lo precedono e non c’è uno stage di Strider che si limiti a riproporre per tutta la sua lunghezza le stesse dinamiche: arrampicarsi sulle sporgenze architettoniche di una Mosca futuristica, cavalcare e al tempo stesso distruggere una creatura vermiforme composta da politici [!], correre alla velocità della luce giù per un pendio innevato preparandosi ad affrontare un’enorme gorilla-robot, volteggiare di liana in liana, librarsi nel cielo tra mille esplosioni o ancora perdersi nello spazio…benvenuti sull’Isola che non c’è. Neanche il laser game più costoso incarnava a questi livelli quello che noi videogiocatori dell’epoca avevamo sempre desiderato ma che non avevamo mai osato chiedere: un tour de force di situazioni sempre diverse messe una in fila all’altra senza soluzione di continuità, attraverso un concetto di interattività totalmente nuovo.

Forte del supporto della scheda Capcom System 1, il reparto grafico di questo gioco era qualcosa di inaudito: sprite grandi, talvolta enormi, finemente dettagliati ed animati allo stato dell’arte, si muovevano in scenari dalla spazialità disarmante, lussureggianti nell’abbondanza di particolari e consacrati dagli innumerevoli livelli di parallase. Il tutto era mosso nella più completa fluidità ed arricchito da un uso smodato degli effetti speciali [esplosioni, collassi scenografici and so on]. Il sonoro non era da meno ed oltre ad un set di effetti di lodevole fattura, proponeva un variopinto tappeto musicale in grado di accompagnare degnamente i diversissimi momenti ludici di cui il gioco si componeva. Ma erano le scelte stilistiche a consacrare definitivamente Strider: l’estetica del gioco si appropriava con grande sicumera di influenze disparate e spesso dissonanti [sci-fi, tradizione orientale, sapori da Europa dell’Est, paleontologia, fantapolitica e chi più ne ha più ne metta] e le poneva al servizio di un risultato assolutamente originale, al tempo stesso policromo ma riconoscibilissimo nella sua identità.

Assieme a Forgotten Worlds, Ghouls ‘n Ghosts e al successivo Final Fight, Strider chiudeva in bellezza un’epoca felice per Capcom, la quale di lì a poco sarebbe stata quasi totalmente assorbita dal successo senza precedenti di Street Fighter 2, primo vero spartiacque tra la maniera anni ‘80 e quella anni ’90 di intendere gli arcade . Stupisce che nell’immediato futuro né la stessa casa di Osaka, né la concorrenza abbiano assimilato e riproposto in altra forma le innumerevoli intuizioni di cui il gioco si faceva portavoce: ma forse è proprio questo che ha consentito di conservare quasi immutato il ricordo di questo straordinario coin-op e di portarlo avanti negli anni.
Bisognerà aspettare moltissimo tempo prima di vedere reincarnato lo spirito di questo campione, il quale piuttosto che essere ripreso con onore dai suoi figli legittimi [Strider 2],  starà alla base di quel Devil May Cry che analogamente a Strider si proporrà di fare dello stile e della consapevolezza di essere uguale ma diverso il proprio manifesto rappresentativo.
Immortale.