Ottimo. Snyder riesce nella difficile impresa di coniugare il comicmovie intimista sul modello di Nolan con le apocalittiche evoluzioni del modello Whedon- Avengers accontentando un po’ tutti, fan del fumetto e ignari. E lo fa operando sull’aspetto più controverso e indigesto di Superman, vale a dire l’estetica. Ormai bisogna farne un punto di orgoglio e capacità, Snyder è il regista che più di ogni altro è capace di tradurre su grande schermo le immagini dei fumetti e dei luoghi immaginifici del fantastico, proprio come proporzioni, materiali, tessuti, visioni grandiose di contesti illusori che affaticano l’occhio di ricchezza e bellezza. Krypton è perfetta nel suo manierismo alieno e crepuscolare, tesa tra verticalismo gotici e alterità architettoniche che restituiscono proprio un’idea di unità smarrita e prosciugata di…umanità. Magnifico in questo senso il lavoro su armature, elmi/caschi e sulla resa realistica di personaggi da fumetto, unito alla potenza ipercinetica di movimenti e combattimenti. L’arrivo di Zod e di Faora sulla terra e in particolare il combattimento a 3 del prefinale costituiscono una visualizzazione netta e ammaliante di tutto quello che vediamo in videogiochi e fumetti. Per non tacere della storia di Krypton sull’astronave, bellissima.
Le due anime del film si integrano alla perfezione grazie alla scelta della reminiscenza, non si tratta di sorbirsi sempre la solita storia in modo graduale e progressivo, l’andirivieni di fatti e ricordi sottolinea in modo efficace i guadagni del piccolo Kal El/Clark alle prese con il senso di smarrimento della propria condizione. Le scelte sono tutte felicissime. Cavill, fisicamente adattissimo a rappresentare un giovane Superman vitale e virile, eppure capace di sguardi vuoti e tenerissimi nei momenti di maggiore tristezza; Russell, carismatico e sofferto come sempre; antagonisti gustosamente affrescati; giusto la Adams è la figura più discutibile del film, carina la questione dell’”inchiesta” ma poi diventa protagonista degli snodi più deboli del film.
Quello che convince più di ogni altra cosa è il recupero, presente sin dalla genesi del personaggio negli anni ’30, della proiezione cristologica di Superman. Nel suffisso - El – si trova la radice del nome ebraico “
El”, (dando origine anche ad Allah) che rappresenta uno dei nomi di Dio, nella fattispecie nella sua accezione di “
potente, altissimo, ordinatore di un mondo sottoposto e caotico” che si trova ai suoi piedi. Non a caso il tema dominante del film è la funzione osmotica che le due civiltà, kryptoniana e terrestre, operano nella figura di Kal scolpendo un essere che alla stregua di Cristo si trova a negoziare due nature, tremenda e disumana la prima, compassionevole e piena di speranza l’altra, seppur immersa nella paura della carne. La scena della chiesa è emblematica, una scelta implica una fede.
E l’evoluzione non implica necessariamente la mancanza di moralità, lo aveva capito Jor-El spedendo il piccolo Kal sulla Terra.
Bello, poco da aggiungere. Le critiche secondo me hanno poco senso, il personaggio è questo (si parla di quasi un secolo fa), la ricompilazione estetica è pregiata, Superman non è Batman e manco un Xmen, la mezz’ora di caos finale è quello che è lecito aspettarsi da un personaggio invulnerabile. Cazzatelle qui e là per legare gli eventi ma nulla che non si trovi anche nei fumetti più celebrati dell'Uomo d'Acciaio. Tutti i tasselli sono al posto per non far rimpiangere, infine, il film di Donner.
D’ora in poi per me Superman è questo.