Vabbé, ora non generalizziamo. ^^
Ammetto che buttata giù così può sembrare un filo eccessiva
Mi riferivo in particolare ai giochi che hanno uno svolgimento narrativo. Se ci pensate la morte e il restart dall'ultimo checkpoint non hanno alcun senso dal punto di vista diegetico. Drake procede nella sua mirabolante avventura...e poi muore a un salto mancato. Fine della storia. È solo perché siamo ormai totalmente assuefatti all'idea del "rewind" che il cervello del giocatore incassa il colpo alla sospensione dell'incredulità; ma è una forzatura artificiosa che è il frutto di un approccio alla narrazione in questo medium secondo me ancora non del tutto consapevole.
La morte nei videogiochi dovrebbe essere vista come uno spunto su cui costruire, non qualcosa da cancellare con un colpo di spugna.
Sono state già fatte diverse sperimentazioni in questo senso.
C'è chi la morte la ha abbracciata, proponendo la soluzione del permadeath: la morte è effettivamente la fine della storia. C'è chi ha capitalizzato su questo, come ad esempio Until Dawn, proponendo una storia che prevede, potenzialmente, la morte di tutti personaggi.
Al contrario, c'è stato chi ha fatto della morte e resurrezione una vera e propria meccanica; è in parte il caso dei Souls, dove c'è una sorta di metempsicosi. Death Stranding sarà fondamentalmente basato su questo concetto: ritornare in vita
dopo la morte, senza tornare indietro; ci si ritroverà nello stesso mondo in cui la morte è avvenuta, ma in un tempo successivo a quella (con tutti gli indelebili segni lasciati dal nostro precedente passaggio).
Ci sono stati poi giochi che hanno fatto del "riavvolgimento del tempo" il loro concept. Penso alle sabbie del tempo di Prince of Persia, o al potere di Max in Life is Strange. Ancor più interessante è forse Shadow od Memories, dove la morte stessa del protagonista era il fulcro della storia e della meccanica.
Infine, c'è chi la morte l'ha tolta del tutto. È il caso, si diceva, della Safe Mode di SOMA, o di Elika in Prince of Persia.
Naturalmente, a volte, sono sufficienti degli strataggemmi puramente narrativi. In un Assassin's Creed, per esempio, il fatto che si tratti di simulazioni rende i restart diegeticamente contestualizzati. A posteriori, lo faceva anche MGS, quando in Sons of Liberty viene svelato che si trattava di una simulazione degli eventi di Shadow Moses. Kojima proponeva poi il concetto di Time Paradox in MGS3.
Ma possono essere usati anche altri espedienti. Ad esempio, di recente ho giocato Quantum Break: il gioco inizia mettendo subito in chiaro che quello che verrà è il resoconto, narrato dal protagonista, di eventi già accaduti. Eppure nel gioco si può morire. Ora: non ricordo se lo dicesse al primo Game Over o meno, ma sarebbe bastato far dire alla voce narrante una battuta che lasciasse intendere che quella parte se la fosse inventata, per rendere tutto coerente e coeso (sono abbastanza sicuro di aver giocato recentemente qualcosa che utilizzasse questa tecnica, ma in questo momento mi sfugge).
Ad ogni modo, quello che volevo dire è che nei videogiochi la morte non dovrebbe essere un limite, ma uno stimolo a sperimentare nuove soluzioni, sia dal punto di vista del game design che da quello del narrative design. Siamo abituati a fare finta che la morte del protagonista della storia non sia mai avvenuta, ma sottotraccia credo che questo stia mettendo un freno alle possibilità peculiari di coinvolgimento narrativo/emotivo che questo medium possiede.