La mia valutazione è agrodolce...
Sic Parvis Magna...
Mutuato dalla finzione alla realtà, eccolo il vessillo della Naughty Dog, o forse lo è sempre stato e il processo di mutua adozione è stato l'opposto... in ogni caso esso trasuda e impregna ogni angolo dell'ultima fatica di Nathan Drake. La ricerca ossessiva della magnificenza e dell'opulenza visiva ha un impatto travolgente, quasi quanto la pressante sete d'avventura del protagonista. La tracotanza e la prosopopea con la quale essa viene data in pasto al senso per eccellenza è stordente, lascia attoniti, trasaliti, abbacinati dalla perfezione maniacale con la quale ogni dettaglio della scena che ci si para dinanzi è commisto e presentato. Si è così disorientati da cotanta beltà che Nathan sembra quasi un pretesto, un inconsapevole anfitrione, protagonista di una storia nella quale si magnifica la capacità artistica di condensare ambienti stupefacenti per i concetti e la tecnica con la quale sono realizzati.
E' fondamentalmente questa la sensazione, o sarebbe meglio definire come 'la devianza', che ho avvertito; di non essere li per qualcosa di più che consacrare e incensare una bravura tecnica che trascendeva quello che mi appariva sempre di più come un mero pretesto narrativo.
E' soverchiante. I personaggi sono fagocitati da un'eccessiva attenzione circostanziale che contrappone se stessa a quella che dovrebbe essere la struttura portante. E' l'orpello che usurpa il diritto dell'utile. Il risultato è che per più di un'occasione la sospensione dell'incredulità non mi ha colto, distraendomi di fatto dall'immersione emotiva che lo splendido quadro disegnato con quello scopo si prefiggeva di sortire. Ne ho avuto la certezza quando si è riesumato dai tumuli del tempo un grande classico per PSX. E' li... perché? E' li per dare corpo a questo eccesso. Lo hanno inserito per dirmi che sono bravi. E' l'eco del loro motto: 'Sic Parvis magna'. Non c'è in quella fase autocitazionistica un'elegiaca nostalgia, una melanconica rimembranza, c'è solo un'autocompiacenza e un autoincensarsi per ciò che si è stati in grado di produrre e divenire. E' fin troppo chiaro. E' un'equazione senza incognita: il masso rotolante sta a Crash come il blindato sta a Nate. Non è un caso che sia l'unico elemento d'azione scenica ripreso due volte così come le fughe videoludiche nel passato del gioco che fu. Bandicoot distrugge miriadi di casse e Nate ne sposta una quantità imbarazzante per salire più in alto. Il marsupiale raccoglie le mele con l'obiettivo di rimpinguare le sue vite e Nate raccoglie i tesori nell'ipnotica speranza di rendere meno precario il suo futuro. L'animale icona dei Naughty Dog salta continuamente e Nate esaspera le sue sperticate arrampicate, abbarbicato a improbabili pareti e scoscese vette in cui persino le aquile avrebbero difficoltà a rivendicare come proprie. Esagerata la quantità, sproporzionata la qualità ed esacerbata la velocità delle scalate. Nate compete non solo col più agile dei primati per quanto dipende l'abilità prensile e la forza fisica, ma ascende con una velocità degna di una risalita kriptoniana verso il sole.
Troppo.
Troppo sacrificata la sospensione dell'incredulità sull'altare della magnificenza. Tutto questo è a causa di un tronfio orgoglio, proprio di una ridefinizione di criteri fattibili ed applicabili, come la profondità di campo. Hanno ridefinito l'accezione di questo lemma in termini viodeoludici, lo scenario si snoda come mai visto prima in vertiginose altezze e profondità che non sono mera apparenza scenica, ma parte integrante del viaggio che si estende ragiungendo e perfino superando il campo visivo del contesto ambientale. Fantastico. Se non fosse stata sacrificata la presumibilità del continuum narrativo. Sono troppi i momenti in cui la narrazione è diluita e smarrita, volontariamente o involontariamente, in ciò che ci circonda. Volendo risultare persino drammatici si cade nel ridicolo: così come l'insano uomo che superati 99 dei 100 cancelli che lo separano dalla libertà decide di tornare indietro perché stanco ci strappa una risata, così Nate prima del finale, dopo averci abituato a viaggi intorno al mondo e a prestazioni fisiche degne di un superuomo, decide di reinterpretare le sue motivazioni dando retta a quella voce che ha sopito per tutto lo scorrere dell'avventura, decidendo di ascoltarla solo a quel punto, dopo inenarrabili rischi ferali e quando tutti si sono piegati al suo desiderio, e a rivalorizzare tutto ciò che ha sacrificato per arrivare fin li.
Sardonico... troppo.
L'elemento sovrannaturale non è presente, forse perché consci che quello quello supernaturale è già abbastanza.
Cosa mi è mancato... mi è mancato quello che rappresentavano l'elicottero e il carro armato del secondo episodio. L'elemento sorpresa, la strumentalità semplicemente e squisitamente meccanica del deus ex machina, rappresentato dalla me medesima controparte digitale e portatomi via dalla premeditata autoincensazione di coloro che avevano il 'dovere' di scritturarlo per me... qui non riaffiora nulla di quelle circostanze estasiali attraverso quelle meccaniche sì già viste e collaudate, ma che sapientemente potevano essere riveicolate con rinfrescata audacia. Vi è solo un timido abbozzo di produrle negli sforzi di rendere più fresca la parte conflittuale espressa dall'azione dello sparare: è si tangibile, ma non scalfisce la granitica efficacia delle meccaniche presenti nei precedenti capitoli. Persino le varianti degli ostili si ripetono in un cliché che secerne una spiacevole sensazione di deja vu: il corazzato, il coperto, il cecchino, il mitragliere si avvicendano con le stesse modalità e le stesse richieste di azioni dovute alla loro eliminazione. Non è necessariamente un male, ma mi ha fatto male non notare la stessa profusa attenzione ai particolari per cercare di differenziare o almeno smuovere lo stantio del 'già visto'.
Alla fine Nathan Drake non perde nulla, al contrario della morale insita nei protagonisti passati le cui vite erano dedite alla ricerca per sé del tesoro più grande e quindi smarrito per strada il più grande tesoro: se stessi, Nate ne esce addirittura accresciuto: non solo perché ha un vissuto da raccontare a una nuova parte di sé, ma ritrova un fratello creduto perso, rinverdisce un matrimonio tendente al tedio, si ritrova un'attività remunerativa e un nuovo scopo tra vecchie e più forti amicizie... e io?
Quello che ha perso qualcosa non è lui... sono io. Ed è così che mi sento... non mi resta che 'annegare' la mia parziale insoddisfazione in un malizioso pensiero: forse qualcosa Nathan Drake alla fine perderà... dai Nate, dannazione, quelle case così vicine alla battigia... cavolo ma non hai visto Mosquito Coast, Harrison non ti ha insegnato proprio nulla?